Storia di due filosofie a confronto: è più forte la Top 11 All Time del PSV o dell’Ajax?
19 Gennaio 2022
Se avete dimestichezza con termini quali Oranje, Totaalvoetbal o Pataatgeneratie le ipotesi sono due: o il vostro olandese è eccellente e complimenti per questo, oppure siete state ammaliati dal fascino della nazione più esotica d’Europa. E per questo, non vi si può certo biasimare. Laddove il genio si è sempre espresso in varie declinazioni ed eccellenze varie: dalla pittura – Rembrandt, Bosch e van Gogh su tutti – ai filosofi e teologhi – Spinoza ed Erasmo da Rotterdam, per citarne due – passando per il più “mortale” giuoco del calcio con Cruijff a far la parte del sacerdote con su la sua tunica bianca con pala rossa centrale ed un guerriero greco al centro del petto.
Ma non di solo Ajax vive l’olandese. Correre con la mente ai Lancieri quando si pensa al calcio tra dighe, tulipani e mulini a vento è umanamente giustificato: non foss’altro che i Godenzonen sono il club più titolato dei Paesi Bassi e il soprannome Figli degli Dei è statisticamente e storicamente inoppugnabile.
Tuttavia, la riduzione ad un un’unica espressione calcistica nazionale, per fortuna, non è aderente alla realtà. E, anzi, quando i ragazzi di Amsterdam hanno vissuto momenti di appannamento – e ne hanno vissuti, credeteci – la supremazia è stata divisa, pressoché equamente, tra le restanti due delle Tre Sorelle del calcio d’Olanda: Feyenoord e PSV Eindhoven. Oltreché in ordine alfabetico, le squadre sono enunciate in rigorosa gerarchia di successi e trofei in bacheca.
Oggi ci concentriamo sul De Topper, il nome con cui viene identificato il match fra i due club più titolati d’Olanda: la squadra di calcio del dopolavoro della Philips sfida I Figli degli Dei nell’incontro più importante della Eredivisie.
Attualmente le due squadre si stanno giocando la vetta della classifica in campionato e proprio tra pochissimi giorni, il prossimo 23 gennaio, torneranno a sfidarsi e noi potremo vedere l’ennesimo capitolo di questo duello sulla piattaforma Mola TV, gratuitamente.
E visto che scorrendo tra i programmi in tivù si dà ampio respiro agli archivi video dei canali di sport, ci è venuto in mente di divertirci riavvolgendo il nastro dei nostri VHS per dar vita a quella che, secondo noi, riteniamo possa essere la sfida delle sfide tra i due undici fra tutti gli undici della storia olandese fra la squadra più titolata del paese delle dighe e l’unica squadra olandese in grado di centrare il famigerato Treble, o Triplete, o Tripletta. Fate vobis che nel frattempo facciamo nobis. Le formazioni, s’intende.
PSV EINDHOVEN
Hans VAN BREUKELEN

Se lo chiama Brian Clough per sostituire Peter Shilton nel suo Nottingham Forest, pescandolo nell’Utrecht, evidentemente Hans aveva classe da vendere. Difatti non possiamo dar torto al manager del Maledetto United se aveva scelto proprio il numero uno olandese per sostituire un mito con i guanti come il suo predecessore. Dopo l’esperienza oltremanica, Van Breukelen sposa la causa del PSV nel 1984, all’età di ventotto anni e lì rimane per ben dieci stagioni. L’epopea dei Boeren – i Contadini, se preferite – si apre l’anno dopo e lui è una sicurezza tra i pali, lasciando relativamente le briciole ai suoi dodicesimi, spettatori non paganti – anzi, pagati – in campo. Conquista sei titoli in sette anni dal 1985 al 1992, fallendo l’en-plein in quello 1989-90. Si consola, eccome, rimirando la Coppa dei Campioni vinta nel 1988 a Stoccarda contro il Benfica grazie al calcio di rigore parato a Veloso e, successivamente e sempre in terra di Germania, alzerà al cielo la coppa dell’Europeo conquistata con la sua Olanda. Si ritira nel 1994 lasciando un’eredità decisamente pesante ai suoi successori: quella di non farlo rimpiangere.
Jaap STAM

