Anni Ottanta, Novanta e Duemila: qual è la Nazionale italiana più forte tra queste?
15 Maggio 2020
ITALIA 1990 – 1999: Modulo 4-3-1-2
Zenga; Bergomi, Ferrara, Baresi, Maldini; Berti, Albertini, D. Baggio; R. Baggio; Vialli, Signori. Allenatore: Vicini
Walter ZENGA
Le sue 58 presenze in nazionale lo rendono il terzo portiere di sempre, dietro a Buffon e Zoff. Un podio niente male, per un numero 1 che ha fatto la storia dell’Inter e della Nazionale italiana. Zenga è un vero e proprio personaggio, uno che sa il fatto suo sia in campo che fuori: come è possibile definire altrimenti uno che canticchia “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” rispondendo alle domande dei giornalisti in merito alla sua esclusione dall’azzurro? Walter Zenga ha al suo attivo la partecipazione all’Olimpiade di Los Angeles del 1984, il Mondiale del 1986 da terzo portiere e l’intera era di Azeglio Vicini, vissuta da protagonista sia agli Europei del 1988 che ai Mondiali del 1990, dove il suo record di imbattibilità di 517 minuti viene battuto dal maledetto colpo di testa di Caniggia. L’avvento di Sacchi e la concorrenza di Pagliuca e Marchegiani mettono la parola fine alla sua bella avventura in maglia azzurra. Negli anni ’90 il duello tra i portieri era tra lui e Tacconi. Walter in azzurro ha vinto su tutta la linea.
Giuseppe BERGOMI
Con ogni probabilità lo Zio sta bene sia nella Nazionale del decennio precedente – con la quale a diciotto anni si laurea Campione del Mondo, marcando in finale Karl-Heinz Rummenigge – che in questa. Ardua è stata dunque la scelta per il posizionamento di Beppe, uno che è complicato anche inquadrare in un ruolo preciso della difesa. Perché, semplicemente, li sa fare tutti. Sono 81 le presenze in azzurro per Bergomi, corredati da sei gol e dalla partecipazione agli Europei del 1988, ai Mondiali del 1986, del 1990 e a quelli del 1998. Della Nazionale è stato anche capitano, dal 1988 al 1991. La curiosità: nell’esordio di Vicini sulla panchina azzurra, Bergomi mette a segno due reti nella vittoria contro la Grecia, diventando il primo difensore a realizzare una doppietta con la maglia azzurra e indossando per la prima volta in quella occasione la fascia di capitano, che sarà sua dalla gara contro l’URSS del 20 febbraio 1988. L’addio di Vicini e l’avvento di Sacchi frenano la sua carriera in azzurro, che si interrompe bruscamente nel 1991. Ma lo Zio è immortale, e torna in grande stile: è uno dei convocati a Francia ’98, conclusione degna di una storia calcistica davvero eccezionale.
Ciro FERRARA
Se due come Boniek prima e Giggs poi ti inseriscono tra i difensori più complicati con cui duellare, è inevitabile che sei tra i grandi interpreti del ruolo. Del resto, la scuola italiana dei difensori raramente tradisce, e non lo fa con Ciro Ferrara, simbolo a Napoli prima – due scudetti e una Coppa UEFA – e con la Juventus poi, dove vince tutto. Uno così non può non trovare spazio in Nazionale. L’esordio arriva con Vicini, che lo porta sia agli Europei del 1988 che ai Mondiali di Italia ’90, con il piacevolissimo intermezzo della nazionale olimpica a Seul 1988. Marcatore poliedrico e affidabile, Ciro tocca il massimo nella gestione azzurra di Azeglio, e paga dazio poi con Sacchi e la sua dottrina della difesa a zona: per Arrigo, Ferrara non è adatto. Torna nel 1995, ma un infortunio lo mette fuori causa per Euro ’96. È poi parte integrante del ciclo di Cesare Maldini, ma anche per Francia ’98 il destino ci mette lo zampino e resta fuori dalla rassegna iridata. Non demorde, e c’è anche con Zoff, che lo porta ad Euro 2000: contro la Svezia gioca l’ultima delle sue quarantanove gare azzurre.
