Come sarebbe finita la stagione 98/99 se Edmundo non fosse andato al Carnevale di Rio?
2 Aprile 2020
Il rimpianto ha il colore viola, la maglia numero undici, fa il rumore di una traversa che probabilmente ancora trema ed ha la forma di un aereo che parte direzione Rio De Janeiro. Direzione Carnevale. Del resto era previsto dal contratto di Edmundo Alves de Souza Neto, arrivato a Firenze nel gennaio del 1998 e protagonista di sensazionali giocate e forse del dribbling più riuscito e più terribile di sempre, quello che il gioco di gambe del brasiliano realizza all’appuntamento con la Storia che Firenze aspetta da anni e che mai come la stagione 1998-99 sembra essere così a portata di mano.
Sarebbe forse bastato che Edmundo rimanesse a Firenze e non corresse all’aeroporto a poche ore dal maledetto 7 febbraio 1999, quando Batistuta cade a terra infortunato mentre si invola solo davanti ad Abbiati nel big match contro il Milan terzo in classifica. La Fiorentina era prima, Gabriel si fa male, Edmundo la sera stessa molla tutto e va a Rio. Un sogno che crolla a suon di samba e costumi colorati. Un peccato e un rimpianto enorme, perché quel ragazzo nato a Niteroi il 2 aprile del 1971 è uno che a calcio ci sa giocare, sa far gol e assist, dribbla come pochi al mondo in quegli anni. Solo che è un po’ sopra le righe. Un po’ tanto. Non a caso il suo soprannome è O’Animal.
Quando le speranze sono crollate
Quella del 1998-99 è una Fiorentina tra le più belle di sempre (la maglia è quella memorabile con Nintendo come sponsor), per qualità e per raccontare un calcio che era veramente altra cosa rispetto ad oggi. Era il tempo delle Sette Sorelle, gli ultimi anni. Sulla panchina viola siede Giovanni Trapattoni, che guida una squadra forte e completa, con Batistuta, Rui Costa e Edmundo, e con Luis Oliveira, Toldo, Heinrich e Torricelli, Spadino Robbiati, Repka e Firicano, Padalino e Cois. Campione d’Inverno al girone d’andata, la Viola ha il vento in poppa quando arriva al Franchi il Milan terzo in classifica (sarà poi Campione d’Italia), quello di Zac in panchina e di Abbiati, Maldini e Costacurta, Albertini e Ambrosini, Guly, Morfeo, Weah e Bierhoff (con Leonardo, Ganz e Boban in panchina, niente male insomma).
La partita è equilibrata, gli occhi sono puntati tutti su Batistuta, intorno i compagni si muovono per servirlo al meglio. Tutti tranne Edmundo, che alterna giocate da fenomeno a momenti di assoluto vuoto. Ma lui è così, prendere o lasciare. E infatti dopo aver danzato palla al piede in più occasioni, dopo aver portato sull’orlo della crisi di nervi mezza difesa milanista, essere stato rimproverato in maniera veemente dal Trap, da Bati e da Rui Costa, prende palla al di fuori dell’area di rigore, alza la testa e con un tiro assurdo spezza la traversa della porta difesa da Abbiati. Poi basta, perché il pensiero dell’aereo direzione Rio è troppo più forte di uno Scudetto da vincere, qualsiasi cosa succeda.
Al minuto 88 cambia la storia del campionato e della Fiorentina, Batistuta si fa male ed esce davanti a un Franchi tanto gremito quanto ammutolito. Tutti pensavano, a fine partita, che il brasiliano cambiasse idea, ma nessuno in effetti ci credeva davvero. Il personaggio Edmundo è troppo più invadente del suo funambolico alter ego. E infatti, mentre Bati è a farsi controllare la gamba infortunata, O’Animal se ne va all’aeroporto. E se ne va, portando con sé quel pezzetto di sogno tricolore che era rimasto in piedi mentre Gabriel cadeva a terra quando contro di lui c’era solo Abbiati. Crolla tutto, quella Fiorentina alla fine arriva terza e lo scudetto se ne vola lontanissimo dalla Curva Fiesole.
La Fiorentina crolla
Da quella maledetta domenica la Fiorentina di fatto esce dalla lotta Scudetto. La squadra del Trap senza Batistuta infortunato perde molto del suo potenziale, e si scopre fragile in zona gol, un difetto che forse la cattiveria, il cinismo e la spregiudicatezza di Edmundo avrebbero potuto sanare. La Viola non vince per un mese, una sconfitta a Udine e due pareggi carichi di rimpianti e occasioni perdute prima dei tre punti del 7 marzo 1999. Il brasiliano non sarà mai più incisivo e decisivo nelle partite importanti, e neanche in quelle “normali”. Torna al gol nel 5-1 con la doppietta contro il Perugia, gioca le sfortunate finali di Coppa Italia contro il Parma e termina la sua avventura in viola. Torna infatti in patria, al Vasco da Gama, dove vince la classifica dei cannonieri. In Italia non ha comunque finito: c’è il Napoli a riportarlo qui nel gennaio 2001. Ma è un altro Edmundo, il funambolo, il goleador è rimasto in Brasile.
