3 novembre 1985: la punizione di Diego raccontata da quel magico pallone
3 Novembre 2021
Che cosa pensa un pallone quando viene toccato dalla Grazia? Cosa passa nel cuore e nella testa di questi oggetti per molti inanimati, ma che di fatto costituiscono perfetto complemento per le giocate dei più grandi campioni di sempre? Senza un pallone, probabilmente, quei campioni non sarebbero stati tali. Senza un pallone da calciare, non saremmo qui a raccontare queste storie, e non saremmo riusciti a metterci nei panni di quella sfera baciata dal destino che ha accompagnato in porta tutta la magia del sinistro di Maradona, in un piovoso 3 novembre del 1985. Quando al San Paolo c’è la Juventus. Quando Diego decide di esagerare. E quel pallone per la prima volta nella sua vita, e forse anche per l’ultima, perché nessuno è mai riuscito a fare un gol così, vola.
Un pallone racconta

“…Adesso vi svelo un segreto. Una roba che sanno in pochi. Quelli come me hanno vissuto più di una vita. Quelli come me hanno un’anima, siamo molto di più di quello che si vede. E io mi ricordo, infatti, che ero solito rotolare tra le terre polverose dei campetti di Villa Fiorito, dove un ricciolino mi trattava come se fossi un oggetto da proteggere. Tra i suoi piedi mi sentivo al sicuro, quando correvamo insieme ero felice, felice come tutti quelli che giocano con il loro migliore amico. Ecco, questo era quel ricciolino all’epoca: il mio migliore amico, uno di quelli che ti restano per sempre nel cuore, pure quando lo perdi di vista, pure quando la vita ti allontana. Pure quando ti sgonfi, o qualcuno ti colpisce di punta. Pensi ai momenti felici: ecco, quando lui partì per altre terre, forse meno polverose, e io mi sono ritrovato ad essere colpito di punta, senza alcun rispetto, io pensavo a quel ragazzino, e alle nostre corse insieme. Tutto questo accadeva prima della metà degli anni Settanta, più o meno. Ne è passato di tempo prima di incontrarlo di nuovo, quel Diego lì. Ho dovuto subire sulla mia pelle passaggi sgraziati, colpi di tacco mal riusciti, tiri di punta, ogni tanto di caviglia, e quella magia che avevo vissuto pareva perduta per sempre tra la polvere di Villa Fiorito. Sono stato anche felice, mentre aspettavo il suo ritorno. Mi ricordo di esser passato anche per i piedi di un bimbo, e sentivo insieme a lui la voce del papà che lo allenava, passaggi contro il muro, “niente punta, solo di piatto, così si educa il piede, vuoi essere come Maradona o come tutti gli altri?” e quel bimbetto lì che giocava e sorrideva, sorrideva e calciava, sotto gli occhi pieni di orgoglio di quel papà, che non era Maradona ma che aveva la stessa gioia nel vedermi rotolare e correre insieme a lui, intorno nessuno stadio, ma cortili di cemento e prati, ogni tanto pure quella terra polverosa che mi portava alla mente la mia vecchia vita. Ma non voglio divagare, anzi, scusate, sapete come sono gli anziani, spesso non sanno distinguere il vero dai sogni…”
3 novembre 1985

