Privacy Policy 26 agosto 2001: ci bastarono 10 minuti per innamorarci di quel ChievoVerona

26 agosto 2001: ci bastarono 10 minuti per innamorarci di quel ChievoVerona

25 Agosto 2021

Lupatelli, Moro, D’Angelo, D’Anna, Lanna, Luciano (anzi, Eriberto), Corini, Perrotta, Manfredini, Corradi, Marazzina. Certo. Non verranno ricordati alla stregua delle terzine magiche di Zoff, Gentile, Cabrini o Sarti, Burgnich, Facchetti. Ma per chi ha vissuto – da vicino o da lontano – l’epopea del Chievo Verona, questo undici rimane granitico nelle memorie degli appassionati, scaligeri e non. Testimoni di un miracolo di quartiere che ha pochi eguali. In Italia e in Europa. Questa è la storia di un grande, piccolo miracolo. Questa è la storia degli Asini Volanti. Preferibilmente Mussi. Come si dice da quelle parti.

Sono passati “soltanto” vent’anni da quando i ragazzi guidati da Luigi Delneri hanno fatto il loro debutto assoluto sui campi della massima divisione nazionale. La matricola si presenta all’Artemio Franchi di Firenze forte di un gruppo compatto che, nel corso degli anni, ha acquistato consapevolezza e solidità, caratteristiche peculiari della filosofia del proprio tecnico. I fronzoli sono pochi, il gioco è essenziale. La corsa è tanta. L’affiatamento è l’ingrediente principale che consente agli scaligeri di avere una marcia in più rispetto agli avversari.

Ne è stata la prova la cavalcata che li ha portati a trovare la promozione nel torneo 2000-01. Il Chievo Verona, affacciatosi tra le nobili del calcio soltanto sette anni prima, nell’estate del 1994, ha accresciuto le sue velleità in maniera graduale e costante, andando di pari passo con quelle del presidente Luca Campedelli, un ragazzo che è riuscito a far crescere l’impresa di famiglia ed ora mira a far lo stesso alla guida del suo “giocattolo” più bello.

A dar forma e sostanza ai suoi sogni ci ha pensato un friulano che calpesta l’erba dei campi da gioco da quasi quarant’anni: prima con gli scarpini allacciati, da quasi vent’anni in panchina. Ma sempre con il medesimo approccio: pragmatismo, lavoro e corsa. Tanta corsa. D’altronde, i “miracoli” non si generano dal nulla. È la filosofia di Luigi Delneri, che tutti, però, chiamano Gigi. Viene da Aquileia, in provincia di Udine, ma il Pino Zaccheria di Foggia è stato la sua seconda casa, avendo scritto con la casacca dei Satanelli le pagine più belle della sua carriera sportiva. Due promozioni in A conquistate sul campo, un’altra coi colori della “sua” Udinese addosso. Sul campo ci sa fare. Ma anche quando gli scarpini vengono appesi al chiodo, la filosofia non cambia.

Ravenna, Nocerina e Ternana. Sono solo alcune delle tappe che l’hanno portato nel 2000 a sposare la causa dei clivensi. Dalla sua parlano le quattro promozioni conquistate coi club succitati. Con gli umbri, addirittura, è riuscito a compiere il doppio salto dalla C2 alla B, un’impresa che gli è valsa la chiamata in Serie A con l’Empoli per raccogliere la pesante eredità di Spalletti nell’estate del 1998. Tuttavia, le incomprensioni con società e giocatori occorse durante il ritiro hanno fatto sì che le strade si separassero prima dell’inizio della competizione. C’è ancora tempo per allenare tra i grandi. L’occasione gli si propone quando lo chiama proprio il presidente Campedelli che lo segue da tempo. Il suo credo è perfettamente sovrapponibile al modus operandi del tecnico: concretezza, spettacolo e progettualità sostenibile per crescere e raggiungere i risultati prefissati. Un approccio aziendalista, ecco.

La promozione viene immediatamente centrata e, se non fosse stato per qualche pareggio di troppo, il primo posto sarebbe stato perfettamente nelle corde del suo Chievo Verona. I Mussi Volanti, così vengono chiamati i ragazzi in gialloblù con l’effigie di Cangrande della Scala, sono l’espressione di una frazione del capoluogo veneto. Gli abitanti non sono neanche cinquemila e per la prima volta nella storia del massimo campionato italiano, un club espressione di una frazione conquista il diritto di prender parte al torneo.

Società e tecnico sono concordi: per affrontare la Serie A è sufficiente puntellare l’organico con nuovi elementi funzionali al progetto. Il nucleo che Delneri ha plasmato farà il resto, inserendo i nuovi arrivi ed adattandoli ai dettami di un 4-4-2 che si muove a velocità supersonica e “stordisce” gli avversari con trame man mano più fitte e profonde. Intorno al progetto Chievo c’è tanta curiosità quanta diffidenza: come può un club così piccolo conservare la categoria? E poi durante il calciomercato sono arrivati a Verona pochi elementi con esperienza in Serie A. C’è Lupatelli fra i pali, promessa mai definitivamente esplosa alla Roma; c’è Perrotta che si è fatto notare a Bari con Fascetti dopo aver vissuto due anni alla Juventus, guardando i compagni di squadra perlopiù dalla panchina o dalla tribuna; in attacco torna Marazzina che ha fatto vedere belle cose con la Reggina l’anno precedente e che conosce benissimo l’ambiente-Chievo per avervi già disputato quattro tornei fra i cadetti.

