Cerezo e i colpi di mercato dell’estate 1983
21 Aprile 2020
Immaginate che il vostro telefono stia squillando a ripetizione: sono tutte le notifiche delle numerose app di calcio che da infaticabili calciofili di vecchia data avete installato sul vostro cellulare. E tutte dicono la stessa identica cosa: Neymar sta per chiudere con l’Udinese; tutto fatto, accordo raggiunto tra le parti. Probabilmente è una bufala, magari ben costruita, forse un omaggio all’invasione aliena annunciata via radio da Orson Welles circa ottanta anni fa. Dopotutto, se ci fosse un’ipotetica classifica degli argomenti oggetto di fake-news, il calciomercato sarebbe sicuramente in testa: le indiscrezioni e le voci che filtrano dall’ambiente ed escono sui media sono spesso costruite ad arte per alterare gli equilibri di un mercato che sembra non conoscere soste (neanche in tempi di quarantena).
Ma nell’estate del 1983, tutto questo è successo veramente e, in un certo senso, Neymar è davvero stato acquistato dall’Udinese. I friuliani, ora come allora, erano una squadra dotata di un organico da metà classifica arricchito da qualche asso. Il Campione del Mondo Franco Causio e il difensore brasiliano Edinho guidavano l’undici bianconero che aveva in Massimo Mauro e Pietro Paolo Virdis altri pezzi pregiati. Il campione sudamericano in questione, per ovvie ragioni anagrafiche, non poteva essere l’odierno astro dai capelli dal mutevole colore, ma rispondeva al nome di Arthur Antunes Coimbra e se le maglie da gioco avessero avuto già allora il nome stampato sul retro, il suo sarebbe stato Zico. Uno che in nazionale aveva ereditato la sacra numero dieci di Pelé – sacra perché fu proprio Edson Arantes do Nascimento a conferire santità a quel numero indossandolo in Svezia – senza sentirne minimamente il peso e continuando, anzi, il percorso del suo predecessore fatto di talento allo stato puro e gol. Il trasferimento di Zico che lascia Rio de Janeiro e il suo amato Flamengo per giocare nell’Udinese si colloca in un quadro storico-calcistico piuttosto particolare.
I campioni di tutto il mondo, quelli con la “C” maiuscola, vogliono l’Italia: la Serie A, dopo la riapertura delle frontiere di tre anni prima, sta acquisendo lo status di campionato più prestigioso del mondo e, nell’epoca dei “presidenti mecenati”, i patron delle squadre, non sono restii a compiere mosse azzardate per accendere l’entusiasmo delle loro piazze. Potremmo dire che ogni squadra ha la sua stella perché ogni città deve avere diritto di sognare. Si sa, siamo un Paese con una forte tradizione campanilistica e mai come in questi anni si arriverà a una forte identificazione tra la città e il club calcistico di riferimento.
La Juventus, che i botti sul mercato li ha fatti l’anno prima con Boniek e Platini, si limita ad assestare la rosa con l’ex veronese Penzo (la nuova spalla d’attacco del Pablito nazionale) e Vignola (ovvero il vice di le Roy); tra i pali la Vecchia Signora sostituisce la bandiera Zoff con il giovane Tacconi, prelevato, come Vignola, dall’Avellino. Sulla scena italiana irrompe anche un altro grande portiere: l’Inter, infatti, promuove Walter Zenga al ruolo di primo portiere, chiamato a ricevere l’eredità di Bordon (passato alla Sampdoria). I nerazzurri, dopo aver tentato invano il colpo ad effetto con Falcão, ripiegano sul talentuoso quanto sfortunato belga Ludo Coeck e cedono l’estroso e deludente Juary all’Ascoli; alla base torna il promettente ariete Aldo Serena, reduce da una stagione in B con i cugini che lo rimpiazzano con lo sconfortante centravanti inglese Blissett, annoverato dalla narrativa calcistica tra i bidoni per antonomasia.
Il Verona, invece, sceglie Galderisi dalla Juventus e lo Squalo Joe Jordan dal Milan per dare nuova linfa al proprio reparto offensivo. Il Pisa di Anconetani sogna in grande con il centravanti della nazionale olandese Wim Kieft, destinato però al medesimo epilogo letterario di Blissett. Rimanendo in Toscana, a Firenze approdano Oriali, Iachini e Pulici. Il Torino acquista l’attaccante austriaco Schachner dal Cesena, l’Avellino sceglie el Pelado Ramon Diaz, scaricato dal Napoli che si affida invece alla fantasia del portentoso brasiliano Dirceu, ex Verona.