l giorno della sua cessione al Manchester United, nella sede del PSV, molto probabilmente gli umori erano discordi: da una parte la dirigenza che si fregava le mani per aver riempito di fiorini le casse del club – 10,6 milioni di sterline al cambio – mentre dall’altra i tifosi si rammaricavano per aver perso uno dei difensori più forti che, non solo ad Eindhoven, ma nell’Olanda intera, avesse mai vestito la casacca a righe verticali bianche e rosse. È il gennaio del 1996 e i Gloeilampen – le Lampadine – si fanno in quattro per mettere le mani su quel titano che si distingue con la maglia bianca, rossa e blu del Willem II. Non ha neanche ventiquattro anni, eppure domina il reparto meglio di molti colleghi più navigati. La lungimiranza paga. Lo abbiamo appena visto. Ma non solo in termini squisitamente economici, quanto tecnici. Jakob, detto Jaap, coniuga la gran fisicità alla tecnica ed al senso della posizione. Un mix esplosivo insieme ad un carattere granitico che tutto è, fuorché quello di un timorato di Dio. In due anni e mezzo al Philips Stadion vince una Eredivisie, una Coppa dei Paesi bassi e due Supercoppe d’Olanda. Prima di volare in Inghilterra e poi in Italia per mettere le mani su tantissimi trofei. E non solo…
Ronald KOEMAN

Guardi distrattamente alle sue statistiche e pensi di aver tra le mani un bomber con le crisi di labirintite: cosa ci fa uno come lui in difesa? E invece Ronny rappresenta una delle più felici declinazioni, in chiave anni ’80, dei precetti divulgati dal papà del Totaalvoetbal: Rinus Michels. Quando il PSV lo acquista dall’Ajax nel 1986, il club di Eindhoven domina la scena del campionato olandese. Seduto in panchina, seppur con il ruolo di vice, c’è Guus Hiddink e quando l’anno dopo prende in mano il timone della squadra, gli olandesi volano sino all’incredibile conquista della Coppa dei Campioni. Rambo – nel frattempo si è guadagnato questo soprannome visto il carattere indomito messo in campo – viene utilizzato nel ruolo di libero: di marcare, di svariare e di segnare. Eh sì, perché nei suoi primi due anni di Eredivisie con la maglia del PSV addosso va a segno per ben trentasei volte, conquistando da protagonista anche la coppa dalle grandi orecchie nel 1988. Impossibile che proprio Rinus Michels non rimanga colpito dal suo prospetto e, difatti, lo porta con sé per l’avventura che vedrà gli Orange salire sul tetto d’Europa. La sua carriera proseguirà poi nel Barcellona, per chiudere infine con il Feyenoord.
Eric GERETS

Il difensore belga avrà necessariamente dovuto rinforzare la sua bacheca al termine della sua esperienza con i Gloeilampen. Beh, non sarà stato facile adoperarsi per mettere sul piedistallo sei titoli d’Olanda, tre coppe d’Olanda e, soprattutto, l’impegnativo souvenir messo in valigia dopo la finalissima del Neckarstadion di Stoccarda vinta contro il Benfica: la Coppa dei Campioni del 1988. È stato uno dei giocatori più vincenti nella storia del PSV Eindhoven, sebbene sia arrivato alla corte della squadra della Philips all’età di trentuno anni, dopo aver fatto la storia dello Standard Liegi ed aver archiviato due stagioni parche di gioie con il Milan – era il secondo straniero dei Rossoneri insieme a Luther Blissett nel 1983-84 – e con l’MVV Maastricht. È reduce da una pesante squalifica subita all’indomani di uno scandalo corruttivo in seno alla società belga, quando nel 1985 appone la sua firma sul contratto che gli propongono i dirigenti biancorossi. Inizia così una delle storie di successi più indimenticabili che il club ricordi. Con Gerets a presidiare la fascia, mentre sull’altro versante c’è il danese Heintze, il sodalizio olandese impone la sua egemonia in Olanda e in Europa che, neanche tanto casualmente, termina in concomitanza con il suo ritiro dal calcio giocato.
Ruud GULLIT

Il Tulipano Nero ha la fortuna di poter apprendere dal più grande di tutti. E di ammirarlo da vicino. È il 1983 quando Johan Cruijff rompe clamorosamente con l’Ajax e per “punizione” nei confronti dei dirigenti lancieri accetta di vestire la maglia dei nemici giurati del Feyenoord. Lì, già da un anno, gioca e fa sfracelli un ragazzino proveniente dall’Haarlem di appena vent’anni. Insieme al Papero d’Oro, Ruud Gullit trascina la squadra di Rotterdam a conquistare il titolo e l’Europa, non solo l’Olanda, si accorgono del giovane proveniente dal Suriname con le treccine. Nel 1985 il PSV lo mette sotto contratto e in due anni s’impone prepotentemente nelle gerarchie dei Boeren. Il suo anno d’oro è il 1987: Ruud vince la Eredivisie anche con il PSV ed è ormai il giocatore europeo che tutti vogliono. D’altronde, Gullit è un uomo capace di svariare su tutti i fronti del gioco: centrocampista offensivo, mezzala o seconda punta. Scegliete voi. Prima di festeggiare il Pallone d’Oro che gli viene consegnato a fine anno, durante l’estate ha accettato la corte spietata del Milan che l’ha vestito con i colori rossoneri insieme al suo connazionale Marco van Basten. Chissà cosa combineranno insieme quei due…
Mark VAN BOMMEL

