I numeri 8 più iconici degli ultimi 30 anni
8 Febbraio 2020
La letteratura calcistica classica vuole che il numero otto indichi tendenzialmente il ruolo di interno destro. Con il passar del tempo e la contemporanea metamorfosi del gioco più bello del mondo, ci si è ritrovati a fare i conti con le più cervellotiche e sorprendenti declinazioni del ruolo ascritto a chi aveva quel numero sulle spalle. È capitato di vederlo sulle spalle di un portiere – chi se lo ricorda Jongbloed nell’Olanda di Crujff? – o su quelle di un terzino. L’arrivo delle maglie personalizzate ha favorito questa innaturale evoluzione del numero otto nella sua più stretta accezione; tuttavia, guardando da un altro punto di vista, ne ha fatto anche la fortuna, affrancandosi dalle concezioni classicistiche ed ascrivendosi al ruolo di icona quando qualcuno l’ha portato in cima al monte (calcistico) più alto e conseguentemente sui poster di milioni di fans. Oggi è il compleanno di uno che ha portato in alto e lontano il numero 8: Hristo Stoichkov. Per questo, riavvolgiamo il nastro della memoria per trovare chi, fra i suoi colleghi connumerati, può dirsi di esser stato un grande ambasciatorOtto.
20. Antonio Conte
Esordisce in Serie A quando non ha ancora 17 anni con la maglia del Lecce, la squadra della sua città: è Fascetti a gettarlo nella mischia, mentre Carlo Mazzone è il suo vero pigmalione, affidandogli le chiavi del centrocampo salentino sin dalla più giovane età. Qualità, cuore ed incursioni fanno parte del suo DNA e Giovanni Trapattoni lo sceglie per rinforzare la linea mediana della Juventus. Inizia così una storia d’amore che durerà ben tredici anni, costellata da cinque scudetti ed una Coppa dei Campioni fra le principali vittorie. È uno dei capitani storici della formazione bianconera, per lungo tempo perno inamovibile del centrocampo. Colleziona oltre cinquecento partite fra i professionisti, mentre in azzurro sono venti i gettoni di presenza, corredati da due reti.
19. Julen Guerrero
Non è solo il simbolo di una squadra, ma di un popolo, di una filosofia, di una cultura. Julen Guerrero è stato uno dei centrocampisti più eleganti di Spagna, prima dell’avvento dei marziani della golden generation. È un talento precoce quello di Julen: ha venti anni appena compiuti quando sia Don Balon che El Pais lo proclamano giocatore dell’anno dopo un’incredibile stagione conclusa con un bottino di diciotto reti. Anche l’anno successivo Julen fa faville, destando le attenzioni dei maggiori club d’Europa. Se qualunque giocatore avrebbe vacillato di fronte a simili prospettive, Guerrero risponde con i fatti a chi lo voleva già in procinto d’accordarsi con il Manchester United, il Barcellona o il Real Madrid: nel 1995 firma un contratto dodecennale, ribadendo – se ci fosse stato ulteriormente bisogno – il suo legame inscindibile con la compagine basca. Si ritira a soli 32 anni, dopo un periodo d’appannamento che ne ha dolorosamente accorciato la carriera.
18. Djalminha
In cinque anni di permanenza al Riazor è riuscito a spostare il baricentro del calcio iberico fin sull’estrema Galizia, dando un taglio all’estenuante balletto che, per anni, ha visto rincorrersi vicendevolmente per la conquista della Liga il Barcellona o il Real Madrid. Giunto nel Deportivo La Coruña a 27 anni, fresco di Balon de Ouro brasiliano, Djalma Feitosa Dias ha illuminato con squarci di classe divina il campionato spagnolo, consegnando nelle mani Depor il suo primo, storico scudetto. Il carattere bizzoso faceva il pari con lo sconfinato talento in campo: i suoi lanci hanno innescato il Pistolero, Roy Makaay, capace di realizzare 22 reti in occasione della stagione d’esordio, coincisa con il titolo del 2000. Rimarrà ancora qualche anno in biancoblu per poi svernare all’Austria Vienna ed appendere gli scarpini al chioso l’anno successivo.
17. Fredrik Ljungberg
La sua caratteristica cresta colorata non si è mai abbassata per tutta la durata della sua permanenza sul prato di Highbury. Freddie giunge a Londra fra lo stupore generale nel 1998, prelevato dall’Halmstad. Il suo nome si aggiunge al roster di mister Wenger sotto la voce “riserva” e, invece, nel giro di pochissimo tempo scala le gerarchie del tecnico francese e diventa uno dei principali interpreti dell’Arsenal degli invincibili. Veloce e tecnico, con il passar degli anni ha aumentato la sua capacità sotto porta, riuscendo anche ad andare un paio di volte in doppia cifra. Rimarrà con la maglia dei Gunners fino al 2007 quando si trasferirà prima al West Ham per poi concludere la sua carriera da vero e proprio globetrotter fra Stati Uniti, Scozia, Giappone e India. Ah, si pronuncia ljunbari.
16. Ian Wright
Se avesse avuto l’occasione di farsi notare prima, forse parleremmo del più grande cannoniere della storia d’Inghilterra. E invece parliamo del centravanti che ha ceduto il passo in cima alla classifica marcatori di tutti i tempi dell’Arsenal solo a sua maestà Thierry Henry. Con i Gunners ha messo a segno 185 gol in 288 partite, 118 in 277 con quella del suo altro club del cuore, il Crystal Palace che lo scovò a quasi 22 anni sui campetti della Sunday League. Wright era veloce, tecnico, dannatamente concreto: in otto anni ha fatto impazzire i tifosi dell’Arsenal, i quali lo hanno messo al quarto posto della graduatoria dei giocatori più amati di tutti i tempi. Uno spot inglese recitava: “Dietro ogni portiere, c’è una palla di Ian Wright”. Impossibile controbattere.
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