Franco BARESI
Come si riassume la carriera di un mito? Potremmo magari soltanto ricordare la finale del Rose Bowl di Pasadena, quando Franco Baresi gioca da par suo la finale di USA ’94 contro il Brasile. Un eroe, visto che si era infortunato contro la Norvegia poco più di venti giorni prima. In Nazionale a vent’anni, Bearzot lo porta agli europei nel 1980 e a Spagna ’82: ancora un ragazzo, è la riserva di Scirea, un ottimo maestro per il ruolo di libero e difensore centrale. L’esordio è il 4 dicembre del 1982 contro la Romania. Il rapporto non particolarmente buono con Bearzot lo rende particolarmente insoddisfatto, tanto da saltare i Mondiali del 1986 per un litigio con il commissario tecnico. Torna al comando con Vicini, che lo rende punto fermo e lìder maximo della Nzionale azzurra. C’è ovviamente anche con Sacchi, nonostante alla nomina di Arrigo, Baresi decide di dire basta. Convinto da Matarrese a restare, Baresi, fascia da capitano al braccio, gioca il Mondiale di USA ’94 da eroe. Le sue lacrime dopo il rigore sbagliato sono ancora nel cuore di tutti noi, rendendo umano un vero e proprio Dio della difesa. Per Franco sono 81 le presenze in azzurro, con un gol, quello segnato su rigore all’Unione Sovietica.
Paolo MALDINI
Questo ragazzo – non si sa perché, ma certi giocatori sembrano non invecchiare mai – ha giocato con la maglia azzurra 126 partite. Di queste, 74 lo hanno visto con la fascia di capitano al braccio. Ben pochi giocatori nella storia hanno i numeri e il palmares di Paolo Maldini, terzino sinistro nell’immaginario collettivo a partire dagli anni ’90. Stiamo parlando di un calciatore che ha disputato ben quattro edizioni dei Mondiali (1990, 1994, 1998 e 2002). Con la maglia azzurra ha disputato 126 partite, di cui 74 come capitano, realizzando sette gol. Nei campionati del Mondo ha collezionato ventitré presenze – seconda prestazione assoluta dopo le venticinque partite di Lothar Matthäus che, però, disputò cinque edizioni contro le quattro di Maldini – durante le quali ha stabilito il record assoluto per i minuti giocati: 2.216. Per amor di cronaca, Matthäus ha giocato più partite, ma in alcune di queste è stato sostituito o è subentrato ad un compagno, totalizzando un numero inferiore di minuti in campo. Esordio a diciannove anni nel 1988, questo giovanotto già noto a Vicini ai tempi dell’Under 21 gioca l’Europeo di quell’anno da titolare, come accade per Italia ’90. La situazione non cambia con Sacchi, che lo aveva avuto già ai tempi del Milan. Di fatto un’icona, di stile, di gioco, di correttezza e di temperamento, abile nella fase difensiva e nelle chiusure e altrettanto nelle sortite sulla fascia.
Nicola BERTI
Ci hanno provato in molti, ad inquadrarlo in un ruolo, a dargli un compito, a imbrigliare la sua fantasia in un modulo. Nessuno ci è riuscito, e forse per questo in Nazionale ha raccolto poco in proporzione al talento. E ne ha parecchio di talento Nicola Berti, in nazionale maggiore passando attraverso il fiorente vivaio dell’Under 21, esordendo a ventuno anni – era il 1988 – nell’amichevole contro la Norvegia e segnando il primo gol contro la Scozia un paio di mesi dopo. Protagonista a Italia ’90, con Arrigo Sacchi a USA 94, il nostro Berti, genio e sregolatezza per antonomasia, Cavallo Pazzo ha frequentato l’ambiente azzurro mettendo insieme trentanove presenze e segnando tre gol, tutti in amichevole. Talento e incostanza, ma spesso freccia decisiva nell’arco dei commissari tecnici (e degli allenatori dell’Inter, ovviamente).