Il centrocampista di Maasbracht è fresco del titolo di “Talento dell’anno del campionato olandese” quando appone la sua firma sul contratto che gli propone il club di Eindhoven. Mark ha ventidue anni ed ha appena portato il Fortuna Sittard all’incredibile traguardo della finale della Coppa d’Olanda, persa con l’Ajax. Colpiscono la sua grinta e la sua forza atletica che gli permettono di reggere da solo tutto il peso del centrocampo. Col passar degli anni si conquista la fiducia dei tecnici che si succedono sulla panchina dei biancorossi, allargando il suo raggio d’azione e spingendosi spesso e volentieri anche in proiezione offensiva. In un 7-0 rifilato all’Excelsior realizza addirittura una quaterna. Oltre alla guida del PSV, anche i commissari tecnici dell’Olanda puntano sul suo profilo – eccezion fatta per van Basten, con il quale non corre buon sangue – tanto da diventarne anche capitano nel 2010. La sua miglior stagione ad Eindhoven coincide con l’ultima della prima fase: è il 2004-05 quando Mark riesce ad andare a segno ben quattordici volte in campionato, mentre in Champions League il sogno viene interrotto dal Milan, che blocca in semifinale la corsa dei Gloeilampen. Dopo le esperienze con Barcellona, Bayern Monaco e Milan, van Bommel torna al PSV ormai trentottenne e si ritira conquistando l’ovazione del suo pubblico con relativo anticipo sui programmi, visto che l’arbitro lo espelle per doppia ammonizione. Unico.
Phillip COCU

Dove lo metti, sta bene. Come il prezzemolo. E proprio come la pianta della famiglia delle Apiaceae, Cocu si è distinto in ogni dove, in giro per il campo. Noi preferiamo schierarlo al centro del campo, affezionati come siamo al suo numero otto. Ha venticinque anni quando Phillip viene scelto da Dick Advocaat dopo il passaggio sfumato all’Ajax nell’anno precedente. D’altronde, come resistere al richiamo della squadra più gloriosa della città dove si è nati? La sua esperienza con il Vitesse l’ha messo sotto la lente d’ingrandimento delle tre sorelle, ma la chiamata dell’ex commissario tecnico degli Orange fa presa sul ragazzo di Eindhoven che migliora esponenzialmente le sue prestazioni durante la sua prima esperienza con i Boeren, tanto suscitare l’interesse del Barcellona di Louis van Gaal. Il tecnico, dopo aver mancato il suo acquisto durante gli anni dell’Ajax, riesce finalmente ad abbracciare il centrocampista che lascia la città olandese insieme al compagno di squadra Boudewijn Zenden per raggiungere la Rambla. Lì vi rimane per sei anni, prima di tornare nuovamente al PSV sulla cui panchina siede il profeta Guus Hiddink. Nonostante i trentaquattro anni, Cocu non sente affatto il peso dell’età e in tre tornei raccoglie altrettanti titoli di Campione d’Olanda. Un’istituzione dalle parti del Brabante.
Arjen ROBBEN

Un talento puro e cristallino, come non se ne vedevano da tempo. Quando Arjen sbarca al Phillips Stadion è il 2002 e ha soltanto diciotto anni, ma alle spalle ha già due campionati da titolare in Eredivisie con la maglia del Groningen. Si guadagna l’appellativo di Uomo da nove milioni di fiorini. In molti stigmatizzano la cifra che il PSV versa nelle casse della squadra biancoverde, ma il suo arrivo ad Eindhoven coincide con la conquista del diciassettesimo titolo di campione d’Olanda. Va a segno per dodici volte e insieme a Mateja Kezman compone una coppia d’attacco da quarantasette gol complessivi: nasce così la coppia Batman e Robben. Sono solo due i tornei che Arjen vive nel Brabante, ma gli sono sufficienti per scatenare le attenzioni dei maggiori club d’Europa. Nonostante un infortunio lo tenga fuori gioco per buona parte della stagione, il Chelsea di Roman Abramovich scuce ben diciotto milioni di euro per convincerlo a volare dall’altra parte della Manica. I suoi malanni al tendine lo accompagneranno per buona parte della sua carriera, evidenziando la fragilità dei suoi muscoli di seta che l’hanno bloccato innumerevoli volte durante la sua comunque incredibile carriera. Ad Eindhoven trova anche la gioia di esordire con la maglia degli Orange nell’amichevole contro il Portogallo.
RONALDO Luis Nazario da Lima

