I numeri 8 più iconici degli ultimi 30 anni
8 Febbraio 2020
15. Claudio Marchisio
Il Principino ha indissolubilmente legato la sua carriera ai colori bianconeri che ha vestito sin dalla più tenera età. Elegante dentro e fuori dal campo, Marchisio ha visione e capacità d’inserimento. Esordisce ufficialmente con la Juventus quando la Vecchia Signora è costretta ad affrontare il campionato di Serie B del post-Calciopoli. Gli basta un anno ad Empoli per far capire all’Italia che sta crescendo uno dei centrocampisti più forti della storia recente d’Italia. Nei dieci anni vissuti da dominatori incontrastati del campionato, Marchisio è uno dei pilastri che detta i tempi dei Campioni d’Italia: colleziona la bellezza di sette scudetti consecutivi e quattro Coppe Italia, mentre in Nazionale si laurea vice-campione d’Europa nell’edizione di Euro 2012.
14. Predrag Mijatovic
Uno dei migliori ambasciatori in Europa della scuola jugoslava: era un attaccante atipico, col numero otto sulle spalle, ma capace di impersonare i panni del più letale dei centravanti. Era così, Predrag Mijatovic: un predatore dell’area di rigore. Dopo un’esperienza in patria, è il Valencia il più lesto a farsi avanti ed a metterlo sotto contratto. Vive il suo momento di maggior splendore a cavallo della metà degli anni ’90: al termine della stagione 1995-96 si laurea Pichichi con la maglia dei valenciani grazie ad uno score di 28 reti. Lo acquista, dunque, il Real Madrid che ha appena salutato Ivan Zamorano: una sua rete nel 1998 all’Amsterdam ArenA contro la Juventus riporta la Coppa dei Campioni sulla bacheca dei Blancos dopo 32 anni. Termina la carriera tra Fiorentina e Levante, prima di ritirarsi, falcidiato dagli infortuni, a 33 anni.
13. Dunga
Mai visto un brasiliano così tedesco. Eppure, con la maglia della Seleção giocava un tale Alemão (che vuol dire proprio tedesco, in lingua brasiliana). Tuttavia, quel che diventerà uno dei capitani più carismatici nella storia dei verdeoro, aveva un nome che poteva trarre in inganno: Dunga, infatti, significa Cucciolo, quello dei sette nani. In campo, però, Carlos Caetano Bledorn Verri attaccava gli avversari con una determinazione fuori dal comune. La Fiorentina mise gli occhi su di lui già nel 1984 quando, non ancora ventunenne, venne acquistato dai viola nell’ambito dell’affare che porto Socrates in Toscana. Tre anni a maturare in patria e l’arrivo nel 1987, in prestito al Pisa. Con i cugini Dunga mette in mostra il suo repertorio ed i viola si accorgono di avere un tesoro fra le mani. Ben presto diventerà il capitano indiscusso della Fiore, fin quando Cecchi Gori diede primi segni di delirio mettendolo fuori rosa, nell’annata che culminerà con la retrocessione in Serie B. Una comparsata con la maglia del Pescara, prima di emigrare a Stoccarda ed attendere il 1994 per alzare, con la fascia di capitano al braccio, la Coppa del Mondo nel 1994.
12. Antonio Carlos Cerezo
Soprannominato Tira e molla per la sua tipica andatura caracollante e dinoccolata, la sua classe innata in campo ha fatto da contraltare a quel nomignolo così irriverente. È il 1983 quando arriva in Italia insieme al connazionale Zico: lui va alla Roma, O Galinho va ad Udine, ma i loro transfer arrivano in ritardo rispetto al regolamento in vigore e i loro trasferimenti rischiano di sfumare. Dovrà intervenire addirittura il presidente Pertini per applicare una modifica alla norma in vigore e dare l’ok al tesseramento. Toninho è il regalo del presidente Viola ai suoi tifosi nell’anno dello scudetto, ma nei tre anni nella Capitale, Cerezo riuscirà soltanto a sfiorare i grandi obiettivi: perde nella finalissima di Coppa Campioni contro il Liverpool a Roma nel 1984 e fallisce alla penultima giornata l’assalto giallorosso allo scudetto nel 1986. L’anno successivo va alla Sampdoria dove vivrà una seconda gioventù ed aiuterà i blucerchiati dei giovani terribili Mancini e Vialli a centrare il tricolore del 1991. Nel 1992 disputa la sua ultima partita con i genovesi, perdendo un’altra finale di Coppa Campioni: questa volta il teatro è quello di Wembley e l’avversario è il Barcellona. Lascia dopo oltre 200 partite in Serie A.
11. Robert Prosinecki
Se solo avesse avuto più “testa”, parleremmo di uno dei più grandi centrocampisti di sempre. E invece Robert Prosinecki è sempre stato una persona e un giocatore poco scontato: estroso e di carattere. Un mix che ne ha fatto la sua fortuna e, paradossalmente, ha rappresentato una zavorra nell’ottica dell’affermazione su scala mondiale. Sì, ha vinto una Coppa dei Campioni con quella fantastica Stella Rossa, ha vestito le maglie di Real Madrid, Barcellona e Siviglia, ha portato la Croazia fino al podio durante i Mondiali di Francia ’98. Eppure, gli è mancata la consacrazione definitiva: fa il suo ritorno in patria a soli 28 anni per tornare a vestire la maglia della Dinamo Zagabria. Vive la sua ultima annata memorabile in Inghilterra con la maglia del Portsmouth nella Serie B inglese, tanto da finire nell’undici migliore di sempre nella storia dei Pompeys dopo un sondaggio fra i tifosi da parte di un quotidiano locale.
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