Italia-Spagna 1996 Under 21, la finale dei futuri campioni
7 Maggio 2020
Un filosofo cinese un giorno disse: «Anche il viaggio più lungo comincia con un primo passo». Italia-Spagna, finale del Campionato Europeo di categoria Under-21, è stato il preludio ad una storia in cui i protagonisti hanno percorso insieme un cammino lungo e sempre col pallone tra i piedi. Un cammino che porterà alcuni di loro, un manipolo di eroi, ad arrivare fin sulla vetta dei loro sogni più rosei. Una generazione di giovani speranze che ha mantenuto la parola, trasformandosi da promesse a campioni.
Nel 1996 la Nazionale Under-21 era allenata ancora da Cesare Maldini, al decimo anno sulla panchina degli Azzurrini e trionfatore già nelle due edizioni precedenti della manifestazione continentale. L’Italia arrivava quindi con la pressione di portare con sé il favore di ogni pronostico, era la squadra da battere. Mentre i “grandi”, guidati da Azeglio Vicini prima e Arrigo Sacchi poi, si perdevano nel momento di affondare il colpo decisivo, i ragazzi di Maldini raccoglievano vittorie e trofei a valanga. Come se il dover vincere li motivasse a non deludere.
Dopo la ferita di Pasadena, il calcio italiano cerca di ricostruirsi e fa affidamento proprio su una nuova generazione di calciatori: quelli nati tra il 1973 e il 1976. I nomi più in vista del biennio 1994-1996 sono quelli di Alessandro Del Piero, Francesco Totti, Christian Vieri, Fabio Cannavaro, Alessandro Nesta, Christian Panucci e Filippo Inzaghi. L’Europeo Under-21 del 1996 è un po’ il crocevia per capire se ai Mondiali del 1998 l’Italia potrà contare su calciatori che facciano tornare la Nazionale a giocarsi il trofeo da protagonisti, avviando un nuovo importante ciclo, con la speranza che sia finalmente vincente.
La fase di qualificazione fu più complicata del previsto. Con un solo posto a disposizione per la fase finale, la selezione di Maldini dovette affrontare i resti dell’ex URSS e Jugoslavia: l’Estonia, l’Ucraina di Rebrov, la Lituania, la Slovenia e la Croazia di Milan Rapajc, Ivan Juric e Dario Simic. Dopo la sconfitta a Kiev, l’Italia scivolava addirittura al terzo posto, dietro proprio a Croazia e Ucraina. La fase finale sembrava fortemente in discussione. La vittoria casalinga contro la Slovenia grazie ad una rete allo scadere di Fabio Galante e una esterna contro la Lituania con i gol di Marco Delvecchio e Jonatan Binotto, sistemarono la questione, prima del 2-2 in trasferta contro la Croazia che sancì la qualificazione.
Agli Europei, invece di Domenico Doardo, portiere del Ravenna, che aveva disputato gran parte delle partite nel biennio, viene chiamato Angelo Pagotto, estremo difensore della Sampdoria, riserva di Zenga. La seconda scelta è il giovanissimo portiere del Parma: Gianluigi Buffon, diciotto anni. Maldini deve rinunciare in corso d’opera agli infortunati Vieri e Inzaghi e per sostituirli pesca dall’Atalanta il talentuoso Domenico Morfeo, tanta fantasia quanto faccia svagata e indolente e Francesco Totti, attaccante della Roma che ha già fatto sgranare gli occhi per il suo estro. Non erano mai scesi in campo nelle qualificazioni.
La fase finale viene organizzata dalla Spagna al Montjuïc di Barcellona e ai quarti l’Italia dovette affrontare il Portogallo di Nuno Gomes e Sergio Conceição, riuscendo a superarlo battendolo in casa 2-0 e ribaltando la sconfitta dell’andata. In semifinale l’Under incontra la Francia, che poteva contare su gente come Robert Pires, Claude Makélélé, Vincent Candela, Patrick Vieira e Sylvain Wiltord. Sulla panchina dei transalpini siede un certo Raymond Domenech: ne sentiremo parlare. La selezione di Maldini, orfana di Nesta e Cannavaro, vince 1-0 ed è Francesco Totti, dopo un contrasto tra Nicola Amoruso e il portiere francese Letizi, a portare l’Italia ancora una volta in finale, la terza nelle ultime tre edizioni dell’Europeo.
La finale del 31 maggio contro i padroni di casa della Spagna è una parata di astri nascenti, di fiori che stanno per sbocciare, di prime apparizioni da primi della classe. È stato un vero e proprio spartiacque, soprattutto per la Nazionale azzurra, il primo trionfo di una generazione d’oro. Cesare Maldini sceglie una formazione coperta con Pagotto in porta e una linea difensiva a cinque uomini con Panucci, Nesta, Fresi, Galante e Cannavaro. Sulla mediana agivano Brambilla, Ametrano e Tommasi, mentre in avanti duettavano Totti e Nicola Amoruso. Per il tecnico delle Furie Rosse,Javier Clemente, le speranze portavano i nomi di Fernando Morientes (che però troverà spazio solo nei supplementari), Ivan De la Peña (ieri il suo compleanno), Gaizka Mendieta e soprattutto Raul Gonzalez Blanco, marcato a uomo da Fabio Galante. L’ex difensore dell’Inter tornerà su quella partita in un’intervista: «L’ho riempito di botte, ma non ha mai avuto reazioni isteriche. Era già un gran signore».