Le porte verso la conquista dell’Europa e del Mondo si spalancano passando da Eindhoven per il Fenomeno che arriva in Olanda quando il suo soprannome è ancora Ronaldinho. Luiz Nazario da Lima, infatti, ha soltanto diciotto anni e sul suo conto ci sono gli entusiastici report degli osservatori che lo vedono in azione con la maglia del Cruzeiro: ha una media di un gol a partita distribuita sull’arco di due anni ed ha già vinto la Coppa del Mondo con il Brasile, seppur non sia mai sceso in campo durante la kermesse statunitense. L’impatto con il calcio europeo è devastante: i difensori olandesi iniziano a prendere coscienza dell’idea di dover accelerare vertiginosamente i propri ritmi per star dietro al ragazzino terribile di Rio de Janeiro. Il primo torneo con il brasiliano in attacco non finisce con il titolo della Eredivisie, ma i tifosi del PSV strabuzzano puntualmente gli occhi quando Ronaldo accelera, incenerendo i diretti marcatori. Alla fine del primo torneo saranno ben trenta le marcature che gli assegneranno il titolo di capocannoniere. E mentre tutti iniziano a guardare con interesse montante, giornata dopo giornata, le partite del massimo campionato olandese, l’astro nascente si prepara al secondo campionato con la maglia del PSV. Tuttavia, trova negli infortuni al ginocchio i suoi peggiori nemici contro i quali dovrà lottare per tutta la sua comunque brillante carriera: il primo, grave, lo patisce proprio durante la sua seconda stagione. Gli avversari non riescono a fermarlo mentre sfreccia fra di loro, quasi smaterializzandosi, a velocità supersonica. Le sue articolazioni, invece, quelle sì, che non furono in grado di sopportarne il peso e lo stress. Ma ad Eindhoven lasciò comunque il suo segno.
Ruud VAN NISTELROOY

Il suo nome, scandito a suon di battiti con i piedi sulle gradinate, ha fatto tremare ogni stadio dove il suo genio ha messo piede. Ha gli zigomi prominenti, un’aria smaliziata ed il DNA del cecchino. Ruud rappresenta, forse, colui che più è riuscito ad avvicinarsi in termini di rendimento all’irraggiungibile Cigno di Utrecht. Il suo trampolino verso il calcio delle stelle è piazzato proprio lì, nell’area di rigore del Philips Stadion, che ne ha accompagnato la trasformazione da giovane di prospetto a campione senza tempo. Arriva nella città vicina al confine con il Belgio all’età di ventidue anni, dopo aver già messo in mostra il suo enorme bagagliaio tecnico con le maglie di Den Bosch ed Heerenveen. Nel suo primo anno di Eredivisie mette a segno tredici reti ed i Boeren, alla ricerca di una punta da affiancare all’esperto Luc Nilis, puntano tutto sul ragazzo di Oss. Sulla panchina dei biancorossi c’è una vecchia volpe come Bobby Robson e l’ex tecnico del Barça intuisce ben presto quali siano le potenzialità del centravanti. Trentuno reti nella prima stagione, addirittura ventinove in ventitré partite nella seconda. La cessione al Manchester United era già formalizzata al termine dell’anno 2000, ma quando Ruud si ruppe i legamenti crociati durante un allenamento, fu costretto a tardare di un anno il trasferimento all’Old Trafford. È un anno duro per Ruud che si riprende dopo una lunghissima degenza. Saluta, così, nell’estate del 2001 per volare in Inghilterra con in tasca due campionati olandesi ed altrettanti titoli di giocatore olandese dell’anno.
ROMARIO de Souza Faria

