I calciatori che hanno esordito in Serie A nella stagione 1999/2000
30 Gennaio 2020
Quando realizzi che sono passati vent’anni dallo scampato pericolo del Millennium Bug, ti accorgi che l’età della responsabilità è improrogabilmente giunta. Ma siccome ognuno ha il suo refugium peccatorum, eccoci qui pronti per conferirvi la quotidiana dose di serotonina e leggerezza a suon di chicche.
Oggi è l’ultimo giorno della merla e, esclamando arrivederci al mese di gennaio, celebriamo anche il compleanno dell’eterno ed inossidabile Fabio Quagliarella. Il bomber della Sampdoria spegne la sua trentasettesima candelina e, insieme all’arrivo del nuovo anno, si accinge a celebrare i suoi vent’anni dall’esordio in Serie A, avvenuto il 14 maggio 2000 con la maglia del Torino contro il Piacenza. Il bomber stabiese fa capolino dal tunnel del fu stadio Delle Alpi al ritorno in campo dagli spogliatoi in sostituzione di Gennaro Scarlato. Fabio ha appena diciassette anni ed Emiliano Mondonico premia le sue ottime prestazioni nella primavera granata con l’esordio in massima serie. È l’ultima giornata di campionato ed entrambe le squadre sono già retrocesse in Serie B, ma il match rimarrà nei cuori dei più affezionati agli eroi della domenica visto che contemporaneamente Ruggiero Rizzitelli, con la maglia rossa degli emiliani, calca per l’ultima volta il palcoscenico della Serie A.
In questo ideale passaggio di testimoni fra generazioni, dunque, scartabelliamo fra gli archivi per trovare altri quindici colleghi di Quagliarella che, non ancora ventenni, hanno fatto il loro esordio in A proprio durante il campionato 1999-00. Si parte!
Manuele Blasi
Un mastino di centrocampo in tutto e per tutto. Questo è stato durante la sua lunga carriera Manuele Blasi. Cresciuto nelle giovanili della Roma, è Don Fabio Capello a farlo debuttare nella massima serie a diciannove anni: è il 22 gennaio 2000 quando il giovane mediano viene chiamato in causa per difendere con le unghie e con i denti il risultato in bilico fino al novantesimo: all’Olimpico la Roma sta imponendosi a fatica sul Piacenza dopo essere andato in svantaggio e Totti ha segnato il gol del 2-1 da 120 secondi, subito dopo essersi ritrovata in inferiorità numerica per l’espulsione di Candela. Dunque, via Montella e Rinaldi, dentro Gurenko e proprio Blasi. Tanto fosforo, pochi fronzoli. Si dipana su questo spartito la carriera del ragazzo della Capitale che dispenserà contrasti e legnate ai suoi avversari fino all’età di 36 anni. Sono ben dodici le maglie vestite nell’arco di quasi vent’anni. Le esperienze da ricordare sono quelle con la maglia del Perugia, con la quale è maturato, della Juventus, voluto da Capello e con la quale ha conquistato anche la convocazione in Nazionale, della Fiorentina, con cui ha segnato il suo unico gol in Serie A, e del Napoli, di cui ha rappresentato un perno fondamentale lungo il percorso della rinascita con Reja in panchina. Si leva anche lo sfizio di conquistare un titolo di Campione d’India con la maglia del Chennaiyin, guidato in panchina da Marco Materazzi.
Igor Budan
Quando c’era da colpire il pallone di testa, Igor non si tirava certo indietro. Gran cuore, fisicità e potenza sulla sua carta d’identità. Il gigante croato di Rijeka si è messo in mostra sin da giovanissimo con la prima squadra della propria città, fino a farsi notare dai dirigenti del Venezia, alla ricerca di un vice-Maniero. L’arrivo in Laguna alla corte di Spalletti avviene in un contesto fortemente modificato rispetto alla stagione precedente: sono andati via il tecnico Novellino ed Alvaro Recoba, due dei principali fautori della rincorsa alla salvezza dell’annata appena andata in archivio. L’esordio in A avviene a novembre contro il Piacenza (0-0), mentre il primo gol giunge sei giorni prima di compiere vent’anni, il 16 aprile 2000, durante Parma-Venezia, terminata 3-1. Rimane nell’orbita arancio-nero-verde fino al 2003, finché l’Atalanta lo acquista per affidargli le chiavi dell’attacco: con undici reti il croato centra l’obiettivo e torna nella massima serie con gli orobici, seppur l’annata sia funestata da un infortunio al ginocchio. Vive il suo periodo migliore fra il 2006 e il 2008 con i colori del Parma addosso: sigla venti reti in cinquanta partite ed esordisce anche in Coppa UEFA, ma è ancora una volta un infortunio a minarne il rendimento. Questa volta s’infortuna alla coscia restando ai box per oltre quattro mesi. Tuttavia, nel 2008 il Palermo lo acquista, scommettendo sul suo recupero completo. Purtroppo per Budan e per i rosanero, il suo calvario proseguirà per oltre un anno e mezzo ed alla fine si conteranno quasi dieci interventi chirurgici. Conclude la sua carriera nel 2013, a 33 anni, a causa dei numerosi problemi fisici.
