Privacy Policy Francesco Guidolin è l'allenatore più sottovalutato di sempre?

Francesco Guidolin è l’allenatore più sottovalutato di sempre?

3 Ottobre 2021

Scegliere uno scenario migliore per un addio è francamente impossibile. Three Cliffs Bay, meraviglia naturale del Galles, contea di Swansea, mezz’ora di strada dal Liberty Stadium, dove il 3 ottobre del 2016 Francesco Guidolin da Castelfranco Veneto siede per l’ultima volta su una panchina di uno stadio di calcio.

Cinque anni fa l’ultima esperienza per il mister di Castelfranco Veneto che oggi compie sessantasei anni. Una vita fa, un altro calcio, e un addio per il quale ancora oggi restiamo stupefatti. Sembra assurdo infatti, al netto delle scelte del tutto personali dell’allenatore, che nessuno in questi anni abbia pensato a Guidolin per dare il via ad un progetto di squadra degno di un uomo che nel corso della sua carriera ha dimostrato di saper far giocare i suoi uomini, di praticare un calcio moderno, capace di portare realtà di solito lontane dalle luci della ribalta al cospetto delle luci di grandi palcoscenici. Veri e propri miracoli sportivi quelli dell’allenatore veneto nel corso della sua carriera. Alcuni davvero indimenticabili.

Il Guidolin giocatore

«Ero tecnico, ma poco combattivo, e non sempre motivato. Mi infastidivano i fischi del pubblico, le condizioni del campo, il meteo. Insomma, troppe fisime». Non è una novità sentir parlare Guidolin del suo passato da calciatore, iniziato al Giorgione e continuato nelle giovanili del Verona, con cui fa l’esordio in Serie A nel 1975, a vent’anni. Inizia un continuo vai e vieni dal Bentegodi al resto d’Italia, un anno alla Sanbenedettese, uno al Verona, poi alla Pistoiese. Il ritorno in Veneto coincide con il primo campionato da titolare e con il suo migliore campionato, quello del ritorno in Serie A con Bagnoli in panchina, Garella in porta, Cavasin, Di Gennaro e Tricella. Di fatto il Guidolin giocatore non è mai sbocciato del tutto, e la conferma che forse il suo destino era quello dell’allenatore sta tutta nella frase con cui parla del suo passato da calciatore. Fatto singolare è che da mister si sia invece rivelato l’esatto contrario: sempre molto motivato in panchina, decisamente combattivo e dedito ad un calcio tecnico, da plasmare sui giocatori a sua disposizione e mai integralista, di un modulo o di un credo calcistico.

Gli inizi in panchina

Il ritorno al Giorgione, dove Guidolin ha vissuto gli inizi da calciatore, non è certamente fortunato: la panchina in serie C2 nel 1988-89 e la retrocessione in Serie D. A Treviso la stagione successiva, poi Fano, Empoli e Ravenna, che il mister conduce in Serie B. È il 1993, ed ecco la grande occasione: l’Atalanta. Ferron in porta, Ganz in attacco, il nuovo acquisto Franck Sauzée, Montero e Rambaudi, Alemão e qualche altro nome importante. Un giocattolo che parte bene ma che si rompe dopo undici giornate: Guidolin viene sostituito da Prandelli, allora tecnico della Primavera bergamasca.

Il Vicenza, la Coppa delle Coppe e una questione di centimetri

Non è un esonero a fermare l’ascesa di Guidolin. Nell’estate del 1994 l’approdo al Vicenza, che ritorna in Serie A la stagione successiva, dopo il terzo posto tra i cadetti. Inizia il vero e proprio miracolo della carriera del mister. Tutto e subito, una storia impensabile per una neopromossa: il nono posto finale nella stagione 1995-96, la Coppa Italia del 1996-97. La sconfitta al San Paolo con il gol di Pecchia, il ritorno trionfale al Menti: Maini pareggia i conti, e Rossi e Iannuzzi ai supplementari fanno impazzire i biancorossi di Mimmo Di Carlo, Giovanni Lopez, Murgita e Otero, Cornacchini, Ambrosetti e Sartor. La Coppa delle Coppe della stagione successiva è la prova più grande per una squadra gloriosa ma certamente non abituata al palcoscenico europeo come il Vicenza. Guidati dal mister veneto, i biancorossi – che hanno aggiunto nel loro organico Lamberto Zauli, Di Napoli, Luiso, Stovini, Coco, Ambrosini e Schenardi – arrivano a giocare la semifinale della più che rimpianta Coppa delle Coppe contro il Chelsea di Gianluca Vialli allenatore e giocatore, di Roberto Di Matteo e Gianfranco Zola. I veneti vincono l’andata grazie a un gol da funambolo di Lamberto Zauli, controllo volante, dribbling e sinistro mirato all’angolo. Al ritorno la squadra di Guidolin va in vantaggio con Luiso, che zittisce Stanford Bridge, gli inglesi pareggiano con Poyet ma il Vicenza non è si ferma, arrivando a segnare il raddoppio, ancora con il Toro di Sora, con l’arbitro che annulla per un fuorigioco di una manciata di centimetri. Tanti dubbi, alla fine è il Chelsea a vincere, raddoppiando con Zola prima e Hughes poi.

