Finidi George e il suo record dal 1993 al 1995 che conoscono in pochi
15 Aprile 2020
Quando c’era da scattare, la Pantera Nera non si tirava mai indietro. Anzi, faceva andar su i giri del suo motore per far presa sul terreno con i suoi artigli d’acciaio ed innestava la marcia più alta per lasciar dietro di sé, come tramortiti, i suoi avversari. La Pantera Nera ha un nome ed un cognome: Finidi George. Finidi vuol dire “Futuro pieno di sole”. E mai nome fu più rivelatorio. Un distillato di classe pura e talento innato, a cui Madre Natura ha dato in dono tecnica ed abnegazione difficili da ritrovare in natura nelle stesse dosi. Discriminanti che, miscelata ad una buona dose di fortuna, hanno fatto affrancare il nigeriano dal destino che in molti, forse troppi casi, sa essere ingeneroso se non avverso nei confronti di chi gli è cresciuto accanto.
E invece la Dea Eupalla l’ha baciato sulla fronte ed anche sui piedi, agevolandone la scalata verso il successo con caratteristiche più uniche che rare, capaci di innalzarlo nell’Olimpo del calcio come uno dei funamboli più forti della storia del calcio africano. Finidi era ala ed attaccante esterno, alla bisogna, di livello mondiale: una falcata da centometrista e una resistenza atletica fuori dalla norma, tale da consentirgli di continuare a correre laddove i suoi avversari gettavano la spugna. Ci ha messo poco il ragazzo classe 1971 a farsi notare tra i giovani talenti di Port Harcourt prima e dagli osservatori dell’Ajax poi. La Pantera Nera, nel suo sterminato repertorio, aveva la capacità di lanciarsi negli spazi come nessuno fra quelli della sua generazione e, per questo, sin da giovanissimo, ha rappresentato una delle più belle frecce alla faretra del commissario tecnica delle Super Eagles: l’olandese Clemens Westerhof lo pesca tra gli squali dello Sharks FC, uno dei principali sodalizi della megalopoli sul Delta del Niger.
Ha ventidue anni quando gli emissari dei Lancieri, da sempre attivissimi nel Continente Nero, lo visionano. È sul taccuino degli olandesi già da un po’, specie dopo il suo esordio in Nazionale, avvenuto nel 1992: in occasione della gara per le qualificazioni alla Coppa d’Africa, serve tre assist al centravanti Rashidi Yekini e mette a segno anche una rete nel 7-1 delle Super Aquile sul malcapitato Burkina Faso. Finidi, da lì, fa salire sempre di più i giri del suo motore per innestare marce sempre più alte: non si fermerà più per un buon decennio. La firma sul contratto che lo legherà all’Ajax, dunque, si concretizza nel 1993. I dirigenti dei Lancieri tornano dal loro viaggio in Nigeria con due accordi: oltre a quello di Finidi, i Godenzonen – figli degli dei – in tasca hanno anche quello con un ragazzo altissimo, segaligno, ma dai piedi fatati. Quello di Nwankwo Kanu.
Entrambi vanno a rinforzare una squadra zeppa di talenti che, ben presto, dominerà la scena del calcio mondiale. Quando sbarcano nella terra dei mulini, i due entrano in uno spogliatoio che traboccava di classe e personalità, popolato da campioni affermati e fenomeni in erba provenienti dal settore giovanile del club: Seedorf, Davids, Overmars, Blind, i fratelli de Boer, Litmanen, van der Sar, Kluivert e Rijkaard, di ritorno dall’esperienza pluriennale e plurivittoriosa al Milan. Tutti orchestrati da Louis van Gaal, tecnico che, con la sua filosofia, riporterà l’Ajax in men che non si dica sul tetto del mondo. In quell’anno, tuttavia, i Lancieri hanno salutato Wim Jonk e Dennis Bergkamp, entrambi approdati all’Inter di Pellegrini a suon di fiorini.
Ci si prepara, dunque, alla stagione 1993-94 con l’obiettivo di aggiudicarsi il titolo dopo un’attesa di tre anni. E mentre il mondo saluta l’arrivo alla Casa Bianca del figlio dei fiori Bill Clinton, i Nirvana incidono In Utero e Quentin Tarantino inizia le riprese di Pulp Fiction, anche l’Ajax si prepara a creare qualcosa di irripetibile.
I ragazzini terribili di van Gaal serrano subito le fila e mettono immediatamente al muro le avversarie. Sull’out di destra, Finidi si ambienta immediatamente e mette in mostra tutto il suo repertorio: è un autentico stakanovista in campo ed il tecnico lo considera, sin da subito, come uno dei punti fermi sul suo scacchiere. Nonostante siano andati via due interpreti fondamentali nell’economia del gioco biancorosso, van Gaal trova proprio in Finidi un valido scudiero, sempre pronto a disarcionare i suoi avversari diretti, per servire Litmanen. Nelle trentaquattro partite della Eredivisie, l’Ajax conquista il bottino pieno in ventisei occasioni: missione compiuta, il titolo è tornato ad Amsterdam. George scende in campo in ventisette occasioni, visto che è costretto a saltare buona parte del campionato a causa della Coppa d’Africa che si disputa in Tunisia.