I Campioni d’Italia della Roma hanno perso Vierchowod, che fa ritorno alla Doria, ma Dario Bonetti fa il percorso inverso; da Firenze, invece, arriva il l’iridato Ciccio Graziani. Falcão, che come abbiamo visto non ha ceduto alle lusinghe meneghine, ha richiesto espressamente l’acquisto di un suo compagno in maglia verdeoro: «Feci il nome di Cerezo. Vicino a me volevo giocatori forti». Con tanti saluti, neanche troppo eleganti, all’ex compagno di reparto, l’austriaco Prohaska, rispedito in patria. Antonio Carlos Cerezo è un giocatore straordinario, sembra quasi un brasiliano modificato geneticamente in laboratorio. L’abilità con il pallone tra i piedi è perfettamente sostenuta da un senso tattico e da una corsa instancabile, a tal punto che Toninho – o Tiramolla come verrà affettuosamente ribattezzato dalla curva romanista per le sue sinuose movenze – si stancherà di galoppare per il campo solo alla veneranda età di quarantadue anni, non prima di aver alzato quattro anni addietro una Coppa Intercontinentale – da man of the match – con il San Paolo: gol e assist contro il Milan di Capello!
Ognuno ha il suo campione, dicevamo. Tutti contenti quindi? Neanche per sogno. Perché il presidente dell’Udinese è il signor Zanussi, ed oltre ad essere il numero uno del club friulano, è anche il titolare dell’omonimo colosso nazionale degli elettrodomestici che però – ed è un “però” bello grosso – ha qualche migliaio di dipendenti in cassa integrazione. Quindi Zanussi tiene gli operai a casa e poi ha ben sei miliardi di lire da spendere per Zico che, per quanto forte, rimane pur sempre un calciatore? I sindacati s’indignano, la politica si intromette. Come se non bastasse spunta fuori una società fantasma – la britannica Grouping Limited – che dovrebbe farsi carico di circa il 40% del costo del trentenne fuoriclasse brasiliano. In realtà l’affare, messo in piedi dall’amministratore delegato udinese Dal Cin e da quel picaro dell’intermediario uruguagio Juan Figer Svirsky, è assai più complesso. Roba quasi da alta finanza col denaro friulano che transita attraverso varie banche internazionali prima di entrare nelle casse del Flamengo. La FIGC sente puzza di bruciato e il presidente federale Sordillo blocca tutto, anche il passaggio di Cerezo alla Roma.
Ora, se la Federazione blocca il passaggio di uno che, al soprannome di ‘o Galinho (il Galletto) nel tempo aveva aggiunto, senza esagerazioni, quello di Pelé bianco e che è già leggenda del pallone, non ti puoi aspettare che non scoppi il finimondo. Così a Udine è rivolta popolare: la città scende in piazza. Dopo il sisma di sette anni prima è giusto sognare e Zico è il sogno. A piazza XX Settembre il motto garibaldino “Roma o morte” muta nel celebre e assai meno patriottico “Zico o Austria”, striscione che entra di diritto nella storia del nostro tifo. La minaccia secessionista è iconica quanto immaginifica, tuttavia l’Udinese può contare su un’alleata forte, che ha peso politico non solamente nelle stanze federali. Il presidente della Roma, l’ingegner Dino Viola, ormai prossimo all’elezione in Senato con la Democrazia Cristiana, fa i suoi passi.
Il colpo definitivo lo mette a segno, forse inconsapevolmente, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Intervistato sul tema, ammetterà candidamente: «Mi piacerebbe molto vedere giocare in Italia due campioni come Zico e Cerezo». È una frase che pesa più di una sentenza della Cassazione. Interviene quindi il Comitato Olimpico Nazionale di Carraro che mette la classica toppa e magicamente rende regolari gli acquisti dei due fuoriclasse brasiliani.
A Udine sono finalmente liberi di godersi il loro fuoriclasse, anzi la loro esclusiva fuoriserie, quella Ferrari che al mondo avevano solo loro, per citare un giornalista de Il Gazzettino. Il primo, fantastico anno Zico gonfia la rete ben diciannove volte. E le sue punizioni saranno per i portieri avversari come le parole di Pertini, ovvero sentenze delle Cassazione.
A Roma, nel 1983-84 Cerezo – oggi compie sessantacinque anni – trascina da protagonista i giallorossi al miglior risultato della storia: la finale di Coppa dei Campioni, alla quale si aggiunge la vittoria in Coppa Italia e il secondo posto in campionato.
A Rio, invece, la gente fatica ad elaborare il lutto per la dipartita del campione prediletto. Il cantautore brasiliano Moraes Moreira compone Saudades do Galinho e canta di come la domenica non sia la stessa senza Zico al Maracanà. Ci ricorda un cantante bolognese, che scriverà qualche anno dopo di una domenica che non è più domenica senza la fantasia di quel numero dieci che di divino non aveva solo il codino. Ma questa, come direbbe Federico Buffa, è un’altra storia.
di Andrea Tomassi
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