Per cinque anni Eindhoven ha rappresentato una piccola emanazione di Copacabana in terra d’Olanda. Il merito è tutto suo. O Baixinho – il Bassetto – ha fatto sentire piccoli piccoli i suoi diretti marcatori, scherzandoli ed irridendoli con repentini cambi di direzione e scatti brucianti che gli hanno aperto praterie verso gli inermi portieri avversari. Romario de Souza Faria arriva alla corte del PSV quando i Boeren si sono appena laureati Campioni d’Europa. Il tragitto che porta dal sole del Brasile alla neve dell’entroterra olandese non rappresenta certo uno stimolo per il campioncino del Vasco da Gama, ma quando dall’Europa arriva l’ok alle richieste dell’attaccante carioca – un milione di dollari all’atto della firma, un milione all’anno per cinque anni di contratto, più casa, automobile, bonus e dieci viaggi all’anno di andata e ritorno per il Brasile – il matrimonio si può celebrare. Romario rappresenta lo spauracchio per eccellenza delle difese d’Olanda e d’Europa: in Eredivisie segna 98 volte in 109 occasioni, vince tre tornei e due titoli consecutivi di capocannoniere. Nelle competizioni continentali il PSV non scrive pagine memorabili della sua storia, ma permette all’estroso attaccante di cimentarsi contro le squadre più forti al mondo e, perché no, stuzzicarne l’interesse. È l’estate del 1993 quando o Baixinho dice basta ai Paesi Bassi ed accetta l’offerta del Barcellona. Il miglior viatico per prepararsi al meglio ai Mondiali di USA ’94, guastato solamente dal 4-0 di Atene contro il Milan. Cose che capitano. La rivincita contro gli italiani l’ha presa con gli interessi a Pasadena.
AJAX
Edwin VAN DER SAR

Siamo tutti ben concordi sul fatto che se non fosse arrivato alla Juventus nel momento sbagliato e compiendo due errori – ahilui – decisivi nelle dinamiche che hanno portato al tricolore della Roma nel 2000-01, ci troveremmo a parlare di uno degli estremi difensori più titolati al mondo. Ma van der Sar rimarrà comunque nella storia dei Lancieri – e non solo – vantando primati su primati che lo etichettano universalmente come il portiere più forte nella storia d’Olanda. Con buona pace dei vari Jongbloed e Menzo. La sua carriera è quella del predestinato e, infatti, scippa proprio la maglia numero uno a Stanley Menzo a soli ventidue anni per merito di Louis van Gaal, suo pigmalione che l’ha portato a difendere la porta di una delle “edizioni” più forti di sempre del sodalizio biancorosso. Insieme ai titoli nazionali conquistati che gli valgono la convocazione fissa tra le file degli Oranje, Edwin vede materializzarsi il suo sogno di bambino in una tarda serata di primavera sul rettangolo verde del Prater di Vienna quando contribuisce con le sue parate a scoraggiare gli attacchi del Milan, alzando così la Coppa dalle Grandi Orecchie sotto il cielo d’Austria. Rimane all’Ajax fino al 1999 quando viene acquistato dalla Juventus, ereditando la titolarità di Angelo Peruzzi. Dopo due stagioni non indimenticabili a Torino, rinasce in Inghilterra con la maglia del Fulham, finché all’età di trentacinque anni accetta la chiamata del Manchester United con cui, oltre a segnare il record d’imbattibilità stratosferico di 1.311 minuti in Premier League, gli consente di alzare la seconda Champions League della sua vita dopo la vittoriosa battaglia ai rigori contro il Chelsea – sotto la pioggia di Mosca – rivelandosi come uno dei principali protagonisti nel successo dei Red Devils.
Danny BLIND

Se c’è bisogno di definire la versatilità, non sorprendetevi se sul lemma di qualche enciclopedia compaia la sua voce. D’altronde era una delle principali caratteristiche di Danny, storico capitano di uno degli Ajax più vincenti di tutti i tempi. Giunge tra gli aiacidi nel 1986, quando il club è in fase di metamorfosi: i suoi giovani migliori trovano casa nei grandi club d’Europa, mentre in campionato il PSV Eindhoven la fa da padrone. In questo senso, l’ingaggio di Blind dallo Sparta Rotterdam si rivela una vera e propria benedizione: è uno degli elementi più esperti in rosa, ma i margini di miglioramento sono esponenziali. Una condizione che, tuttavia, non gli impedisce di porsi come punto di riferimento per i più giovani ai quali insegna i rudimenti del mestiere. Con grande successo. Perché Blind è il condottiero che guida proprio i Godenzonen alla rinascita ed alla conquista dell’Olanda e dell’Europa, aggiudicandosi immediatamente la Coppa delle Coppe, alla quale seguono una Coppa UEFA, una Champions League, una Supercoppa UEFA e una Coppa Intercontinentale. Versatilità e resistenza, non dimentichiamocelo. Impossibile, altrimenti, disputare tornei ad alti livelli fino alla soglia dei quarant’anni.
Ruud KROL