Demetrio ALBERTINI
Metronomo, specialista dei calci piazzati, centrocampista centrale tra i più pregiati del decennio. Fiore all’occhiello – uno dei tanti di quegli anni – del Milan, dove è cresciuto e dove ha vinto ogni cosa. E uno così cosa può rappresentare per la Nazionale di quegli anni? Un po’ troppo giovane per Italia ’90, Demetrio trova spazio in nazionale a partire dal 1991. Non ne uscirà più fino al 2002, scendendo in campo per 79 volte – e sei da capitano – mettendo a segno tre reti. Assist da ricordare? Beh, ve ne ricordiamo un paio. Quello a Massaro nel decisivo pareggio contro il Messico a USA ’94 può bastare? O dobbiamo scomodare l’assist a Baggio per il raddoppio contro la Bulgaria in semifinale? Ecco, in quel «Vai provvidenza» di Pizzul, qualche merito, molti in effetti, ce li ha anche Demetrio. E il pallonetto per il Codino è poesia, che solo uno come Baggio può trasformare in capolavoro assoluto. E se vogliamo proprio commuoverci, o farci male, la coppia Albertini-Baggio mette a segno a Francia 98, nella gara persa dagli azzurri il più bel “quasi goal” della storia, quando l’assist di Demetrio per Baggio non diventa la rete decisiva per un paio di centimetri.
Dino BAGGIO
Lo sappiamo, qui vi abbiamo spiazzato. Però a nostro dire Dinone è assolutamente degno di stare in questo undici, anche e soprattutto per quanto proposto a USA ’94, dove è stato assoluto protagonista, decisivo nella seconda partita del girone, quella contro la Norvegia, dove il suo colpo di testa ha risolto la complicatissima partita azzurra, in dieci per l’espulsione di Pagliuca. Vittoria decisiva per il passaggio del girone. Dino Baggio e Albertini cementificano l’asse centrale, e l’Italia comincia a volare, spinta dalla solidità dei due e da quella Divinità con il codino in avanti. Dino concede il bis con il grandissimo gol alla Spagna nei quarti e sigilla il suo Mondiale da protagonista. C’è anche ad Euro ’96 e a Francia ’98. Un onestissimo centrocampista vecchie maniere, capace, come dicono quelli bravi, di “cantare e portare la croce”. Non un campione, ma uno di cui ci si può fidare. Per lui sessanta presenze in azzurro e sette gol. Le due più importanti sotto il sole americano. Due curiosità relative a Baggio-2 e alla Coppa UEFA: Dino ha vinto la Coppa per tre volte (una con la Juventus e due con il Parma) ed ha messo a segno cinque reti in due finali della Coppa, andata e ritorno (tre nella doppia finale tra bianconeri e Borussia Dortmund nel 1993 e due nello scontro tra ducali e Vecchia Signora nel 1995).
Roberto BAGGIO
Se uno pensa al calcio inteso come sport che ha fatto innamorare la quasi totalità degli esseri bipedi sulla Terra, non può non pensare a Roberto Baggio, forse il più grande giocatore italiano di sempre, di certo il più discusso e forse il più sfortunato. Esordio in azzurro a ventuno anni, con assist per Vialli. È il 1988. Nel 1989 il primo gol, su punizione, tra le tante specialità della casa, contro l’Uruguay, mentre è la Bulgaria che ha avuto il privilegio di vedersi segnare la prima doppietta. È un portento, e lo dimostra a Italia ’90 dove mette a segno la rete capolavoro contro la Cecoslovacchia: il triangolo a metà campo con Giannini e lo slalom tra gli avversari prima di mettere il pallone alle spalle di Stejskal. È impossibile mettere insieme le perle di Baggio in azzurro, una vera e propria galleria d’arte. C’è USA ’94, e il Mondiale di Roby si colora agli ottavi contro la Nigeria. Assist di Mussi e gol del pareggio a una manciata di secondi dalla fine, rete decisiva al primo tempo supplementare. E poi la rete decisiva alla Spagna e la fantastica doppietta alla Bulgaria. Leggendario è dire anche poco, anche pensando alla finale, giocata reduce da un infortunio e che vede al suo attivo uno dei rigori sbagliati dagli azzurri contro il Brasile. Resta fuori dall’Italia per due anni dopo alcune divergenze con Sacchi, ci torna nel 1997 e viene convocato da Cesare Maldini per Francia ’98, dove Roberto sembra in gran forma ma subisce la staffetta con Del Piero. È decisivo ogni volta che gioca o che entra, rischiando di siglare anche il golden gol contro la Francia. Questione di centimetri: finisce comunque il Mondiale con due reti segnate, diventando l’unico giocatore italiano a segnare in tre differenti kermesse iridate. Il resto è storia e rimpianti per le mancate convocazioni, che nulla hanno comunque tolto alla Leggenda rappresentata dal legame tra Roberto e la maglia azzurra. Per lui 56 presenze e 27 reti.