“…Dicevamo. La mia terza e ultima vita si stava per chiudere, e quel giorno di novembre del 1985, era il 3, quel signore con la giacchetta nera mi prende e mi porta al centro del campo. Io mi guardo intorno, tanti che mi avevano trattato bene, qualcun altro un po’ meno, e poi, ad un certo punto, lui! Quel ragazzino di Villa Fiorito! Dalla felicità sobbalzo senza che nessuno mi colpisca, cado dalle mani del signor Redini che mi riprende, stupito, e mi mette al centro del campo. Intorno a me undici calciatori vestiti d’azzurro, altrettanti in bianco e nero, e loro sono davvero forti, vengono da otto vittorie consecutive in campionato, e c’è pure Platini! La partita finalmente inizia, e Diego mi fa subito suo. Che emozione! Diego mi accarezza, corre insieme a me, sembra non essere cambiato niente: lui non è cambiato, nello spirito, nei piedi e nel cuore, e io sono soltanto un po’ più vecchio, ma con lui non ho più paura di niente. Danziamo, di nuovo, e non ci prende mai nessuno. Mi manca una cosa soltanto, una cosa che facevamo insieme nei nostri assolati pomeriggi, soltanto io e lui. Volare. Nessuno mi ha fatto provare quell’ebbrezza dopo di lui…”
Minuto 72
“…Sono tra i piedi di Bertoni, che viene steso di nuovo. Sarà una punizione a due, dentro l’area di rigore, dal lato sinistro, a pochi metri dalla barriera. Quel Tacconi tra i pali sistema la barriera, che sembra troppo vicina, altro che i 5 metri regolamentari. Si avvicina Diego, con lui c’è Pecci. Ride, il mio amico d’infanzia. Ride perché Eraldo non avrebbe voluto proprio passarmi in quell’occasione…Come, calci da qui?, sento dirgli…E tutti i torti non li aveva, perché era impossibile anche solo immaginare di far gol, non c’era spazio per farmi passare…Toccala un pochino (anzi, disse “un pochito”)…Diego non ci passa…e lui ad insistere. Io ero divertito ed emozionato, non sapevo davvero cosa aspettarmi…Ma non ci passa, vabbè, fai come vuoi, Maradona sei te…questo disse Pecci, prima di allungarmi di suola verso Maradona. Che fa soltanto due passettini e poi calcia. E lì è successo. Perché Diego ha visto un passaggio, una via invisibile che solo quelli come lui potevano notare, e io, colpito dal suo piede sinistro che lieve come una carezza mi ha fatto innalzare, e lentamente ho iniziato a girare, passando per sentieri invisibili, passaggi segreti, strade che conoscono soltanto i poeti, i musicisti ed i bambini, per terminare poi dolcemente sotto l’incrocio che almeno in teoria avrebbe dovuto essere coperto dalla barriera e pure dal portiere. Nessuno avrebbe mai soltanto potuto pensare, davanti a quella barriera, di farmi passare per quella strada. In molti avrebbero provato semplicemente altro, un cross, una battuta potente, consapevoli che niente e nessuno avrebbe mai potuto far passare un pallone come me sopra sei difensori avversari. Il mio amico ci è riuscito, quel pomeriggio, la più luminosa delle magie che abbiamo fatto insieme io e lui, forse soltanto un filino sotto a quello che lui ha combinato quel pomeriggio messicano contro l’Inghilterra. Una carezza, un aquilone, la leggerezza di una bolla di sapone, la delicatezza di un bacio nel vento, il tutto con una traiettoria impensabile per tutti. Non per Diego. Non per il mio Diego.
Il Giudizio Universale, la vita che nasce, l’atto creatore di una divinità tutta pagana eppure sacra come poche cose al mondo. Questa è stata la punizione di Maradona in quel grigio pomeriggio di novembre, quando la Juventus di Tacconi, Cabrini, Brio, Scirea, Serena, Platini e Laudrup ha ceduto il passo (quella squadra andrà poi a vincere lo sudetto), fermandosi a 8 vittorie consecutive, davanti a un evento miracoloso, eppure così semplice e dolce come la corsa di un bambino con il pallone in mezzo ai piedi. Perché questo è stato Maradona, in ogni sua giocata, in ogni suo gol, un bambino felice di giocare a calcio. Il racconto emozionato di un pallone sfiorato dalla Grazia è soltanto il simbolo dell’emozione di tutti quelli che, quel pomeriggio, hanno assistito alla punizione di Diego, perla rarissima di una collezione impossibile da dimenticare.
di Yari Riccardi

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