I 15 argentini meno argentini che abbiamo visto giocare in Serie A
2 Settembre 2021
4. Roberto Luis TROTTA

Provate ad esclamare il nome di Roberto Luis Trotta ad un tifoso della Roma. Semmai riusciste ad uscirne indenni, o almeno senza un’imprecazione, sapreste che il vostro interlocutore non è un tifoso della Roma. Insieme al suo ricordo, infatti, viene inevitabilmente evocato Carlos Bianchi, l’allenatore proveniente dal Velez Sarsfield che volle fortemente con sé il terzino e fece il possibile per sbarazzarsi di un certo Francesco Totti, poco adatto – a suo modo di vedere – alla sua filosofia. Per gran fortuna dei supporter di fede giallorossa, l’esperienza dell’entrenador si esaurì nel giro di pochi mesi. E parallelamente l’avventura di Trotta con i colori giallorossi sulle spalle. L’esordio è di quelli da dimenticare, così come la stagione 1996-97 che, per inciso, vide il povero Sensi sborsare fior di miliardi per Martin Dahlin. Dicevamo del debutto di Trotta che avviene in Coppa Italia contro il Cesena, formazione che milita in Serie B. Hubner e Agostini non credono ai propri occhi: in difesa l’argentino è un corpo avulso, lento ed imballato. Sembra quasi uno scherzo per loro infilare la porta giallorossa per ben tre volte. E se il buongiorno si vede dal mattino… Le cose non cambiano con il passar del tempo e ogni sua prestazione viene accompagnata da un continuo tappeto di fischi da parte dei tifosi romanisti che non si capacitano cosa abbia portato il tecnico a dar fiducia ad un giocatore così inconsistente. Dopo sei gettoni in campionato, nel mese di gennaio, Roberto Trotta viene ceduto al River Plate senza il minimo ripensamento. Soltanto tre mesi prima rispetto al suo mentore che vedrà recapitarsi dalla dirigenza romanista un biglietto di sola andata per l’Argentina nel mese di aprile.
3. Juan Eduardo ESNAIDER

Nelle intenzioni dei dirigenti juventini c’era la volontà di trovare un degno sostituto di Del Piero, gravemente infortunatosi durante il torneo 1998-99. Nella pratica, invece, si ritrovarono fra le mani con uno dei più grandi equivoci che i tifosi di fede bianconera possano ricordare. In un anno al Delle Alpi, Esnaider non fu in grado di mandare neanche un pallone alle spalle dei portieri avversari, facendosi ricordare di più per le sue intemperanze caratteriali che già gli erano costate il posto tra le fila dell’Espanyol. Inconsistente come difficilmente se non visti, se non alla Juventus, comunque in Italia, l’attaccante argentino rappresenta tutto quel che un centravanti non dovrebbe fare. Rivelatosi ben presto un peso piuttosto che una risorsa, la sua inconsistenza si rivela drammaticamente nel suo bilancio al termine dell’esperienza alla corte della Vecchia Signora: sia con Lippi che con Ancelotti in panchina, non ha mai guadagnato la stima dei propri tecnici e nell’anno trascorso a Torino ha messo a segno soltanto una rete nel match di Coppa UEFA contro l’Omonia Nicosia in ventitré uscite complessive.
2. Gustavo Javier BARTELT

Fu il vero sogno di una notte di mezz’estate quello tra Bartelt e la Roma. Un amore effimero, nato come un colpo di fulmine e svanito al primo alito di vento. Nell’estate del 1998 si vocifera nella Capitale che la società sta sferrando l’attacco per un giovane attaccante che possa raccogliere l’eredità di Balbo e possa integrarsi al meglio negli schemi di Zeman. Si fanno i nomi di Shevchenko, Montella e Trezeguet. Ed alla fine la dirigenza giallorossa optò per il bomber argentino che con il Lanus aveva fatto sfracelli in patria, dopo aver ben figurato negli anni precedenti con l’All Boys. Esordisce con la maglia della Roma in una amichevole contro il Santos: vincono i brasiliani 3-2, ma Bartelt realizza una doppietta. Va a segno anche in Coppa Italia con il Chievo Verona e in campionato risolve da solo un match intricatissimo contro la Fiorentina: con la Viola in vantaggio per 0-1, Bartelt subentra a pochi minuti dalla fine e contribuisce in maniera decisiva a risolvere il match con due assist decisivi che fissano il risultato sul 2-1 finale. Sembra l’inizio di una favola e invece finisce già tutto qui. Zeman non lo considera adatto al suo modo di interpretare il calcio e lo relega ai margini del suo progetto, concedendogli soltanto qualche scampolo di partita dove Gustavo sembra la copia sbiadita e svogliata di colui che in estate incendiò l’Olimpico. Con Capello va ancora peggio e i gettoni si riducono a tre. Non serve neanche il prestito all’Aston Villa per fargli prendere il ritmo: rimane a Birmingham per sei mesi senza mai disputare un singolo minuto. Poi l’unico gol europeo nella parentesi spagnola al Rayo Vallecano. Al suo ritorno viene coinvolto nello scandalo-passaporti: finisce fuori rosa per ben due anni e al termine del suo contratto nessuno si accorge del suo addio. Eppure, oggi, qualcuno ancora si ricorda quella partita illusoria…
1. Sebastian Pascual RAMBERT

L’avventura del Avioncito in casa nerazzurra dura il tempo di una trasvolata da Malpensa ad Appiano Gentile e viceversa. Il suo arrivo viene annunciato come uno dei colpi in prospettiva che potranno assicurare all’Inter del futuro quell’incisività necessaria in attacco per tornare a dire la sua fra le grandi. Il presidente Moratti sborsa ben 4,2 miliardi per lui, con la neanche tanto celata speranza di aver assicurato ai tifosi dell’Inter un nuovo prospetto sui cui contare per il futuro. Il giorno della presentazione tutti gli obiettivi sono per lui e passa quasi in secondo piano l’altro ragazzo acquistato dal Banfield: il suo nome è Javier Zanetti. Sebastian è l’eroe di giornata e qualcuno si frega le mani, nella spasmodica attesa di vederlo volare in campo e sotto la Curva Nord. Per lui parlano le entusiastiche recensioni in patria e la stima del commissario tecnico dell’Argentina, Daniel Passarella, che lo convoca in pianta stabile per l’Albiceleste nonostante abbia appena compiuto ventun anni. E, invece, l’ex centravanti dell’Independiente si rivale un innesto dal contributo pressoché nullo. Racimola soltanto qualche minuto nel tragicomico match di Coppa UEFA contro il Lugano che costa una clamorosa eliminazione dal tabellone e compie quel che si fatica a definire una sgambata in un incontro di Coppa Italia contro la formazione di Serie C1 del Fiorenzuola. Nulla di più. Non conquista la fiducia né di Bianchi, né di Suarez, né di Hodgson che si alternano sulla panchina nerazzurra nel giro di due mesi a malapena. A novembre viene già messo su un altro aviòn, direzione Saragozza, dove vive la parte finale della stagione, prima di tornarsene in patria.
di Nando Di Giovanni

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