Su un prato tutt’altro che verde del Montjuïc, la Nazionale azzurra trova il vantaggio al 12’ con un’autorete di Idiakez in seguito ad un colpo di testa di Totti, sugli sviluppi di un calcio di punizione di Ametrano. Al 42’ una punizione di Raùl aggira la barriera e batte l’incolpevole Pagotto. Ma non è l’unico incidente di percorso per gli Azzurrini: viene espulso Nicola Amoruso. L’arbitro Benko prende due decisioni eufemisticamente discutibili: prima lo ammonisce per una simulazione dubbia, poi lo ritiene colpevole in un rissone a centrocampo e lo ammonisce una seconda volta, lasciando l’Italia in dieci uomini.
Il secondo tempo in inferiorità numerica vede gli azzurri dover resistere di fronte all’assedio rosso, finché Maldini decide di togliere anche Francesco Totti, inserendo Domenico Morfeo, per disporsi con un distopico 5-4-0. Una fortezza guidata da Panucci, Nesta, Fresi, Galante e Cannavaro. La partita diventa un match con botte da orbi in cui l’enorme talento viene messo da parte per esprimersi con rabbia, grinta e temperamento. Nei supplementari gli Azzurrini restano addirittura in nove uomini per l’espulsione di Raffaele Ametrano al 104’, ma riescono a resistere fino ai rigori. Dopo l’errore dal dischetto di Panucci, dalla postazione RAI, il telecronista Carlo Nesti mette già le mani avanti: «Comunque vada, è un’impresa per la nostra squadra arrivare ai rigori in nove». Ivan De la Peña imita Panucci e si fa parare il rigore da Pagotto. La sequenza continua immacolata con Fresi, Pistone e Nesta per l’Italia, De Pedro e Aranzabal per la Spagna, che vanno a segno. Ma è proprio l’uomo più atteso degli iberici a deludere: Raùl calcia alla sua sinistra, ma il portiere azzurro riesce addirittura a bloccare il tiro in due tempi. L’ultimo tiro dal dischetto è quello di Domenico Morfeo. Prima di andare a calciare, il centrocampista dell’Atalanta chiede a Panucci: «È decisivo il rigore?». Non lo sapeva neanche lui. Morfeo segna. L’Italia Under-21 è campione d’Europa per la terza volta consecutiva.
Una partita che è stata lo stadio finale di una metamorfosi di piccoli bruchi diventati finalmente farfalla. E pronti a volare spensierati verso mete e traguardi sognati sin da bambini. Una generazione di calciatori che quel 31 maggio 1996 sono diventati grandi per la prima volta, in attesa di diventare eroi. Alessandro Nesta e Alessandro Del Piero, che non partecipò alla fase finale di questo Europeo Under 21, pochi giorni più tardi partirono per l’Europeo inglese con la Nazionale maggiore, mentre Fabio Cannavaro, nominato miglior giocatore del torneo, partirà alla volta delle vacanze con tutti gli altri. Per lui ci sarà tempo e modo di indossare la maglia azzurra più prestigiosa, così come per il secondo portiere Gianluigi Buffon. Ma è anche l’estate in cui Francesco Totti rischiò veramente di lasciare la Roma, complice un rapporto poco idilliaco con il nuovo tecnico Carlos Bianchi, che voleva sostituirlo con il finlandese Litmanen. Con i giallorossi giocherà in totale 619 volte, diventando re di Roma ed eroe di Berlino, assieme proprio ai sopracitati, che la sera del Montjuïc sono diventati grandi con lui. Un ruolo di alto profilo tutto polmoni è stato giocato da Damiano Tommasi nella Roma e nella Nazionale azzurra.
La Spagna, in attesa di tempi migliori, vedeva solo i primi petali di un fiore che sarebbe sbocciato nella sua bellezza più estrema. Le giovani Furie Rosse avevano una guida che portava il nome di Raùl Gonzalez Blanco, forse l’unico – assieme al Moro Morientes – che tra quelli della finale del 1996 andò anche oltre i sogni più luminosi. Gli altri, solo a metà: pensiamo al genio incompiuto di Mendieta, al fuoco intermittente di De la Peña, bruciante e trascinatore nei primi anni di Barcellona, spento e avulso nelle esperienze con Lazio e Olympique Marsiglia.
Ma la finale dell’Europeo 1996 è stata anche la sera delle illusioni. Negli azzurri sembrava in ascesa la carriera dei vari Galante, Pagotto, Fresi e Ametrano su tutti, ma finirono imbottigliati in un saliscendi tra Serie A e Serie B. Per non parlare dell’eterno incompiuto Morfeo.
Nel 31 maggio 1996 del Montjuïc c’è quindi di tutto: sogni, speranze, fiori, farfalle e dolci illusioni. Una partita in cui il pallone ha rotolato troppo forte per alcuni, troppo piano per altri. Travolgendo la vita di ognuno di loro.
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