Il giorno in cui il Milan si innamorò di Manuel Rui Costa
22 Febbraio 2020
Questa è una storia di amore e romanticismo. È una storia che riporta alla mente il suono di un Fado ascoltato all’ombra della Torre di Belem. È la storia di un portoghese che ha fatto innamorare due popoli: il primo con la maglia viola, il secondo con i colori rossoneri, che lo hanno portato a trionfi incredibili, vissuti da protagonista. Il numero è il dieci, lui è il Maestro. Lui è Manuel Rui Costa, e quello che stiamo per raccontarvi è il modo in cui stregò il cuore del Milan, che lo prese l’estate successiva per metterlo a disegnare calcio dietro Inzaghi e Shevchenko, per un tridente Nostalgia fuori quotazione come valori. Era l’estate del 2001. Pochi mesi prima Rui guidava la banda di Terim verso una delle imprese memorabili della Fiorentina degli ultimi venti anni.
Nostalgia oltre i livelli di guardia
A leggere le formazioni del 13 gennaio 2001, c’è il serio rischio di commuoversi. All’Artemio Franchi la Fiorentina di Rui Costa aspetta il Milan di Zaccheroni. Nei viola, Fatih Terim in panchina, Toldo in porta, Torricelli e Repka in difesa, Cois, Bressan (sì, la rovesciata contro il Barcellona di qualche anno prima) e Di Livio scudieri del Maestro a centrocampo, Nuno Gomes ed Enrico Chiesa davanti (senza dimenticare la presenza in panchina di Taglialatela, di Lele Adani e di Mijatovic). Dall’altro lato i rossoneri, forse non il top in quell’anno come vittorie ma decisamente importante se guardiamo il lato che piace a noi. Ed ecco dunque Abbiati, Costacurta e Maldini (voi riuscite a separarli quando parlate di Milan?), Ambrosini, Coco e la coppia in avanti Bierhoff e Shevchenko, sostituiti nell’arco della gara addirittura – tenetevi forte – da José Mari e Gianni Comandini (e Ibrahim Ba era in panchina, per darvi un’idea del livello di ricordi inserito in una sola partita).
La Portuguesa risuona al Franchi
Rui, capitano della Viola dopo l’addio di Batistuta, è ovunque in quella partita. Canta e porta la croce, come scrivono quelli bravi. Imposta, difende, attacca, assist e gol. È una sinfonia dolcissima per lui e letale per il Milan, che resta immediatamente ammaliato dalle giocate del Maestro. “Rui baila la Portuguesa” comincia a risuonare sugli spalti del Franchi al minuto quindici, quando Manuel dipinge un cross che il connazionale Nuno Gomes mette alle spalle di Abbiati. Da lì è tutto leggenda e nostalgia: Rui gioca a testa alta, tunnel, dribbling, lanci perfetti, azioni che rendono onesti comprimari come buona parte dei giocatori di quelli Fiorentina dei veri e propri fenomeni. Lo dimostra Cois, che all’inizio della ripresa segna con un bolide dopo un lancio di Torricelli (Moreno, che ricordi!). In mezzo, intorno, sopra, sotto, c’è il Maestro. Tutto è Rui Costa che al minuto 27 prende palla e si fa mezzo campo, prima di servire un assist d’oro a Chiesa, il quale può solo spingere il pallone in rete. Il Maestro non smette di dipingere, e al quarantaduesimo del secondo tempo segna, “paralizzando” Costacurta prima e Abbiati poi: una finta che lascia immaginare la palla all’attaccante e il rasoterra chirurgico sul lato del portiere. Intorno il delirio, i rossoneri annichiliti dalla sinfonia del portoghese, che si dimostra ancora una volta giocatore immenso. Fu probabilmente in quella occasione che il Milan si innamorò di Rui Costa, e Rui, pochi mesi dopo, arrivò in rossonero per la cifra di 85 miliardi di lire.
La Pantera Nera scopre il Maestro
Che succede quando un monumento del calcio nazionale arriva ai provini delle giovanili della squadra della sua vita e scopre un altro fenomeno? Inserire i nomi di Eusebio e di Rui Costa e l’equazione è pronta, con un solo risultato: il numero dieci portoghese entra nelle giovanili del Benfica dopo aver incantato la Pantera Nera durante i provini del 13 marzo 1982. Rui aveva nove anni.