Photo: Alessandro Sabattini – Getty Images

L’Udinese in UEFA

Una delle caratteristiche principali di Guidolin è quella di valorizzare i giocatori a sua disposizione, adattando di volta in volta – anche a gara in corso – il modulo migliore per le esigenze della squadra e quelle della gara che si sta disputando. Il 4-4-2 di inizio carriera ha lasciato spazio nel corso degli anni al 4-2-3-1, al 4-5-1 o al 3-5-2: al centro, schema a parte, sempre la grande organizzazione di gioco e la presenza di giocatori di gamba e di fantasia. Guidolin arriva a Udine nel 1998-99, dopo le grandi imprese di Zaccheroni, disputando un campionato certamente buono e valorizzando ai massimi livelli quel Marcio Amoroso letteralmente esploso sotto la guida dell’allenatore veneto.

Tappa a Bologna

La fine burrascosa del rapporto con l’Udinese è una pausa prima della nuova avventura, quella di Bologna, dove Guidolin arriva nell’autunno del 1999, in sostituzione di Sergio Buso. Andersson, Ingesson, Signori, Paramatti, Kolyvanov, Pagliuca ed altri importanti nomi hanno accolto l’allenatore al Renato Dall’Ara. Stagioni senza dubbio positive quelle in rossoblù, nelle quali Guidolin sfrutta l’innato ed indomabile senso del gol di Beppe Signori nelle prime due stagioni, toccando l’apice nell’annata 2001-02 con il sesto posto in campionato, la qualificazione al trofeo Intertoto, una squadra ben costruita dove trovano il loro spazio Julio Cruz (già dalla stagione precedente) e Lamberto Zauli, giocatore immenso che spesso con Guidolin ha dato il meglio. La stagione 2002-03, l’ultima del mister sotto le due Torri, si apre con la finale dell’Intertoto persa contro il Fulham e con un piazzamento a metà classifica in campionato.

La promozione rosanero, l’addio e il ritorno

È l’inverno del 2004 quando Guidolin arriva al Barbera sulla panchina del Palermo, in sostituzione di Silvio Baldini e al cospetto di un presidente caliente come Maurizio Zamparini. Pone le basi per un grande amore: i rosanero tornano in Serie A dopo trentuno anni, la città e il mister si godono la consacrazione di Luca Toni, diamante di una squadra che vede in campo Zauli, Corini, Di Donato, Gasbarroni, Jeda e tanti altri. Notevole il campionato successivo, che porta i rosanero al sesto posto, dunque in Coppa UEFA (è l’anno di Calciopoli). È l’ultimo regalo, per il momento, di Guidolin al Palermo. Un amore che torna dopo un po’: dopo le poco memorabili esperienze a Genova, una manciata di giorni prima della retrocessione a tavolino del Grifone, serve l’autunno per una nuova avventura, a Montecarlo con il Monaco. Qui Guidolin sostituisce Deschamps e trova ad attenderlo Flavio Roma e Chevanton, raggiunti nel mercato invernale da Di Vaio e Vieri. Parentesi prima del ritorno al Renzo Barbera nell’estate 2006. Ritrova una squadra consapevole e forte, reduce da una esperienza europea e rafforzato, tra gli altri, dall’acquisto di Amauri. L’approccio di Guidolin è fenomenale, il Palermo gioca bene e vince, raggiungendo anche la vetta della classifica: alla fine del girone di andata i rosanero occupano il quarto posto, con la quinta distaccata di quindici punti. La crisi invernale acuita dall’infortunio di Amauri porta ad un nuovo allontanamento del mister, richiamato tuttavia dopo poche giornate. Bastano due partite a Guidolin: due vittorie e UEFA di nuovo garantita. Anno da incorniciare, iniziato con il doppio confronto contro il West Ham United (quello di Tevez e Mascherano): i siciliani vincono in Inghilterra con la rete dell’Airone Caracciolo e trionfano a Palermo con la doppietta di Simplicio e il sigillo di David Di Michele. Conferma del lavoro sempre attento del tecnico veneto. La stagione successiva Guidolin è di nuovo subentrante, ma è fagocitato dall’anno non troppo positivo dei rosanero.

