Chi sono gli 11 giocatori più forti che hanno giocato con Bruno Conti?
13 Marzo 2020
Un brasiliano nato e cresciuto a Nettuno, una promessa del baseball e un campione del Mondo di calcio. Non è una bizzarria anomala, né si parla di un gruppo di amici in stile Piccole Canaglie. Oddio, piccolino lo era. Una canaglia? Possiamo definirlo così, ma agli occhi degli avversari colpiti dalla labirintite dopo un suo dribbling. Tutto ciò, che ci crediate o no, era “soltanto” Bruno Conti, simbolo immarcescibile di una squadra, quella giallorossa della Capitale: la Roma.
Oggi MaraZico – soprannome affibbiatogli durante il Mundial ’82 in Spagna per le sue doti tecniche che sintetizzavano quelle del campione argentino e dell’asso carioca – compie ben 66 anni. Il tempo è passato, è vero, ma la memoria ferma momenti che non invecchiano, né s’impolverano. Ingialliscono solo le figurine, quelle sì che possono farlo. E allora, con un piccolo sforzo di memoria, sfogliamo gli album del passato e giochiamo insieme a Bruno per cercare di comporre il miglior undici composto con i compagni di squadra con i quali si son difesi gli stessi colori in quasi vent’anni di sfide domenicali.
Franco TANCREDI
È il 1977 quando il ragazzo di Giulianova sbarca a Roma dopo un’ottima annata vissuta con il Rimini in Serie B. Ha soltanto ventidue anni ed il suo ruolo è quello di crescere alle spalle del titolare, Paolo Conti. Dopo due annate vissute in panchina, lo scalza dal ruolo di titolare e conquista la maglia numero uno. Non la lascerà per oltre dodici anni, diventando una sicurezza man mano che prosegue lungo la strada della maturazione, tanto da non perdere neanche una partita di campionato fino al 1987-88. È uno degli eroi dello storico scudetto giallorosso nel 1983. Insieme a Giovanni Galli si contende l’eredità in Azzurro della maglia di Zoff: inizialmente Bearzot lo preferisce all’estremo difensore viola, ma poco prima dei Mondiali in Messico nel 1986 perde il duello appannaggio del toscano. Lascia i capitolini nel 1990 per terminare la carriera con la maglia del Torino, esattamente un anno prima che Bruno dicesse basta al mondo del calcio.
Sebastiano NELA
Terzino destro, ma mancino naturale. Basta questa semplice constatazione per inquadrare le peculiarità di Sebino, un idolo della tifoseria giallorossa. Il ragazzo di Rapallo ha fatto della corsa, della tenacità e delle incursioni verso l’attacco il suo marchio di fabbrica. S’incontra con Bruno Conti già nel 1978 quando entrambi vestono la maglia del Genoa: l’ala destra sta vivendo la sua seconda esperienza in prestito con i colori rossoblù addosso, mentre Sebastiano non è ancora maggiorenne e sta facendo i primi passi con la prima squadra del Grifone. In giallorosso lo raggiungerà nel 1981, dopo aver trascinato i liguri alla promozione, su precisa indicazione di Nils Liedholm che ne esalta le doti tecniche ed il “piede inverso” per inanellare una serie infinita di cross verso la testa di Pruzzo. Condivide il cammino in giallorosso con Conti fino alla data del ritiro di MaraZico, mentre lui resiste fino al 1992, quando poi passa al Napoli ed infine al Civitavecchia prima di ritirarsi.
ALDAIR
Il brasiliano di Ilheus fa giusto in tempo ad arrivare a Roma per ammirare il canto del cigno di Bruno in giallorosso. Pluto sottoscrive il contratto con la squadra della Capitale subito dopo l’edizione nostrana dei Mondiali di Calcio, durante i quali si è messo in mostra tra le fila del Brasile, nonostante l’edizione sottotono della Seleção. S’imporrà con il passare del tempo, sia in campo che nei cuori della tifoseria con il nome di Pluto, sinonimo di fedeltà ed amore indefesso nei confronti dei colori della Roma. Si tratta di uno degli ultimi lasciti del presidente Dino Viola, a cui subentrerà Giacomo Ciarrapico nel corso della stagione. Mentre Aldair spicca il volo, Bruno ormai è incamminato sul viale del tramonto, ma avrà il tempo di poter ammirare uno dei difensori più eleganti e tecnici che abbiano mai messo piede in riva al Tevere. Diventa capitano nel giro di poco tempo, ma consegna la fascia all’astro nascente di casa nel 1998-99, senza minare però la sua leadership in campo. Dopo la vittoria dello Scudetto – e il titolo di Campione del Mondo con il Brasile nel 1994 – lascia la Roma nel 2003 dopo tredici anni di onorato servizio.
Agostino DI BARTOLOMEI
Quanto manca un personaggio come Ago solo Iddio lo sa. Leader silenzioso nello spogliatoio, forse meno in campo, ma il carisma è sempre stato una sua prerogativa. Nasce nel ruolo di centrocampista arretrato, davanti alla difesa e lo spiccato senso tattico lo portano naturalmente ad impostare la manovra e a dettare i tempi della squadra. Il suo destro è esplosivo e preciso: i calci da fermo sono tutti i suoi. Alla fine degli anni ’60 riesce ad entrare a far parte delle giovanili della Roma e ben presto il tecnico Trebiciani lo fa esordire in Serie A, quando ha appena compiuto i suoi diciott’anni, in quel di San Siro contro l’Inter. Manlio Scopigno, ex tecnico del Cagliari tricolore, gli dà un posto da titolare quando allena il Lanerossi Vicenza in Serie B, eleggendolo a fulcro della squadra: ogni pallone passa per i suoi piedi. Al ritorno all’Olimpico la Roma si ritrova con un signor centrocampista di vent’anni che sventaglia palloni che è un piacere. Negli stessi anni anche Conti matura fra la Capitale e la provincia. Con l’inizio degli anni ’80 Diba arretra il proprio raggio d’azione per volere di Nils Liedholm, cucendo su di lui il prototipo del modello del difensore moderno dai piedi buoni. Questa intuizione rappresenta una delle chiavi di volta che portano la Roma a conquistare lo Scudetto del 1983 ed a rappresentare la rivale numero uno della Juventus nella corsa al tricolore. Dopo la finale di Coppa Campioni persa in casa contro il Liverpool lascia la casa madre per seguire Il Barone sulla sponda rossonera del Naviglio. Tre anni al Milan fanno da prodromo al termine della carriera vissuta tra il Cesena e la Salernitana. Dice basta non appena iniziano gli anni ’90 e si stabilisce in Costiera Amalfitana per insegnare calcio alle nuove generazioni. Tuttavia, il suo progetto s’interromperà bruscamente dieci anni esatti dopo quella maledetta finalissima contro i Reds con un colpo di rivoltella al petto: «Mi sento chiuso in un buco» le sue ultime, amare parole.
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