Privacy Policy Milan-Manchester: la partita perfetta

Milan-Manchester: la partita perfetta

18 Marzo 2021

Nel calcio esistono gare che segnano un’era, che fanno scuola per la meticolosità con cui vengono preparate e gestite. Questi incontri, spesso, per il loro forte valore simbolico ed evocativo, rappresentano il trampolino verso i trionfi nelle manifestazioni più prestigiose.

Nel 2007, il 2 maggio, il Milan è chiamato a una vera e propria impresa in Champions League: i rossoneri sono costretti a rimontare la sconfitta della semifinale d’andata contro il Manchester United, vittorioso per 3-2 al termine di una gara leggendaria. Una gara così ricca di colpi di scena, con continui ribaltamenti e gol clamorosi, che vide la UEFA ringraziare pubblicamente le due compagini per lo spettacolo offerto.

La compagine rossonera in quegli anni stava vivendo una vera e propria Odissea fatta di viaggi, tormenti, opere fatte e disfatte, proprio come Penelope con la sua tela. Il Milan, dopo la vittoria contro la Juventus nel 2003, visse sconfitte cocenti, spesso subendo incredibili rimonte: come quella volta contro il Deportivo La Coruña che ribaltò il 4-1 dell’andata con un secco 4-0 al Riazor. Soprattutto, nella letteratura calcistica moderna, è obbligatorio menzionare la rimonta subita ai danni del Liverpool, che ribaltò in soli sei minuti una finale che sembrava aver già perso dopo i primi quarantacinque minuti di gara. L’ultimo capitolo in questo “sentiero del pianto” è rappresentato dall’eliminazione patita l’anno successivo in semifinale contro il Barcellona di Ronaldinho ed Eto’o.

Dopo l’estate del 2006, al termine della quale si registra la partenza di Shevchenko, il gruppo rossonero rimase solido, fedele: proprio come Penelope in attesa del suo Ulisse. Il terremoto di Calciopoli non seduce i senatori dal canto tentatore delle big europee, pronte a ingaggiare i pezzi pregiati della rosa.

Inizia un cammino europeo lungo e tortuoso per i rossoneri, i quali partono con il preliminare di agosto con appena dieci giorni di preparazione nelle gambe. L’impegno di Belgrado viene faticosamente superato contro la Stella Rossa. Nel tragitto che separa il Diavolo da Atene, il momento in cui la compagine di Carlo Ancelotti comprende di poter vincere la coppa si materializza a Monaco di Baviera, quando il Milan è chiamato a superare i bavaresi dopo il 2-2 dell’andata.

In Germania, Kakà non gioca la sua migliore gara e viene ingabbiato da Salihamidžić e Van Bommel. Tuttavia, la gara la prende in mano il Professore: Clarence Seedorf. L’olandese gioca una gara spettacolare, trovando prima la rete del vantaggio e poi fornendo a Inzaghi un assist da fuoriclasse: sulla linea dei trenta metri, di spalle e senza mai girarsi, accarezza la palla di tacco per servire SuperPippo che sigla il gol della tranquillità. 

Nell’urna di Nyon, il Milan è l’unica non inglese, ma i tifosi pregano di non trovare il Liverpool, sognando la rivincita in finale di ventiquattro mesi prima. Gli dei “accontentano” il Diavolo mettendo di fronte i Reds al Chelsea e il Milan contro il Manchester United.

La gara di andata tra i mancuniani e i Rossoneri è una delle più belle della rassegna, tra ribaltamenti continui e gol d’autore. Il match lo sblocca Cristiano Ronaldo, ma nel parcheggio dell’Old Trafford, tra i due pullman, a guardar bene, avreste trovato parcheggiata un’astronave, quella che ha portato Kakà in Inghilterra. Il brasiliano, infatti, è in forma splendida, e segna una doppietta di rara spettacolarità: pareggio di sinistro dopo uno stop a seguire e la rete del vantaggio con un sombrero e una giocata che è un compendio di furbizia ed atletismo e porterà Heinze ed Evra a scontrarsi. Tuttavia, il Diavolo perde Maldini per un problema al ginocchio e Wayne Rooney siglerà la doppietta che dà il primo round agli inglesi.

Al Meazza, il Milan è chiamato alla grande impresa e nessuno a Milano si dà per vinto. Il 2 maggio lo stadio è pieno già due ore prima della partita. Ottantamila tifosi attendono trepidanti il match sotto una pioggia torrenziale abbattutasi sulla città della Madonnina, non solo perché c’è una finale di Champions League da conquistare, ma soprattutto perché la prima finalista è già nota: il Liverpool ha battuto il Chelsea ai rigori guadagnandosi il biglietto per la finalissima di Atene.

Il pubblico sarà un fattore determinante nell’economia dello spareggio. La folla spinge i suoi beniamini sin dalle 19:45 quando i calciatori scendono in campo per il riscaldamento, guidati dall’uomo che più di tutti sente quella gara: Gennaro Gattuso. Ringhio, da sempre tifoso rossonero, dopo la débâcle di Istanbul dichiarò di non voler più vestire la maglia del Milan, tanto da accettare l’offerta del Bayern Monaco. A farlo tornare sui suoi passi per sposare ancora la causa del Diavolo, al di là delle parole di suo padre e di Adriano Galliani, ci pensò capitan Maldini, il quale gli fece una promessa: «Torneremo in finale». Rino giocò quella gara anche per portare nella finalissima in Turchia il capitano assente per infortunio.