Anche con la maglia verde delle Super Eagles, Finidi rappresenta una pietra angolare nello scacchiere del commissario tecnico olandese Westerhof. La Nigeria arriva dritta alla finalissima di Tunisi che si disputa all’El Menzah contro il sorprendente Zambia dell’eterno Kalusha Bwalya. Anche l’attaccante di Mufulira gioca in Olanda, ma nel PSV Eindhoven. L’ala è costretta a lasciare il campo quattro minuti prima dell’intervallo, sul parziale di 1-1, ma al triplice fischio finale la Nigeria alza al cielo tunisino la sua seconda Coppa d’Africa della storia. Dopo aver già messo sulla sua bacheca del 1994 due trofei, è giunto il momento di disputare i primi storici Mondiali di calcio con la squadra del suo Paese.
I nigeriani sbarcano negli States come ventidue signori nessuno, fustigati dal solito, superficiale cliché che viene puntualmente appiccicato alle Nazionali provenienti dall’Africa: squadra fisica ed atletica, ma poco ordinata tatticamente. Le Super Eagles impiegano meno di novanta minuti per far ricredere gli scettici, regolando per 3-0 la Bulgaria di Stoichkov all’esordio assoluto e facendo soffrire non poco l’Argentina che deve sudare le proverbiali sette camicie – e non solo per il clima afoso – per aver ragione di Finidi & Co. Dopo aver conquistato l’accesso agli ottavi di finale, solo un immenso Roberto Baggio infrangerà i sogni dei giovani africani.
I dirigenti dell’Ajax, dunque, confermano di averci visto lungo e per la stagione 1994-95 si apprestano a vivere un’annata che avrà poco di umano e molto di leggendario. Mentre in Eredivisie si festeggia il secondo titolo consecutivo da imbattuti, frutto di ventisette vittorie e sette pareggi, l’armata di van Gaal mette le mani sulla Champions League, regolando il Milan di Capello al Prater di Vienna, grazie ad una rete a pochi minuti dai tempi supplementari di Patrick Kluivert che permette ai Lancieri di mettere in bacheca la loro quarta coppa dalle grandi orecchie – che torna in Olanda dopo ventidue anni, dopo le tre consecutive firmate Cruijff – ed il terzo trofeo stagionale insieme alla Supercoppa nazionale vinta in agosto contro il Feyenoord.
La stella di Finidi brilla sempre di più ed adesso anche il suo nome compare nella Hall of Fame di tutti i tempi. Non fosse stato per l’imprecisione dagli undici metri dei suoi compagni di squadra in occasione della finalissima, disputata l’anno successivo allo stadio Olimpico contro la Juventus, le Champions League nel suo palmares sarebbero state due. E consecutive. Tuttavia, il mancato trionfo di Roma non gli ha impedito di imporsi come giocatore più vittorioso nel biennio fra il 1993 e il 1995. George fa da asso pigliatutto, vincendo tutto quello che c’era da vincere: tre titoli olandesi e tre Supercoppe dei Paesi Bassi, una Champions League, una Coppa Intercontinentale ed una Supercoppa europea, oltre ad una Coppa d’Africa con la maglia della Nigeria
I successi in patria ed in campo internazionale lo pongono necessariamente nelle prime posizioni degli indici di gradimento di manager e direttori sportivi su tutto il suolo europeo. Nel 1996 la Lazio è a un passo dall’accordo con il nigeriano: Cragnotti ha pronto un assegno da otto miliardi di lire da recapitare sulle scrivanie dei dirigenti dell’Ajax, mentre per lui c’è un contratto quinquennale da 6,2 miliardi complessivi. Sembra tutto fatto, ma il Real Betis s’inserisce poco prima dell’estate e batte la concorrenza dei capitolini. L’avventura in Andalusia, però, non gli porterà particolarmente fortuna: giungono alcuni risultati lusinghieri, ma nulla di più. La sua stella s’affievolisce sempre di più, così come quella dei verdiblancos che nel 2000, addirittura, vede spalancarsi sotto di sé il baratro della retrocessione. È il 2000 e George ha quasi trent’anni, ma ancora tanta voglia di correre.
Gli giunge in soccorso il Mallorca, che gli consente di disputare un altro torneo di massimo livello. E con la compagine delle isole Baleari si toglie la grandissima soddisfazione di chiudere il campionato al terzo posto, grazie al suo apporto e a quello di campioni come Nadal, Engonga, Biagini ed Eto’o. Dopo l’exploit maiorchino, Finidi viene convinto a oltrepassare la Manica da George Burley, tecnico dell’Ipswich Town che si è clamorosamente qualificato per la Coppa UEFA. George firma con i Tractor Boys, ma questa volta non riesce ad evitare lo spettro della retrocessione. Attenderà i trentatré anni per dire basta, dopo esser tornato al Mallorca. Lì dove c’è sempre il sole. Per un “futuro pieno di sole” dopo un passato pieno di gloria.
di Nando Di Giovanni
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