Gianluca VIALLI
Il rapporto di Gianluca con la Nazionale può tranquillamente declinarsi sullo spartito dell’Odi et Amo. Conquistata a ventuno anni a furor di popolo, lasciata a ventotto – nel pieno della sua maturazione tecnica – tra polemiche ed incomprensioni con il CT, Arrigo Sacchi. D’altronde Vialli è così: prendere o lasciare. L’istrionico e riccioluto attaccante conquista subito i pareri più che positivi dell’entourage di Bearzot: il Vecio lo fa esordire nel 1985 in occasione di un’amichevole pre-mondiale contro la Polonia per poi portarlo con sé in Messico come alternativa sulla fascia a Bruno Conti. Eh sì, perché il primo Vialli svaria dalla fascia al centro dell’attacco. Caratteristica affinatasi alla Sampdoria insieme al suo altro gemello, Mancini. La sua attitudine al gol cresce con gli anni che passano e l’avvicendamento sulla panchina azzurra tra Bearzot e Vicini gli consente di conquistare stabilmente la titolarità. Una sua spettacolare doppietta contro la Svezia al San Paolo consente alla Nazionale di staccare il pass per gli Europei del 1988 ed è lui a sbloccare il risultato nella sfida decisiva contro la Spagna durante la kermesse continentale. In vista dei Mondiali di casa è lui l’attaccante su cui tutti i tifosi puntano e la crescita esponenziale della sua Sampdoria lo porta ad avere visibilità su scala globale. Ed invece, la tensione e i problemi fisici gli tirano un brutto scherzo: l’unico lampo mondiale si manifesta quando sforna l’assist per la testa di Schillaci che vale il gol-vittoria nell’esordio contro l’Austria. Scaglia un rigore sul palo contro gli Stati Uniti e, praticamente, il suo torneo finisce qui. L’esplosione di Totò lo relega in panchina sino alla fine del torneo. Passano gli anni, ma Vialli non perde il vizio di segnare. Nel frattempo è arrivato Sacchi ed i suoi metodi mal si conciliano con quelli dell’attaccante che è in procinto di salutare la Sampdoria per accasarsi alla Juventus. La corda si spezza definitivamente a fine 1992: Gianluca segna contro Malta, ma le frizioni con il tecnico di Fusignano lo portano definitivamente fuori dal giro azzurro. Un peccato. Quasi inevitabile quando si scontrano due caratteri così orgogliosi. È il calcio, bellezza…
Giuseppe SIGNORI
La sua rincorsa parte da lontano, dalla provincia bergamasca per poi trovare la consacrazione al termine di un giro d’Italia che lo ha portato ad essere l’uomo simbolo del Foggia. È proprio lì che va a pescarlo Arrigo Sacchi, diventato commissario tecnico della Nazionale dopo la mancata qualificazione ad Euro ’92. L’ex trainer del Milan pone le basi per un profondo ricambio generazionale e Beppe sta stupendo l’Italia con i Satanelli guidati da Zeman. Signori, dunque, viene scelto per guidare l’attacco azzurro e, nel giro di poco tempo, insidia per poi conquistare stabilmente il posto che prima era occupato da Vialli. Passa dal Foggia alla Lazio e nella Capitale diventa il re incontrastato dei bomber, aggiudicandosi ben due titoli di fila (1992-93 e 1993-94) rispettivamente con ventisei e ventitré gol. Nel frattempo scocca l’ora dei Mondiali americani. Nel gruppo dei