I mitici anni della Fidelis Andria in Serie B
17 Ottobre 2021
Impossibile non respirare l’aria della storia lì dove ha mosso i suoi primi passi da allenatore Ernő Erbstein. Sono passati quasi cento danni da quando Egri – come si ribattezzò durante gli anni successivi in ossequio ai dettami dell’epoca – allenatore in erba appena trentenne proveniente dall’Ungheria, fu chiamato per guidare la De Pinedo, squadra dilettantistica della città di Andria. Fu quello il suo primo passo verso una carriera ricca di soddisfazioni, travagliata, vincente e tragicamente interrotta dallo schianto sulla collina di Superga insieme al Grande Torino di cui era direttore tecnico.
Aveva lasciato qualcosa di magico nell’aria Erbstein – che, per i meno avvezzi al calcio d’epoca, fu colui che portò a vestire la maglia granata due atleti immortali come Ezio Loik e Valentino Mazzola – nell’aria di Andria e quel che accadde nel dopoguerra, così come negli anni successivi, portò incredibilmente una squadra dilettantistica a calcare i campi della Serie B per sei anni e ad incrociare i parastinchi con campioni senza tempo come Zidane, Del Piero e Mancini.

La Fidelis Andria si costituisce nel 1971 e raccoglie il testimone dall’ormai disciolta Associazione Sportiva Andria, società radiata dall’organigramma della FIGC dopo i pesanti scontri nel match di Serie D con il Potenza. La storia è scolpita nel suo DNA. La denominazione, infatti, prende spunto dall’incisione che Federico II di Svevia fece apporre sulla porta normanna di Sant’Andrea al ritorno da una crociata: «Andria fidelis, nostri affixa medullis; absit, quod Federicus sit tui muneris iners, Andria, vale, felix omnisque gravaminos expers». Questa la traduzione: «Andria fedele, affezionata fino al midollo delle nostre ossa, alzati. Vivi felice, senza più alcun peso».
E quelle parole sono state foriere di buona sorte. Diventa la prima espressione sportiva della città e, dopo aver militato nei campionati regionali, i Leoni spiccano il volo durante gli anni ’80, veleggiando verso campionati sempre più importanti. È il 1984 quando arriva la storica promozione in Serie C2, alla quale segue quella del 1989 che porta la Fidelis nella terza categoria nazionale. Sembra un sogno ad occhi aperti, ma il meglio sta ancora per arrivare. È il 1992 quando alla guida dei pugliesi c’è Mario Russo e al termine della stagione giunge un’incredibile promozione insieme alla Ternana, sopravanzando il Perugia nella corsa alla cadetteria. Allo Stadio degli Ulivi sono quasi increduli: la Fidelis Andria è in Serie B.
La promozione giunge grazie alle reti di Vittorio Insanguine, pugliese purosangue, che ha già assaporato l’aria della cadetteria con la maglia del Taranto. Insieme a lui ci sono anche un giovanissimo Gianluca Petrachi, che mette in mostra le sue qualità dopo alcuni anni di apprendistato, Roberto Ripa, che si distingue in difesa insieme a Monari, insieme ai perni Raffaele Quaranta e Roberto Cappellacci.
L’impatto con la Serie B non è semplicissimo e dopo il pareggio casalingo con la Lucchese giungono diverse sconfitte che convincono la dirigenza a sollevare Russo per chiamare Giorgio Rumignani. Il friulano porta con sé un bagaglio di solidità e pragmatismo che consente alla società biancazzurra di centrare la salvezza grazie al successo nell’ultima giornata contro la Reggiana, neo-promossa in Serie A. Dopo lo storico risultato raggiunto, nessuno avrebbe immaginato quel che è poi accaduto nel 1993-94. La Serie B accoglie la Fiorentina di Batistuta, Effenberg e Baiano. Fra i cadetti si aggirano bomber celebrati e futuri campioni. Basta citare Agostini (Ancona), Bierhoff (Ascoli), Chiesa (Modena), Vieri (Ravenna), Inzaghi (Verona), Carnevale (Pescara) e Hubner (Cesena).

In mezzo a simili corazzate, la Fidelis Andria di Attilio Perotti, però, riesce a compiere un vero e proprio miracolo. Merito dell’in-printing infuso dall’ex allenatore di Genoa, Piacenza e Triestina: un gioco semplice, “all’italiana”, forse poco spettacolare ma tremendamente efficace. Insieme al rapporto umano con i singoli calciatori della rosa. Violare la porta difesa da Luca Mondini è difficilissimo, tant’è che al termine della stagione la Fidelis Andria si issa fino ad un incredibile ottavo posto in coabitazione con l’Ancona, vantando la terza miglior difesa del campionato con ventotto reti subite. Al degli Ulivi è difficilissimo passare e proprio la Fiorentina di Batistuta deve chinare la testa dinanzi agli impenetrabili Ripa e Giampietro, tornando dalla trasferta pugliese con un pareggio ad occhiali. Saranno ben ventitré al termine della stagione i segni “X” sulla schedina quando giocano i biancazzurri, ma questo modus operandi frutta il miglior risultato sportivo assoluto nella storia della società.
L’ebbrezza per il nono posto dà la spinta necessaria alla Fidelis per collezionare la terza salvezza consecutiva anche nella stagione 1994-95. A mister Perotti è subentrato Gianfranco Bellotto che, dopo le buone performance con Pistoiese e Mantova in Serie C1, debutta fra i cadetti collezionando un dodicesimo posto. Il suo è un lavoro conservativo: non cambia la filosofia instillata dal suo predecessore – infatti saranno ben venti i pareggi collezionati a fine stagione – ma l’adozione dei tre punti a vittoria costringe i pugliesi a far legna nella parte centrale del torneo per tracciare il solco con le formazioni che lottano per non retrocedere nella terza serie. La squadra perde Mondini, Ripa e Insanguine: al loro posto giungono Beniamino Abate fra i pali, Pasquale Logiudice al centro della difesa, Daniele Pasa a centrocampo – che segue Bellotto dal Mantova – mentre in attacco esplode il giovanissimo Nicola Amoruso. Il ragazzo di Cerignola è giunto in prestito dalla Sampdoria ed assistito dall’ex pescarese Frederic Massara, riesce a segnare ben quindici reti, record assoluto fra i cadetti per un biancazzurro.

