La rosa della prima Lazio Campione d’Italia
6 Novembre 2021
Bisogna chiedere a papà e nonni, stavolta. Farsi raccontare la storia di un’impresa. Di chi o che cosa rese possibile il miracolo di quella Lazio che, nel maggio 1974, riuscì a cucirsi il suo primo, storico tricolore sul petto. Certo, le parate di Pulici. Le chiusure di Wilson. La grinta di Oddi e Martini. La corsa di Re Cecconi. Le veroniche di D’Amico. La potenza di Chinaglia. Tutto vero. Sono punti di vista. Ma tutte i tifosi laziali convergeranno su un unico nome: quello di Tommaso Maestrelli.
Un papà, più che un allenatore. Uno psicologo, un fine stratega. Un uomo semplice e schietto. Come pochi della sua generazione. Il ricordo del tecnico pisano che rese possibile quel miracolo sportivo è ancora vivo tra i suoi ragazzi. Lo si può leggere facilmente nei loro occhi, che s’inumidiscono puntualmente mentre la voce si spezza, quando viene chiesto loro un pensiero sul loro Maestro. Qualcuno non c’è più. Lui se n’è andato nel 1976, dopo aver salvato i Biancocelesti da un’incredibile retrocessione. Accanto a lui dorme Long John Chinaglia, tanto controverso quanto iconico. Uomo-copertina di pagine ingiallite dal tempo, ma mai dimenticate.
Oggi è il giorno in cui Vincenzo D’Amico compie sessantasette anni. E vogliamo, dunque, ricordare i suoi compagni di squadra. Tutti. Protagonisti di una storia indimenticabile fatta di gioie e di risse, di gol e pistole, di odio e di amore. Figlie di un calcio che, sicuramente, non tornerà mai più.
Felice PULICI

L’estremo difensore nasce in Brianza, ma diventa romano d’adozione. Pulici, infatti, abbraccia i colori biancocelesti nel 1972-73. I capitolini sono stati appena promossi in Serie A ed hanno affidato all’ex numero uno del Novara le sorti della propria porta. Ha ventisette anni ed è nel pieno del suo processo di maturazione. Nel giro di breve tempo diventa un leader della squadra, facendosi apprezzare per la sua continuità, tanto da non saltare neanche una partita in cinque anni. È uno degli eroi assoluti dello Scudetto e così attaccato alla maglia da tornare all’Olimpico a trentasei anni con la Lazio in Serie B, chiudendo la carriera nel 1982.
Avelino MORIGGI

È l’eterno secondo portiere della Lazio nella prima parte degli anni ’70. Dopo essersi messo in mostra con l’Alessandria, Moriggi viene scelto per fare da vice a Michelangelo Sulfaro e quando arriva nella Capitale il nuovo portiere titolare, Felice Pulici, le sue opportunità di scendere in campo si riducono al lumicino. Accumula due presenze nel campionato della retrocessione (il 1970-71) e dopo un prestito all’Arezzo, torna a Roma nel 1972 per trascorrere oltre 120 domeniche sulla panchina accanto a Maestrelli. Il tecnico, finalmente, gli concede quarantacinque minuti nel 4-3 contro la Fiorentina di Mazzone nel maggio 1976.
Mario FACCO

Il difensore è venuto su nel vivaio dell’Inter. Mentre i grandi vincono in giro per l’Europa e per il Mondo guidati da Helenio Herrera, Facco cerca di farsi notare e ci riesce: il Mago gli concede ben novanta minuti nell’ultima giornata del torneo 1965-66 al San Paolo di Napoli. Nel 1968 giunge alla Lazio e lì rimane fino all’autunno del 1974. È un titolare inamovibile, soprattutto nell’undici di Maestrelli che conquista la promozione di Serie A. Con il tempo, però, perde la sua intoccabilità a favore di Petrelli e dopo lo Scudetto lascia la Capitale per andare all’Avellino, di cui diventerà capitano.
Domenico LABROCCA

L’esperienza del difensore con la maglia della Lazio dura il tempo di un battito di ciglia. Prelevato proprio nell’estate del 1973 dopo essersi messo in mostra con la maglia della Casertana, il tecnico Maestrelli però non lo manda mai in campo, nonostante abbia doti da mezzofondista. Decide, dunque di trasferirsi in Sicilia: prima va al Siracusa e poi nel 1975 viene acquistato dal Catania. Resta all’ombra dell’Etna fino al 1983 – salvo un rapido ritorno sull’isola di Ortigia – conquistando anche la promozione con i Rossazzurri e chiudere la carriera nelle Marche fra Ancona e Fermana.
Luigi MARTINI

È lui che guida la fronda “dissidente”. Lo spogliatoio della Lazio è spaccato a metà. Chinaglia è il leader assoluto e il difensore toscano guida il gruppo “antagonista”, dando adito alle celeberrime rivalità all’interno del gruppo che solo Maestrelli era in grado di stemperare. Ogni domenica, però, Martini ha sempre gettato il cuore oltre l’ostacolo, fratturandosi addirittura la clavicola nel match contro il Foggia, decisivo per lo Scudetto. Resta in biancoceleste fino al 1979, quando lascia l’Italia per tentare le avventure negli Stati Uniti con le maglie di Chicago Sting e Toronto Blizzard.

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