Un compendio di tecnica, potenza, carisma ed eleganza. Non è da tutti conciliare questi aspetti tutti insieme, se non per Ruud Krol. E non accade per caso, dunque, di essere indicato come uno dei giocatori più forti della propria generazione. Anche se i compagni di squadra si chiamano Cruijff, Neeskens o van Hanegem. Ruud è uno dei profeti perfetti del Totaalvoetbal messo in pratica dal suo Ajax e della sua Olanda. Forma insieme a Suurbier una coppia di terzini intercambiabili meravigliosa e per un intero decennio è uno dei dolmen intorno a cui si riforma il collettivo Oranje del dopo-Cruijff. Nel 1980, con la riapertura delle frontiere, viene acquistato dal Napoli di Ferlaino che va a prelevarlo in Canada, nel Vancouver Whitecaps. Non è più un giovanotto e qualcuno lo aveva già dato per “bollito”. Ebbene, grazie a Rudy, il Napoli centra un incredibile terzo posto e si aggiudica anche il Guerin d’Oro come miglior calciatore della Serie A. Resta all’ombra del Vesuvio giusto il tempo di salutare la città che si appresta ad abbracciare Diego Armando Maradona.
Frank DE BOER

Per quanto fosse indistinguibile rispetto al gemello Ronald, erano tremendamente diversi sul campo. Dopo aver risolto con gran fatica l’amletico dubbio su chi scegliere fra i due, l’opzione Frank ha prevalso. Soprattutto alla luce di una carriera che l’ha visto vestire quasi il doppio delle volte la maglia dell’Ajax, ponendosi come uno degli inossidabili totem nella storia del grande Ajax. Dal 1988 e per undici stagioni consecutive, Frank è stato uno dei baluardi della sua generazione, capace di mettere in riga le maggiori potenze europee davanti al compendio di bellezza e dannata concretezza che, grazie alle cure di Louis van Gaal, ha consentito al club di dominare la scena calcistica in lungo e in largo. Per lui si contano oltre quattrocento presenze complessive fra campionati e coppe europee. E non vorremmo tediarvi con la sequela di trofei che Frank ha alzato al cielo per non stilare il solito, freddo campionario di trofei. Ma credeteci: Fort Knox potrebbe avere una succursale continentale presso la sua residenza.
Franklin RIJKAARD

Hai diciassette anni. Esordisci con i grandi quando Leo Beenhakker si rivolge a te, chiamandoti in causa. Scendi in campo e, seppur le tue consegne prevedano di piazzarti al centro del campo, o addirittura al fianco dei difensori, riesci anche a segnare a pochi minuti dal tuo ingresso in campo. Se ravvedete parallelismi con la vostra storia personale, allora siete Franklin Rijkaard, senza alcun dubbio. Che sia anch’egli un predestinato lo si capì sin dal giorno del suo esordio, avvenuto nel 1980. Per sette stagioni, la sua corsa e la sua disciplina gli hanno consentito di far ben presto breccia nei cuori dei supporter dei Godenzonen. D’altra parte: se non sei versatile, non sei da Ajax. E vorremmo anche ben vedere, essendo nella patria del Totaalvoetbal. Dopo i successi conquistati con la maglia dei Lancieri e la complicata stagione del 1987-88 trascorsa fra Portogallo (Sporting Lisbona) e Spagna (Real Saragozza), nel 1988 arriva la chiamata del Milan di Sacchi, dove ritrova il suo ex compagno di squadra che faceva tanti gol – Marco van Basten – e quella pantera dai lunghi capelli che tanti metri gli aveva fatto percorrere quando aveva incrociato i cammini di Feyenoord prima e PSV Eindhoven poi: Ruud Gullit. E proprio in rossonero i Tre Tulipani Neri hanno fatto la storia.
Johan NEESKENS

Si possono fare cataste di gol. Anche se si gioca in mediana. Musica e parole di Johan Neeskens che molti soprannominarono Johan II. Siamo ben certi, infatti, che se non avesse avuto come “ingombrante” compagno di vita professionale l’omonimo Cruijff, forse la sua stella brillerebbe ancor più intensamente di quanto già non faccia. Eh sì, perché stiamo parlando di uno dei giocatori più completi di sempre che abbiano mai vestito la maglia Oranje, insieme a quella dell’Ajax e del Barcellona – ça va sans dire – che risulta quasi un passaggio obbligato quando si diventa Lancieri. Con il suo arrivo tra i Godenzonen, il club ha vissuto i suoi momenti migliori, anche grazie alla splendida interpretazione del Calcio Totale di michelsiana memoria che Johan, appunto, dava. Insieme al suo maestro ed al successore Kovacs, Neeskens ha tracciato linee indelebili nelle memorie dei suoi tifosi ed anche dei suoi avversari, tramortiti da siffatta bellezza. Nel 1974, dopo il titolo mondiale sfiorato in Germania Ovest con la Nazionale olandese, l’arrivo a Barcellona insieme a Cruijff per vivere cinque anni in cui, però, non giungono i medesimi successi conquistati durante la sua esperienza con la maglia biancorossa.
Clarence SEEDORF