L’esperienza parmense

Un po’ di quel Vicenza nel biennio parmense che va dal 2007 al 2009. Il campionato della retrocessione dei ducali, il 2007-08, vede alla guida della squadra quel Mimmo Di Carlo simbolo del Vicenza di Guidolin: l’ex centrocampista a marzo viene sostituito da Cuper (a sua volta esonerato). La stagione successiva il mister veneto arriva sulla panchina del Parma in serie B, quasi un passaggio di testimone, seppur con numerosi intermezzi. È il Parma dei fratelli Alessandro e Cristiano Lucarelli, di Reginaldo, di Paloschi, di Damiano Zenoni e di Castellini, è il Parma che torna subito in Serie A, secondo dietro il Bari di Antonio Conte. La massima serie di nuovo ottenuta è subito positiva: Panucci, Zaccardo, Bojinov e Nick Amoruso i fiori all’occhiello del mercato estivo, Crespo l’emozionante ritorno nel mercato invernale di gennaio 2010. Un campionato decisamente importante: cinquantadue punti e ottavo posto, a soli tre punti di distacco dalla Juventus.

La gloria friulana

Se Vicenza è stato il primo amore di Guidolin, l’esperienza di Udine è stata quella della maturità calcistica per il tecnico di Castelfranco, che prende una squadra che nella stagione precedente (quella 2009-10) ha chiuso al quindicesimo posto (nonostante i ventinove gol di Di Natale) e la rende una squadra da Champions League, col lavoro e con i risultati. L’inizio del campionato 2010-11 è scioccante: quattro sconfitte consecutive. Guidolin mette a punto i bianconeri a partire dalla sesta giornata. Handanovic la garanzia in porta, Benatia e Domizzi a comandare la difesa, Asamoah a correre sulla fascia, Inler a ragionare, Di Natale e Sanchez a fare gol. Tanti, tantissimi gol. Il campionato è memorabile, la squadra gioca a memoria e diverte, impossibile anche solo ricordare le goleade messe a segno (negli annali il 7-0 inflitto al Palermo): l’Udinese chiude al quarto posto ed entra in Coppa dei Campioni. L’anno successivo va ancora meglio: eliminato nei preliminari di Champions dall’Arsenal, chiusa la Coppa UEFA agli ottavi contro l’AZ Alkmaar, il campionato si chiude al terzo posto, con Di Natale ancora fondamentale trascinatore con ventitré gol, terminale di un collettivo che gioca un calcio attento in difesa e ad alto impatto davanti, capace di comandare il gioco e di agire quando serve di rimessa, grazie ai tanti velocisti a disposizione di Guidolin (e nonostante la cessione di Sanchez al Barcellona). Cessioni eccellenti anche nella stagione 2012-13, quando lasciano il Friuli Handanovic, Isla e Asamoah; un nuovo sfortunato preliminare e la Champions che sfuma per l’errore di Maicosuel durante i rigori contro il Braga, l’Europa League che si ferma al girone (nonostante la grande vittoria di Anfield Road contro il Liverpool): l’Udinese può concentrare tutte le forze sul campionato, che chiude al quinto posto, ottenendo un altro pass per l’Europa. La stagione 2013-14 è quella della fine del ciclo di Guidolin: resta la maledizione europea, e il campionato si chiude al tredicesimo posto. Continua a fare gol Di Natale, si svelano le stelle di Muriel e di Bruno Fernandes, che lascia intravedere tanti sprazzi di quel talento oggi ormai tra i migliori d’Europa.

Perché?

Torniamo da dove abbiamo cominciato. Perché un allenatore che negli anni di carriera è stato garanzia di bel gioco e di risultati ha di fatto interrotto la sua carriera nel 2014? Come è possibile che uno come Guidolin sia rimasto fermo per un anno (dal 2014 al 2015 è stato supervisore tecnico delle squadre della famiglia Pozzo) e sia tornato soltanto perché chiamato dallo Swansea, non propriamente una nobile della Premier League? La risposta non c’è, si è persa tra le onde del magnifico scenario del Three Cliffs Bay. Lo stesso tecnico veneto ha detto di aver sfiorato più di qualche volte le panchine di alcune grandi del nostro campionato. Eppure non è mai successo. Siamo però certi che non sia stato un problema per il mister di Castelfranco Veneto, che da bravo ciclista è abituato a faticare in salita. Il fascino di una grande panchina è stato senza dubbio ripagato dalle piccole e grandi soddisfazioni di una carriera che ha toccato vette altissime in realtà lontane dai riflettori, e che ha sfiorato grandi traguardi svaniti per una questione di centimetri, come dimostra ancora la semifinale di Coppa delle Coppe contro il Chelsea. Guidolin resta uno dei migliori allenatori prodotti dalla “scuola italiana”, lo dimostrano i risultati, i giocatori lanciati e la qualità di gioco delle sue squadre, fatte spesso da giovani agli inizi della carriera e da vecchi pirati. Feeling con i ragazzi, sodalizi con i giocatori più esperti, gioco offensivo senza mai perdere le peculiarità della filosofia del calcio italiano, cultura del lavoro e poco spazio ai riflettori: questo è stato Francesco Guidolin. E manca, nel campionato dei grandi allenatori che stiamo vivendo, una personalità (e una schiettezza) come quella dell’allenatore veneto.

di Yari Riccardi

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