ventidue che vestiranno l’azzurro negli afosi pomeriggi statunitensi c’è anche Beppe. Non segna mai, ma il suo piede sinistro sforna assist decisivi per le sorti dell’Italia intera: prima poggia sulla testa di Dino Baggio il pallone che vale il gol-vittoria contro la Norvegia, poi s’inventa l’assist per Roberto Baggio durante i quarti di finale contro la Spagna. Il Divin Codino che lo chiama a sé dopo il gol rappresenta una delle scene più mutuate negli anni. Sebbene l’Italia esulti, Beppe rimugina non poco per le astruse richieste di Sacchi che lo costringe al ruolo di centrocampista, tanto da rifiutare l’ingresso in campo durante la semifinale contro la Bulgaria. Una decisione di petto che, però, fanno svanire le sue speranze di prender parte alla finalissima contro il Brasile. Così come nel caso di Vialli, anche nel suo caso il rapporto con l’allenatore di Fusignano non sarà mai idilliaco, tant’è che la sua ultima apparizione in azzurro è datata 1995, limitando a tre anni, dunque, il rapporto con la Nazionale di Beppe-gol. Ma tanto è sufficiente per rimanere nei cuori di tutti.
Commissario Tecnico: Azeglio VICINI
Se Sacchi ha diviso nei suoi anni azzurri, Azeglio Vicini è sempre stato il CT di tutti. E per questo ci piace inserirlo alla guida della squadra che vi abbiamo presentato. Vicini, per dieci anni commissario tecnico dell’Under 21, è chiamato nel 1986 a sostituire il monumento Bearzot alla guida della Nazionale maggiore. Lo fa con l’umiltà e la discrezione che lo hanno sempre contraddistinto: fa subito molto bene all’Europeo del 1988, attingendo a piene mani dalla “sua” Under 21 e formando una Nazionale ben bilanciata tra giovani e “anziani”, raccogliendo anche i favori della critica. La sfortuna lo ha invece colto ad Italia ’90, dove il pareggio di Caniggia e i rigori sbagliati dai suoi hanno reso impossibile l’accesso alla finale del mondiale casalingo. La mancata qualificazione ad Euro ’92 ha messo la parola fine alla sua comunque bella avventura azzurra.
A disposizione
È stato molto complicato trovare soltanto undici giocatori per rappresentare gli anni ’90 della nazionale azzurra. Molti, troppi, ne abbiamo dovuti lasciar fuori. Pensiamo a Pagliuca, a Costacurta e Tassotti, ad Ancelotti, a De Napoli e Giannini, a Donadoni e Mancini, a Zola e Casiraghi, ma forse soprattutto pensiamo a Salvatore Schillaci, eroe di Italia ‘90, sedici presenze e sette reti segnate. Di queste, ben sei al Mondiale. «Nemmeno un folle avrebbe mai potuto immaginare cosa mi stava per accadere. Ci sono periodi nella vita di un calciatore nei quali ti riesce tutto. Basta che respiri e la metti dentro. Per me questo stato di grazia è coinciso con quel campionato del mondo. Vuol dire che qualcuno, da lassù, ha deciso che Totò Schillaci dovesse diventare l’eroe di Italia ‘90. Peccato che poi si sia distratto durante la semifinale con l’Argentina. Una disdetta: abbiamo preso solo un gol in quell’edizione dei mondiali, e quel gol ci ha condannati», così Totò parla di quel torneo. E noi non avremmo veramente saputo dirlo in maniera migliore.
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