Il suo talento è così cristallino e puro rispetto ai suoi coetanei che, talvolta, qualcuno può legittimamente dubitare che avesse la stessa età dei suoi compagni di squadra. Ma quando il protagonista è Clarence Seedorf, ogni dubbio vien fatto da parte e non si può far altro che aspettare la sua nuova, ennesima invenzione. Non è neanche maggiorenne quando viene impiegato con regolarità dal tecnico van Gaal all’interno dello scacchiere del suo Ajax e la sua crescita è così vertiginosa e qualitativamente esponenziale che, immediatamente, diventa il metronomo delle manovre aiacidi al centro del campo. Rimane soltanto tre anni con i suoi compagni di squadra, ma è un periodo sufficiente per tracciare una linea e delimitare l’epoca pre-Seedorf a quella post. Dopo di lui, in molti hanno potuto soltanto ambire ad un palmares che lo fa uno dei giocatori più premiati di tutti i tempi.
Jari LITMANEN

È poco più di un adolescente quando il talento fa il suo esordio con il Reipas Lahti tra i professionisti. E in molti, in quel ragazzino, vedono qualcosa che – a quelle latitudini – non avevano mai visto. La scalata al calcio finlandese avviene in maniera naturalmente celere, visto lo scarto tecnico che si rileva con gli avversari. E brilla così tanto che l’Ajax lo monitora quando sta vestendo la maglia del MyPa ed è impegnato nella finale di coppa nazionale. Al novantesimo, Jari è praticamente un futuro lanciere e dopo un anno di ambientamento, oscurato dal talento cristallino di Dennis Bergkamp, finalmente spicca il volo e si prende per mano la squadra, non facendo rimpiangere la partenza del biondo attaccante per la Capitale della Moda. Da lui eredita la maglia numero 10, riuscendo a farla brillare – talvolta – anche più di quello che fu capace di fare Dennis. Infatti, Litmanen è riuscito a disputare due finali di Champions League consecutive – entrambe contro italiane – vincendo quella contro il Milan e dovendo cedere ai colpi della Juventus, durante la quale è riuscito comunque a segnare la rete del pareggio dopo il gol di Ravanelli. Lo abbiamo visto all’opera anche fra Barcellona – guarda un po’ – e Liverpool, non riuscendo però a ripetere quanto di memorabile compiuto coi Lancieri.
Johan CRUIJFF

Se nelle ere geologiche registriamo le età del ferro, dell’oro e del bronzo, applicando il medesimo teorema al mondo del calcio, lo “sbarco” di Cruijff fra i comuni mortali ha segnato una cesura netta col passato, portando il gioco a livelli mai visti prima come soltanto Pelé, Maradona e Ronaldo (quello vero) hanno saputo fare. Il Papero d’Oro è uno dei figli prediletti di Amsterdam, quella vera. Figlio di fruttivendoli del quartiere di Betondorp (il Quartiere di Cemento), orfano troppo giovane di padre, il piccolo Johann si ritrovò ad avere il pallone come unico ed inseparabile amico ed il sogno di calcare il prato del De Meer Stadion. Aveva i piedi piatti il piccolo Johann e venne anche scartato dal servizio militare: proprio per questa sua caratteristica che gli conferiva un incedere ciondolante si guadagnò il soprannome di Papero d’Oro. Infatti, il pallone fra i suoi piedi scompariva e le sue improvvise accelerazioni, piroette ed evoluzioni gli conferivano una componente d’imprevedibilità che lo rendeva praticamente immarcabile. Fu l’ostinazione di mamma Nel che, con una famiglia sulle spalle ed il lavoro di donna delle pulizie per portare a casa uno stipendio degno del suo nome, chiese agli osservatori dell’Ajax di dare un’opportunità al piccolo Johan. E lì iniziò una storia che coincise con il periodo di massimo splendore del sodalizio ajacide. Con Rinus Michels in panchina e Stefan Kovacs poi, i Lancieri dominarono la scena europea e mondiale: Cruijff era il simbolo del suo club, della sua nazione e di un’intera generazione di “capelloni” che portarono un nuovo vento di rinnovamento nel mondo. Nel 1973, dopo aver alzato al cielo la terza Coppa dei Campioni in tre anni e con l’obiettivo di trionfare nel Mondiale in programma in Germania Ovest, Johan viene acquistato dal Barcellona ed anche in Catalogna dimostra tutta la sua qualità. Capriccioso, estroso, unico: un artista unico nel suo genere. Il suo carattere, forse, fu il suo più grande nemico che gli impedì di partecipare alla spedizione Oranje in Argentina. Sebbene l’Arancia Meccanica perse il suo più valoroso rappresentante, riuscì comunque a battagliare fino alla finale del Monumental. Curioso come nel 1978 inizi la parallela parabola discendente sia di Cruijff che della sua Nazionale. Dopo un’avventura negli Stati Uniti, nuovo Eldorado del calcio, tornò in Europa per vestire ancora la maglia del suo Ajax, prima di concludere con un’inedita esperienza nel Feyenoord, anno 1983-84, in cui un giovanissimo Gullit conquistava la ribalta, mentre lui si avviava ad una proficua carriera da allenatore. Inimitabile. Unico. E non solo.
Marco VAN BASTEN