Beh? Tutto qui? Evidentemente la fascinazione per i grandi nomi non è una caratteristica di Delneri. Ha bisogno di scudieri che possano rinforzare un’intelaiatura ormai ben consolidata. Il pacchetto difensivo, infatti, è lo stesso da diverso tempo e capitan D’Angelo è un monumento che ha già collezionato oltre duecento presenze in gialloblù. A centrocampo c’è Corini che detta i tempi, brillando come non aveva mai fatto prima. In avanti ci sono Corradi e Cossato che si contendono un posto accanto al titolarissimo Marazzina. Ma è sulle fasce che brillano, vistosi, due frecce nere che fanno impazzire i tifosi veronesi: Eriberto e Manfredini. L’equivoco sul brasiliano si risolverà al termine della stagione, ma il brasiliano dimostra di poter far parlare di sé per la corsa e la tecnica che lo mettono in condizione di mettere in difficoltà qualsiasi tipo di avversario che gli si para dinanzi sulla fascia destra. Dall’altra parte, invece, c’è Christian José Manfredini Sisostri. È un ragazzo ivoriano, cresciuto in Italia: dopo aver svolto la trafila delle giovanili nella Juventus è arrivato nel calcio dei grandi dopo tanta gavetta svolta in C nella provincia italiana. Dopo due buoni campionati a Cosenza e con il Genoa, Delneri individua il suo profilo per affidargli la corsia sinistra e Manfredini vola che è un piacere, trovandovi il suo habitat naturale: corsa, sudore e cross per gli attaccanti. Con licenza di attaccare, quando vuole. E lo fa bene. Molto bene.

Forte di un gruppo consolidato e di innesti che soddisfano Delneri, il Chievo Verona esordisce ufficialmente in Serie A una giornata di venti anni fa al cospetto di una grande come la Fiorentina. È vero, non c’è più Batistuta, non c’è più Rui Costa e non c’è più Toldo. La società non versa in ottime acque, ma gli avversari dall’altra parte della barricata rispondono ai nomi di Nuno Gomes, Chiesa, Di Livio e Cois.

Pronti, via e i tifosi assiepati sugli spalti dell’Artemio Franchi capiscono ben subito che gli altri hanno un ritmo insostenibile per i propri beniamini. Non passano neanche trecento secondi che Perrotta scaglia alle spalle di Taglialatela il pallone che vale il primo, storico gol dei clivensi in Serie A. E le speranze viola di vedere i propri dirimpettai rintuzzare gli attacchi dei fiorentini si scontrano contro un muro gialloblù che, anzi, li schiaccia e li costringe a tappar buchi alla bell’e meglio. Tant’è che al ritorno dagli spogliatoi il copione si ripete e Marazzina fissa il risultato sullo 0-2 definitivo.

Sarà un fuoco di paglia, dicono in molti. E invece Delneri mostra orgoglioso ai calciofili sparsi sulla Penisola che la sua idea di calcio è ben chiara e la sua sistematica applicazione contro ogni avversario – che si chiami Juventus, Milan, Inter o Lecce – frutta vittorie su vittorie e gli esteti del bel calcio hanno di che titillarsi l’ipotalamo: questo Chievo Verona dimostra che si può vincere strizzando l’occhio allo spettacolo. Per lunghi tratti del campionato, gli scaligeri occupano le primissime posizioni della graduatoria, sfiorando addirittura il titolo di campioni d’inverno e ammutolendo al proprio cospetto tutte le cosiddette “grandi” che, anzi, si accorgono quanto sia facile farsi sorprendere dai Mussi Volanti.

Nel computo finale, gli Asini – quasi per “sfottò” con l’accezione negativa del termine – si rivelano una pretendente al tricolore fino alla fine del campionato, dando la loro poderosa spallata alle ambizioni dell’Inter di Cuper, alla quale sottraggono quattro punti sui sei a disposizione. Il gruppo, che ha assorbito senza poche difficoltà la precoce e tragica morte di Mayélé sopraggiunta nel mese di marzo, si è unito ancor di più ed è tutto dalla parte del suo tecnico: il Chievo Verona ha fatto la storia.

E la farà anche negli anni a venire. Una storia così sentimentale, verace e autentica, da finire sotto la pelle e dentro al cuore. Di un ragazzo valdostano che si chiama Sergio Pellissier, adottato dal Chievo e dai clivensi per quasi un ventennio. Dopo 112 reti in Serie A e quasi cinquecento presenze in gialloblù, ha salvato il club – stritolato dai debiti – dalla cancellazione dagli albi della FIGC, ponendo una nuova pietra angolare lì dove tutto partì quasi un secolo fa. In un quartiere di Verona di neanche cinquemila abitanti.

di Nando Di Giovanni

Ultime storie