Subito in nazionale, subito in mezzo a quella generazione di una nostalgia immensa composta da Figo, Joao Pinto e Abel Xavier. Rui si impone subito, sin dalla nazionale under 20, che nel mondiale di categoria del 1991, giocato in casa, vince il titolo battendo in finale il Brasile dei fenomeni, quello di Roberto Carlos e Giovane Elber (sì, quel centravanti che fece le fortune del Bayern Monaco e che nel 1991 era di proprietà del Milan e che nei rossoneri non giocò mai). Rui segna nella semifinale contro l’Australia e poi sigla il rigore decisivo nella. finale contro i verdeoro. Campioni del mondo, con tanto di vittoria al Da Luz. Rui è pronto per i grandi palcoscenici. Nel settembre del 1991 fa il suo esordio con la prima squadra del Benfica. Sulla panchina delle Aquile uno che di talenti se ne intende, e che ha il nome negli annali della nostalgia del calcio italiano: è infatti Sven-Göran Eriksson a far giocare Rui per la prima volta tra i grandi. Gioca in Coppa dei Campioni, vince scudetti e coppe. E nel 1994 incontra il suo destino.
Il Dieci per il nuovo Dieci
Lo volevano praticamente tutti nell’estate nel 1994. E il Benfica aveva trovato l’accordo con il Barcellona. Ci mise lo zampino il destino, che prese la forma della rivoluzione societaria della squadra portoghese. E qui è il caso che il lettore si sieda, perché il livello di nostalgia si alza ben sopra la media. Il primo protagonista è Vittorio Cecchi Gori, che mette undici miliardi di lire in mano ai suoi dirigenti per affiancare Rui a Gabriel Omar Batistuta. Alla volta di Lisbona partiva così Giancarlo Antognoni, a Firenze l’Unico Dieci, come amano chiamarlo ancora oggi i tifosi viola: è lui ad andare a prendere il suo degno erede. Rui arriva a Firenze nel 1994 e se ne va nel 2001: 215 presenze, 28 gol, assist impossibili da contare, giocate, dribbling, lanci indimenticabili. La rete più nostalgica quella non convalidata, la punizione al Mestalla di Valencia che forse avrebbe permesso alla Viola di Trapattoni il passaggio al turno successivo. Sempre al fianco di Batistuta e poi da capitano nella squinternata eppure bellissima Fiorentina di Fatih Terim, in quel 2001 che finì con la vittoria della Coppa Italia, con la prima vittoria da allenatore di Roberto Mancini. Tra le lacrime di tutti in quella estate Rui andava al Milan per quasi cento miliardi di lire. C’era la Fiorentina da salvare, ma la cessione del fantasista servì a ben poco: la Viola venne sbranata dal fallimento la stagione successiva (ma arrivarono gli anni della Florentia Viola e di bomber Riganò, vero simbolo di un calcio che non c’è più e che, sinceramente, ci manca un sacco).
Gli anni dei trionfi a San Siro
Il Maestro sbarca in rossonero insieme a Pirlo e Inzaghi: la Nostalgia di quegli anni e di quel Milan è inevitabile. Rui vince in pochi anni praticamente tutto: una Coppa dei Campioni, quella del 2002-03, che è Storia, visto il derby contro l’Inter in semifinale e la finale di Manchester contro la Juventus, la Supercoppa Europea nello stesso anno, lo scudetto 2003-04 e la successiva Supercoppa Italiana, senza dimenticare la Coppa Italia del 2002-03. Rui Costa resta al Milan fino al 2006, disputando 192 partite e segnando undici reti. Tra le tante prodezze, ne scegliamo una, forse la più prestigiosa: quarantesimo del primo tempo, a San Siro arriva il Real Madrid (in attacco, vicino a Raul e Ronaldo, il nostro vecchio amico Fernando Morientes, protagonista nell’indimenticabile raduno dello scorso anno a Cesena) per la Champions, Rui prende palla a metà campo, e verticalizza in uno spazio irreale per Sheva, che parte e batte Casillas. Era il 26 novembre del 2002, e Il Milan di Rui, ma anche in quella partita di Rivaldo (e Simic e Kaladze, e ancora di Costacurta!) si prende i tre punti e inizia di fatto la sua corsa verso Manchester e verso la vittoria finale.
Il ritorno al Benfica
Negli ultimi anni al Milan, Rui giocò sempre meno, oscurato dall’avvento di Kakà. L’avventura rossonera termina nel 2006, con la rescissione del contratto e il ritorno a casa con la maglia del Benfica. Con le Aquile due stagioni, 43 presenze, cinque gol, il ritiro e la nuova vita, stavolta senza scarpini ma con la giacca e il ruolo di Direttore Sportivo. Termine di una carriera gloriosa, per un giocatore che fece innamorare di sé la squadra più titolata del Mondo. Roba per pochi. Roba per gente come Manuel Rui Costa.
Di Yari Riccardi
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