I 3 secondi dal tiro di Inzaghi e il tocco di Tomasson
23 Aprile 2020
Uno dei dilemmi che hanno tormentato di più le notti dei filosofi del calcio è quello dell’estetica della vittoria. Le correnti di pensiero sono molteplici: alcune in netto contrasto tra di loro, altre che trovano dei punti in comune. Alcuni sostengono la mozione secondo la quale nell’accezione di “bella vittoria” non può che farla da padrone una netta supremazia rispetto all’avversario, annichilito da una superiorità schiacciante. Altri, al contrario, esaltano l’ideale secondo il quale una delle variabili che incidono maggiormente sull’estetica di una vittoria è la sofferenza patita per conquistarla, gli ostacoli superati per raggiungerla. È idealmente una battaglia fra due compagini che lottano fino allo stremo, fino a che una delle due, più per forza di nervi, resistenza e cuore che per strategia, ha la meglio sull’altra. Una battaglia come quella che vide protagonista il Milan di Carlo Ancelotti contro l’Ajax il 23 aprile 2003. Uno spartiacque verso il trionfo di Manchester contro la Juventus.
Le aspettative della società rossonera nella stagione 2002-03 erano ambiziose e altisonanti. La dispendiosa campagna acquisti estiva era un attestato di responsabilità notevole che pesava su squadra e allenatore, costretti a puntare al titolo nazionale e proseguire a testa alta in Champions League. Adriano Galliani e Ariedo Braida, infatti, avevano portato a Milanello giocatori del calibro di Alessandro Nesta, Clarence Seedorf, Rivaldo (Pallone d’Oro 1999) e Jon Dahl Tomasson. Torna dal prestito anche Nelson Dida, dopo la parentesi al Corinthians e diventa subito titolare durante l’andata del turno preliminare contro lo Slovan Liberec, superato dal Diavolo con qualche patema nella gara di ritorno.
La stagione rossonera inizia sulle ali dell’entusiasmo, con il tifo rossonero esaltato dal gioco spumeggiante messo in opera da Ancelotti. A novembre, dopo il derby vinto con la rete di Serginho, il Milan comanda la vetta. In Champions League il cammino prosegue spedito con quattro vittorie nelle prime quattro, battendo due volte il Bayern Monaco, il Lens e il Deportivo La Coruña al Riazor con un roboante 0-4. Le sconfitte contro i francesi e con la squadra di Irureta a San Siro non impediranno al Milan di qualificarsi al turno successivo da primi in classifica. I Rossoneri chiudono quindi l’anno solare da campioni d’inverno e con il pass per il secondo girone europeo in mano.
La ripresa dopo la sosta, tuttavia, sembra più complicata del previsto e tra la fine di gennaio e i primi di febbraio inizia un periodo terribile per la squadra di Ancelotti, che la farà capitombolare fino al quarto posto in classifica al termine della stagione. In Europa, invece, il DNA Milan illumina le notti infrasettimanali. Il secondo girone è di quelli impegnativi e vede il Diavolo dover fare i conti con Real Madrid, Borussia Dortmund e Lokomotiv Mosca. Dopo l’esordio contro il Real Madrid a San Siro, timbrato Shevchenko con un assist sidereo di Rui costa, i Rossoneri escono vincenti dal campo gelido del Westfalenstadion e battendo due volte anche i russi: i quarti sono obiettivo raggiunto.
L’urna di Nyon del 19 marzo assegna al Milan un avversario ostico e pieno di giovani: l’Ajax di Ronald Koeman. I Lancieri annoveravano tra le proprie fila talenti assoluti come Rafael van der Vaart, il diciannovenne Wesley Sneijder, le promesse Maxwell e Christian Chivu, oltre a un certo Zlatan Ibrahimovic. La gara d’andata dell’8 aprile termina con uno scacchistico 0-0, con i rossoneri che puntano ad uscire indenni dall’Amsterdam Arena per poi giocarsi tutto in casa.
Quindici giorni più tardi, il Milan deve fare i conti con le defezioni di tutto il centrocampo titolare: danno forfait Gattuso, Seedorf e Pirlo, quest’ultimo assente anche nella gara di andata. Alla corte di Koeman, invece, manca l’imprevedibilità di van der Vaart, ma sul fronte d’attacco si muovono Steven Pienaar, lo svedese con il numero nove ed Andy van der Meyde, che tornerà a Milano pochi mesi più tardi, per vestire la maglia dell’Inter. Da citare, tra le fila dell’Ajax, il compianto Abubakari Yakubu, scomparso nel 2017.
Il Milan arriva alla gara con l’Ajax dopo il tonfo casalingo con l’Empoli di quattro giorni prima. Ancelotti sceglie di affidarsi alla coppia titolare Shevchenko e Inzaghi per abbattere il muro olandese, mentre in difesa si muovono i soliti Simic, Nesta e Maldini, con Costacurta a contenere le discese sulla sinistra. Per completare il centrocampo, Kaladze viene spostato esterno alto, con Ambrosini frangiflutti e Brocchi a dare dinamismo sulla destra. Le geometrie, l’eleganza e la fantasia di Rui Costa si posizionano da trequartista e vertice alto del rombo.