Il Cigno di Utrecht diventa bellissimo, splendido negli specchi d’acqua che bagnano Amsterdam. Ed il suo stile è così elegante, maestoso ed unico che nessuno, praticamente, riuscirà mai a imitarlo. Dopo aver stregato Leo Beenhakker che provò a portarlo a sé già durante la sua esperienza al Feyenoord, nel 1981 dice sì all’Ajax ed è lì che inizia la sua parabola tanto entusiasmante quanto dannatamente corta. Che ci fosse qualcosa di magico in lui lo si capisce nel giorno dell’esordio, che avviene il 3 aprile 1982, quando prende il posto di Johan Cruijff e segna immediatamente, qualche minuto dopo. I Lancieri possono anche dire addio a Wim Kieft che passerà al Pisa l’anno successivo: il suo erede ha lo stile di un angelo e l’istinto di un cobra. Veloce, tecnico, potente: van Basten ha un repertorio che fa impallidire i compagni di squadra e gli avversari, tanto da segnare con una regolarità spaventosa non appena la maglia numero 9 finisce sulle sue spalle: ne fa 128 in 133 partite di campionato, vincendo anche la Scarpa d’Oro con l’incredibile record di trentasette marcature in ventisei partite. Con numeri del genere è impossibile non accorgersi di lui. E sebbene vada vicinissimo ad accaparrarselo la Fiorentina, nell’estate 1987 dice sì al Milan. Per iniziare una favola meravigliosa ma, purtroppo, senza lieto fine.
Dennis BERGKAMP

Come accade ai grandi artisti, non si può essere capiti da tutti. C’è bisogno che s’instauri un rapporto, un feeling con l’ambiente circostante per dare spessore alle proprie realizzazioni. Ed è questo ciò che non è accaduto a Dennis durante il suo biennio in quel di Milano. Per sua – e per nostra fortuna – quel che è riuscito a compiere alla corte dell’Ajax di certo obnubila quei due anni difficili in nerazzurro. Impossibile non rimanere incantati dalla leggiadria del suo tocco, al quale faceva quasi da contraltare, una spietatezza in area di rigore difficile da eguagliare. Con lui, l’Ajax ha saputo risollevarsi sia in Europa che tra le mura amiche. Tanto da valergli l’ingaggio stratosferico che, nell’estate del 1993, lo portò proprio all’Inter. Sulla sponda nerazzurra del Naviglio, Bergkamp ha sofferto non poco, non riuscendo a ripetere i numeri che lo hanno fatto assurgere in breve tempo a uomo-simbolo del nuovo Ajax. Ma, come spesso accade nella vita, basta un viaggio per cambiare la vita. E il suo Nirvana si chiama Highbury, la sede storica degli inglesi dell’Arsenal che, grazie all’arrivo del Non-Flying Dutchman, riescono a spiccare il volo per toccare vette mai raggiunte prima. Insieme a Thierry Henry e Marc Overmars, guidato da Arsene Wenger in panchina, Bergkamp diventa il punto di riferimento dei Gunners che dominano la scena inglese a cavallo dei due millenni. Rimane in scena fino al 2006 quando a trentasette anni presenzia all’inaugurazione dell’Emirates Stadium, futura casa dell’Arsenal, chiudendo un capitolo irripetibile nella storia del club londinese.
di Nando Di Giovanni

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