La Fiorentina si innamora di Edmundo
Eppure tra Firenze e il brasiliano c’erano tutte le basi per un amore vero e duraturo, perché poche tifoserie in Italia sanno amare in maniera così viscerale i giocatori di talento. Edmundo di talento ne ha tantissimo, e dopo un breve periodo di ambientamento inizia a dimostrarlo con Malesani in panchina. Il primo gol in viola è nel 4-0 contro il Napoli del 29 marzo 1998, poi nella giornata successiva contro il Parma e poi contro Brescia e Lazio. Il meglio (e forse anche il peggio) lo offre però al Trap, che lo gestisce non senza difficoltà nella sua prima annata fiorentina. L’amore con la Fiesole scocca al minuto 92 della quarta giornata di campionato: il numero undici prende palla, serve Rui Costa che chiude il triangolo con il brasiliano, che riceve e scarica sotto la traversa. Quarta vittoria consecutiva per la Fiorentina, Franchi in delirio, una squadra pronta a decollare. Sembrava l’inizio di un amore pronto a far nascere grandi vittorie, in una squadra che sembra ormai matura per certi traguardi. Già dalla settimana successiva contro la Roma il Trap e la Viola conoscono di nuovo l’altra faccia di Edmundo. Sostituito, esce furibondo dal campo e manda a quel paese, più di una volta, l’allenatore viola.
Edmundo e la partita perfetta
È il 22 novembre del 1998, al Franchi arriva l’Inter e Edmundo decide di giocare da funambolo quale effettivamente è (se in giornata). Il brasiliano è imprendibile per la squadra di Simoni. Non lo prendono mai, né Bergomi, né Galante né tantomeno il reverendo Taribo West, che perde qualsiasi duello con il brasiliano. Questi, anzi, lo scherza in occasione dell’assist per il gol di Heinrich. Voti altissimi nelle pagelle del giorno dopo per il brasiliano, che ha offerto al pubblico di fede fiorentina forse il suo spettacolo migliore con la maglia viola. Dribbling e assist, una danza perpetua su tutto il fronte d’attacco, trasformato dal brasiliano in un magico sambodromo (per la cronaca quella partita finisce 3-1 per la Fiorentina, segnano per primi i nerazzurri con Djorkaeff, poi Padalino, ovviamente Batistuta e Heinrich).
Il gol meraviglia
Nelle alterne fortune che hanno caratterizzato l’avventura viola del brasiliano “bello e dannato”, c’è una perla assoluta che Edmundo sceglie di dipingere sul campo del Castellani, nel mai banale derby toscano tra Empoli e Fiorentina. Un dribbling da calcetto, da partita sulla sabbia, da PlayStation, da pubblicità – scelga il lettore quello che preferisce – sul povero difensore empolese Bianconi e pallonetto dolcissimo a scavalcare il povero Sereni. Un cioccolatino per quella che resta la sua ultima grande partita con la maglia della Fiorentina. Due settimane dopo arrivano il Milan, la traversa che ancora trema, l’infortunio di Batistuta e la partenza verso Rio. Perché il Carnevale era più importante di tutto. Anche di uno scudetto da vincere.
Non è questa la sede opportuna per pontificare della vita extra calcistica di Edmundo, fatta di qualche virtù, molti vizi, un arresto e tante, troppe volte sulle prime pagine dei giornali per vicende che col calcio hanno ben poco a che spartire. La storia del brasiliano è quello di un uomo tormentato da demoni che ogni tanto se ne andavano e lasciavano spazio a un talento che, se in giornata, aveva ben pochi rivali. I rimpianti dello stesso attaccante nelle sue dichiarazioni nel corso degli anni, e quelli della Fiorentina, simboleggiati da un rapporto mai decollato con Batistuta e Rui Costa, sono quelli di una tifoseria che aveva visto in Edmundo, nei suoi numeri palla al piede e nella sua maglia numero undici la via per un trionfo che l’infortunio di Gabriel aveva allontanato e che quel dannato aereo per Rio avevano di fatto reso ancora più impossibile. La squadra e il Trap erano riusciti a salvare una stagione che comunque termina con un lusinghiero terzo posto. Il resto è rimpianto per tutto quello che poteva essere e che invece non è stato. Tutto in un dannato 7 febbraio, quando un condottiero si ferisce in battaglia, e uno dei generali, invece di immolarsi per la causa, sceglie l’ammutinamento, sotto forma di una festa, un sambodromo e un aereo verso Rio che porta via del tutto i sogni di un’intera città.
Yari Riccardi
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