Chi sono gli 11 giocatori più forti che hanno giocato con Bruno Conti?
13 Marzo 2020
Pietro VIERCHOWOD
Soltanto con quel nome spaventava i suoi diretti avversari. Poi le doti da centometrista mancato e la tenacia con le quali inseguiva i malcapitati attaccanti completavano il quadro che si materializzava quando si andava contro Lo Zar. La sua apparizione a Roma è stata tanto fugace quanto decisiva: arriva all’ombra del Colosseo con la medaglia d’oro di Campione del Mondo al collo, seppur non abbia disputato neanche un minuto. Tuttavia, nel panorama dei difensori italiani, Pietro sembra quello che ha maggior credito e la Sampdoria di Mantovani lo acquista, seppur militi in Serie B. I blucerchiati lo cedono prima alla Fiorentina, poi proprio alla Roma dove s’impone al centro della difesa accanto a Di Bartolomei, arretrato sulla linea difensiva dal tecnico Liedholm. Funge da equilibratore in un reparto che si poggia sulle incursioni di Nela e Maldera e quindi, nell’economia del Tricolore conquistato, risulta decisivo. Con Bruno Conti condividerà il cammino in Nazionale fino al 1986, quando poi Conti dirà basta ai colori azzurri.
Bruno CONTI
Inevitabile che il presidio sulla fascia destra, all’ala, sia tutto suo. Bruno da Nettuno, promessa del baseball nella città laziale con la tradizione più radicata per questo sport. Per sua – e per nostra – fortuna il piccolo Bruno seguì la sua grande passione per il calcio, decidendo di lasciare mazza e guantoni da parte per indossare scarpini e calzettoni. Le sue funamboliche corse sull’out di destra toccando il pallone con il piede sinistro rappresenta un marchio di fabbrica che manda in confusione i suoi dirimpettai. Queste caratteristiche, abbinata ad una tecnica finissima e a grandi doti atletiche, han fatto sì che il suo nome finisse sui taccuini delle più grandi squadre del circondario. In poco tempo, nel 1973, firma un contratto per la Roma: il regalo più bello per festeggiare i diciotto anni. Il talento c’, ma bisogna inquadrarlo per bene, assimilando gli schemi e le richieste degli allenatori. Per questo viene mandato al Genoa in due occasioni diverse per metter su minuti ed esperienza e quando torna definitivamente in giallorosso, nel 1979, non vestirà altri colori se non quello azzurro dell’Italia. Nel 1982 vive il suo anno di grazia in mondovisione, trascinando gli Azzurri alla vittoria della Coppa del Mondo con finte e virtuosismi che mandano in estasi gli addetti ai lavori: si guadagna il soprannome di MaraZico ed al Santiago Bernabeu alza la coppa da protagonista. L’anno successivo, invece, è il turno del tricolore: lo Scudetto gli assegna ufficialmente la matrice eterea agli occhi dei tifosi romanisti. Rimarrà sul rettangolo verde sino al 1991, quando dirà basta all’età di 36 anni con un sorriso grande così, di quelli che sanno di aver fatto qualcosa di davvero speciale.
Paulo Roberto FALCÃO
L’ottavo Re di Roma viene da Xanxerê, a due passi dall’Argentina e dal Paraguay. E in molti dei suoi sudditi non sanno neanche pronunciare correttamente il suo cognome. Ma cosa conta quando in campo e sugli spalti sono abbagliati da accecanti lampi di talento? Non può essere, però, solo questo Paulo Roberto Falcão: icona, idolo, campione, un dio insomma. Tutti ne ammirano lo stile in campo: concretezza teutonica, estro carioca. Un mix che rappresentò il vero valore aggiunta di quella Roma che finalmente tornava a ragionare da grande squadra dopo lunghi periodi interlocutori e parchi di soddisfazione. La riapertura delle frontiere del 1980 fa scoprire alla Roma ed all’Italia quanto sia speciale quel ragazzo con i ricci, con i piedi fatati e con il numero cinque sulla schiena. Per la tecnica esibita durante i novanta minuti forse era l’unico che poteva legittimamente mettersi alla pari con Bruno. Lo stesso Conti che fece fuori il suo Brasile nella sfida del Sarrià dei Mondiali del 1982. Non bastò il suo gol per fermare la cavalcata azzurra verso il successo, ma venne anche per lui il tempo di festeggiare, l’anno dopo, il primo posto nel campionato italiano della Roma dopo quarantuno anni d’attesa. Fu quello, forse, l’ultimo atto d’amore nei confronti della città eterna. Il dietrofront durante la lotteria dei rigori contro il Liverpool all’Olimpico che costerà la Coppa dei Campioni ai giallorossi incrinerà il rapporto con compagni e tifosi, tant’è che l’anno successivo dirà addio per tornare in Brasile.
Carlo ANCELOTTI
Se le sue ginocchia non fossero state così martoriate dalla sfortuna, Carletto sarebbe stato uno dei più grandi centrocampisti che gli anni ’80 avrebbero conosciuto. Per carità, la sua carriera è stata ricca di soddisfazioni, ma tanti gli ostacoli da superare, forse troppi. Che avesse talento lo si capisce quando nel 1979 si scatena un’asta per il ragazzo di vent’anni che ha portato in Serie B il Parma a neanche vent’anni. Roma ed Inter se lo contendono ed alla fine la spuntano i capitolini che versano 750 milioni di lire nelle casse dei ducali per la metà del suo cartellino. Liedholm lo sposta dal ruolo di trequartista a quello di mediano, scoprendo come il ruolo gli fosse cucito letteralmente addosso. Veste sempre la maglia di titolare fin quando il ginocchio inizia a tormentarlo, costringendolo a saltare praticamente due annate ed il Mundial ’82. La cattiva sorte lo risparmia in occasione della stagione che viene coronata con il successo in campionato. Carletto è sempre stato un leader ed al fianco di Bruno ha giocato più di duecento partite, finché non sarà costretto all’addio nel 1987, ceduto dal presidente che lo crede ormai al capolinea della sua carriera. Infatti nei cinque anni successivi vince da protagonista due scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Robetta.
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