L’anno successivo, invece, matura l’amara retrocessione in Serie C1. È l’ultima giornata e gli andriesi vengono spediti nella terza serie dopo il successo del Brescia all’ultima giornata: la contemporanea sconfitta patita al Luigi Ferraris contro il Genoa da parte dei ragazzi di Roberto Boggia, subentrato a Mario Sonzogni a due giornate dal termine, non evita la catastrofe quando fino a qualche settimana prima nessuno avrebbe pensato di ritrovarsi in un simile pantano. Eh sì, perché la squadra riesce a metabolizzare la partenza di Amoruso con un gioco di squadra che riesce a mandare in rete un maggior numero di giocatori: sebbene il capocannoniere sia il centrocampista Filippo Masolini con sette reti, riescono a finire sul tabellino dei marcatori attaccanti come Luigi Beghetto e Frederic Massara (cinque reti a testa), la sorpresa dell’italo-tedesco Vincenzo Palumbo (autore di quattro reti in tredici partite) e soprattutto il terzino Scaringella, anch’egli quattro volte a segno. Tuttavia, non basta per evitare il crollo che nella coda finale del campionato premia Le Rondinelle.
Il 1996-97 è l’anno della ricostruzione e la Fidelis Andria con Giuseppe Papadopulo al timone domina il girone B della Serie C1, conquistando il primato del maggior numero di vittorie (ben diciassette) e del migliore attacco (quarantadue gol). Deus ex machina dell’impresa è Oberdan Biagioni che, ormai ai margini del Foggia, decide di vestire il biancazzurro per ritrovarsi dopo alcuni anni di smarrimento tra la Capitanata e Pistoia. Il fantasista romano dà il necessario guizzo ai pugliesi per innestare il pilota automatico ed aggiudicarsi il campionato con diverse giornate d’anticipo. Per questo, in vista della stagione 1997-98, l’obiettivo di mister Papadopulo è costruire una squadra che giri intorno all’estro del numero dieci ex Cosenza e Udinese. Gira tutto intorno ad Oberdan che è il catalizzatore della manovra e delle conclusioni a rete: gli fanno da fidi scudieri due attaccanti come Lemme e Palumbo, ma Biagioni riesce ad imitare Amoruso mettendo a segno ben quindici reti, mentre alle sue spalle c’è un giovane Renato Olive che tiene l’equilibrio al centro del campo. La Fidelis, dunque, conquista una tranquilla salvezza, riportando in auge il talento di uno dei fantasisti più apprezzati nella provincia di quegli anni.

La sua dipartita dopo l’estate del 1998 per accettare l’offerta del Brescia, appena retrocesso dalla Serie A, condiziona inevitabilmente le dinamiche del campionato cadetto che vedrà la Fidelis Andria partecipare per l’ultima volta al torneo. Non servono gli acuti di un giovanissimo Bernardo Corradi, assistito a metà stagione da Matjaz Florijancic. Francesco Ciccio Tudisco – ex simbolo della Salernitana – prova a vestire i panni del vice-Biagioni, cercando di non farlo rimpiangere. Seppur il bottino in campionato di nove reti lo incoroni re dei marcatori di squadra, l’addio di Papadopulo si fa sentire. Viene chiamato lo svizzero Roberto Morinini ad inizio stagione, ma dopo undici giornate la Fidelis Andria ha raccolto soltanto sei punti, frutto di una vittoria sulla Lucchese, tre pareggi e sette sconfitte. Come accadde nel 1993-94, la dirigenza biancazzurra tenta di giocarsi nuovamente la carta-Rumignani per centrare la salvezza. Ma questa volta l’arrivo del tecnico friulano non produce i risultati attesi e la retrocessione si concretizza dopo il recupero in extremis del Cosenza.
Termina così una delle favole più belle che hanno caratterizzato gli anni ’90. Dalla sfida in Coppa Italia nel 1991-92 contro la Lazio, alla doppia sfida contro la Juventus in due edizioni della competizione (1992-93 e 1996-97). Addirittura, contro la Fidelis Andria, sul prato dello stadio Cosimo Putilli di Barletta – per il rifacimento dell’impianto andriese – fece il suo esordio assoluto con la maglia bianconera un ragazzo francese con il ventuno sulle spalle: Zinedine Zidane. Chissà che l’aura magica di Egri Erbstein che permeava l’impianto non sia stata propizia alla carriera del franco-algerino.
di Nando Di Giovanni

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