I ventidue calciatori in campo sono tra il meglio che il calcio può offrire in quegli anni. Per il Milan scendono in campo Dida, Jankulovski, Kaladze, Nesta, Oddo, Gattuso, Pirlo, Ambrosini, Kakà, Seedorf, Inzaghi. I Red Devils rispondono con Van der Saar, O’Shea, Vidic, Brown, Heinze, Carrick, Scholes, Fletcher, Giggs, Cristiano Ronaldo e Rooney. 

La pioggia, in apparenza, potrebbe favorire il gioco fisico degli inglesi, ma dopo pochi minuti Kakà dimostra di essere ancora in serata di grazia e taglia a fette la difesa avversaria, mettendo la palla al centro per Inzaghi, che – come raramente gli è capitato in carriera – non si fa trovare al posto giusto. San Siro è una bolgia, il Milan non dà respiro ai Red Devils e poco dopo passa in vantaggio con un gol di raro acume tattico: corre l’undicesimo minuto, Nesta controlla la palla in mediana e vede il movimento di Seedorf che, partendo da centrocampo, segue la traccia verticale lasciata scoperta dalla difesa avversaria e lo serve con un lancio lungo. Clarence, con una sponda aerea di prima, serve l’inserimento di Kakà che, anziché battere di potenza, si limita a tenere bassa la sfera scommettendo sul terreno reso insidioso dall’acqua. Azzardo vincente: la sfera schizza per terra e infila Van der Sar per il vantaggio rossonero. 

Da allora il Diavolo insiste per trovare il gol della sicurezza ed è qui che inizia la partita dentro la partita di Pippo Inzaghi che vuole fortemente la finale: a Istanbul, due anni prima, sedette in tribuna, non potendo aiutare la squadra nella clamorosa rimonta subita. La punta piacentina galleggia sulla linea del fuorigioco, s’impegna trepidante in attesa del pallone giusto, ma Brown lo bracca a vista. 

Lo United, seppur in sofferenza, non concede molto ai rossoneri, ma viene piegato di lì a poco dall’ennesimo colpo di genio di Seedorf, eroe mai troppo celebrato della vittoria della Champions League di quella stagione. Il Manchester, quando scocca la mezz’ora, dà vita ad un giro palla piuttosto farraginoso al limite dell’area e Pirlo strappa il pallone dai piedi di Heinze. Andrea crossa il pallone al centro dell’area, ma Vidic lo respinge sui piedi di Seedorf che presidia il limite dell’area. Il centrale serbo esce subito dai blocchi per contrastare l’olandese in scivolata e dallo scontro tra i due la palla si alza in aria, circa mezzo metro: mentre ogni bipede senziente immagina come l’olandese avrebbe controllato la sfera sul terreno bagnato, ma Clarence si coordina e calcia prima che la sfera tocchi il terreno. Van der Sar, sorpreso, capisce cos’è accaduto solo quando raccoglie la palla in fondo al sacco.

Le telecamere colgono immediatamente le espressioni dei due allenatori: Ancelotti accenna un sorriso, ma resta impassibile mentre la panchina lo travolge. Sa che tutto sta andando secondo i suoi piani. L’espressione di Sir Alex Ferguson, invece, colpisce: come sempre mastica il suo chewing gum, ma stavolta sembra avere un sapore amaro. Tutti notano il suo sguardo assente. Una vera rarità per chi lo conosce bene. E lo è ancor più quando la sua squadra viene graziata nel finale di tempo da Inzaghi, che spreca da pochi passi la palla del 3-0.

La ripresa ha un ritmo più blando, i Rossoneri sembrano avere un canovaccio tattico ben diverso dai primi quarantacinque minuti di gara: evitare imbucate e dare palla a Kakà. Il brasiliano, anche nel secondo tempo, continua a non dare pace a Fletcher, che viene saltato di netto ogni volta che il 22 rossonero ne ha l’occasione. 

Red Devils provano a creare problemi a Dida, tuttavia i guantoni del brasiliano restano immacolati. Al minuto sessantasette Ancelotti decide di cambiare Inzaghi per Gilardino, prendendosi più di una occhiataccia da parte del numero nove, desideroso di apporre il suo nome sul tabellino dei marcatori. Ma si rifarà con gli interessi tre settimane dopo. 

Proprio il violinista Biellese metterà la ciliegina sulla torta: Ambrosini, più dedito a far legna che mandare in porta i compagni di squadra, lancia Gilardino in profondità con un passaggio filtrante di prima da oltre trenta metri. Una primizia che la punta piemontese trasforma in oro: Van der Sar prova ad opporsi, ma si tuffa alla sua destra mentre la palla va a sinistra, è 3-0. Gara chiusa.

La panchina corre ad abbracciare Ambrosini, mentre il Gila esulta con il gesto del violino sotto la curva una sinfonia che per gli inglesi suona come Il Canto del Cigno davanti alle loro speranze di trionfo. Per i rossoneri, invece, così come per Ulisse alle porte di Itaca, si spalancano le porte verso la redenzione ateniese. O, nel nostro caso, turca.

Daniele Riefolo

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