L’atmosfera è quelle delle grandi serate e la tensione è concreta e tangibile. I rossoneri cominciano la gara con l’intento di dare subito un segnale e ci provano con una discesa personale di Rui Costa. Ma l’Ajax vuole dimostrare di non essere passato a San Siro per visitare la capitale della moda ed ha una ghiotta occasione con Ibrahimovic, che manca il pallone in area. Il Milan risponde e va vicinissimo al vantaggio con un tiro di Brocchi che s’impenna e impensierisce terribilmente l’estremo difensore Lobont, che salva con un miracolo. Ma il gol è solo rimandato perché al trentesimo un lancio di Rui Costa serve Shevchenko sulla destra, il suo cross è deviato da van Damme e arriva sulla testa di Inzaghi, che da solo non sbaglia. È lo stesso Shevchenko ad andare vicino al raddoppio con un pallonetto che sorvola la traversa.
La ripresa si apre con un brivido per i rossoneri. Van der Meyde riceve il pallone sulla sinistra, rientra sul destro e pesca in area Ibrahimovic: Dida esce in maniera incerta e lo svedese va vicinissimo al pareggio con un colpo di testa. Lo stesso van der Meyde si conferma spina nel fianco per i rossoneri. Prima salta Simic, poi serve in area Litmanen: il finlandese approfitta di una difesa rossonera mal posizionata e appoggia in rete pareggiando i conti. Il Diavolo però reagisce subito, due minuti più tardi. Al sessantacinquesimo Inzaghi stoppa un pallone a seguire e salta due uomini in area, il suo cross si impenna e arriva a Shevchenko, che di testa riporta il Milan in vantaggio. La partita sembra ormai in discesa per la squadra di Ancelotti, che controlla la gara con diligenza, pur chiudendosi troppo dietro la linea del pallone. Al settantottesimo Simic perde malamente un pallone a centrocampo e fa ripartire pericolosamente l’Ajax. Ancora van der Meyde calibra un cross dalla sinistra che viene spizzato in area da Ibrahimovic. Il pallone arriva a Pienaar, che prima vince un contrasto con Costacurta e poi da terra batte Dida, incolpevole. San Siro si chiude in un silenzio pietrificante. Il Milan prova a reagire con Shevchenko, ma Lobont si oppone. Al novantesimo Brocchi recupera su Ibrahimovic e l’appoggia all’ucraino, che serve Nesta per far ripartire l’azione con Costacurta. Il pallone arriva a Maldini che la sciabola verso Ambrosini, il pesarese svetta di testa e trova Inzaghi in area che con un pallonetto segna il 3-2. L’ultimo tocco è quello di Jon Dahl Tomasson a ribadire il pallone in rete. Ora San Siro esplode in una magnitudo travolgente.
La stagione del Milan e il ciclo vincente di Ancelotti trovano la loro icona e sliding door nei secondi che scorrono tra il pallone recuperato da Brocchi e il pallonetto di Inzaghi su cui si è avventato Tomasson per il 3-2. In quel frangente c’è un ribaltamento assoluto del concetto di tempo, che si piega alla volontà degli undici rossoneri, tra cui quella di un uomo che sulla relatività del tempo ha giocato e costruito tutta la sua carriera: Filippo Inzaghi. Nella rete del 3-2 c’è l’esaltazione di tutta la psico-sociologia di un giocatore che ha fatto del silenzio assordante la sua arma vincente: Jon Dahl Tomasson. Nel freddo dei suoi occhi glaciali c’è tutta la voglia di contribuire alla causa senza il bisogno di prendersi meriti. Tutti corrono ad abbracciare Inzaghi, lui compreso, ma dentro di sé sa bene che il gol è suo. Non vuole meriti, vuole vincere.
In quegli attimi, 3 secondi, tra il pallonetto di Inzaghi e il gol di Tomasson si fermano tutti i cuori rossoneri e il tempo scorre in slow motion. Il presente viene sovrastato da un passato glorioso e da un futuro ambizioso, che si uniscono insieme per far sì che quel pallone entrasse. Per far sì che il Milan ottenesse una bella vittoria, per arrivare a Manchester e alzare la sesta Champions League della sua storia.
Milan Ajax 3-2 è quindi l’iperbole dell’estetica della vittoria. Cosa sarebbe successo se il Milan avesse vinto con facilità, con un classico 2-0? Quanta regolarità nei battiti, quante scariche di adrenalina mancate, quante lacrime in meno, quanti anni di vita in più. Ma che cos’è il calcio senza emozione? Una partita a scacchi. Nella storia rossonera, invece, resta indelebile Milan-Ajax: una “bella vittoria”.
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