Emanuele Calaiò
Gli sono bastati otto minuti per far capire agli addetti ai lavori di che pasta era fatto: in trasferta al Granillo, nel giorno della Befana, con la maglia del suo Torino. Rete all’esordio. La prima di 197 perle incastonate in un diadema che cinge un arco di vent’anni, in cui ha incasellato l’ultimo tassello solo la scorsa estate, annunciando il suo ritiro a 37 anni dopo l’esperienza con la Salernitana. Nel mezzo, una carriera caratterizzata da un cliché ripetuto ai limiti dello sfinimento: tiro, gol, freccia verso i tifosi. L’Arciere ha fatto centro davvero tante, tante volte. Dopo i primi passi con la maglia granata del Torino e le esperienze con il Messina e la Ternana, Calaiò si scopre bomber di razza con la maglia del Pescara: è il campionato 2003-04 quando l’attaccante palermitano riesce a mettere a segno ben 21 reti, piazzandosi al quinto posto nella classifica dei marcatori alle spalle di Toni, Lucarelli, Protti, Riganò ed al fianco di Zampagna. Inizia anche la stagione successiva con la maglia degli adriatici, ma il neonato Napoli Soccer di De Laurentiis gli fa una corte spietata e nel gennaio del 2005 se ne va in Serie C per difendere i colori dei partenopei. È lui a guidare la riscossa dei campani che, nel giro di due anni, passano dall’inferno della terza serie al paradiso della A. Rimane nella massima categoria per un anno per poi accettare la corte del Siena che gli assicura la permanenza nel calcio che conta. Lo saluta nel 2014 quando veste la maglia del Genoa, per diventare il terminale d’attacco di lusso per le squadre di B con ambizioni di promozione. Ci prova invano con le maglie di Catania e Spezia, ma ci riesce, alla fine, nel 2018 con il Parma dopo averlo riportato fra i cadetti. Poi l’ultimo atto dello scorso anno con la Salernitana.
Paolo Cannavaro
Non è affatto facile vivere all’ombra di un Campione del Mondo e Pallone d’Oro. È vero, Paolo non avrà la classe e la tecnica di Fabio, ma di certo non gli mancano i piedi, il cuore e l’abnegazione che gli son serviti per vestire la maglia del suo Napoli in quasi 280 occasioni e di vestire la fascia da capitano in occasione dell’esordio in Champions League. Paolo Cannavaro è stato un simbolo del San Paolo ed uno dei giocatori più amati della storia recente dei partenopei. Tutto ebbe inizio nel 1998, ma in quell’anno il Napoli militava in Serie B. Disputò solo due partite quell’anno, ma gli bastarono per fargli raggiungere il fratello maggiore già di stanza in quel di Parma. Debutta in massima serie sostituendo proprio Fabio durante un Parma-Lecce (4-1) appena maggiorenne. Dopo un prestito al Verona, disputa un altro quadriennio sulla via Emilia prima di ricongiungersi agli amati colori sociali del Napoli, per cui decide di scendere in Serie B, rinunciando alla massima categoria. Un matrimonio di sangue al quale non si può dir di no. Il rapporto di esaurisce alla soglia dei 33 anni, quando ormai gli azzurri sono tornati una grande squadra e Cannavaro ha vestito i panni dell’irrinunciabile leader silenzioso. Conclude la sua esperienza in Serie A con la maglia del Sassuolo, per poi ritirarsi nell’estate del 2018, a 37 anni, con un curriculum di oltre 400 partite nella massima serie. Non sarà forte come Fabio. Ma i Cannavaro ci sanno fare col pallone.
Antonio Cassano
Ogni volta che si parla di Fantantonio si rischia di essere riduttivi o ridondanti, quando si cerca di circoscrivere in poche righe la storia di uno dei ragazzi dal talento più adamantino che abbia illuminato il calcio nostrano degli ultimi trent’anni. Impossibile limitarsi e limitarlo, dentro e fuori dal campo. Il suo “estro” lo ha portato perfino ad essere un lemma della Treccani alla voce “cassanata”. Ed allora, per forza di cose, rimaniamo nel seminato, raccontando di quel magico esordio del ragazzo di Bari Vecchia durante il torneo 1999-00 con l’amata casacca dei Galletti. Agli ordini di mister Fascetti c’erano attaccanti del calibro di Masinga, Osmanovski e Spinesi, ma quell’anno la scena fu tutta di Cassano ed Enyinnaya. Se poi esordisci nell’infuocato derby contro il Lecce vuol dire che con il pallone ci sai davvero fare. E se poi la giornata successiva, il 18 dicembre 1999, mandi per farfalle Panucci e Blanc con un controllo volante di tacco per poi scagliare il pallone in fondo al sacco, sei davvero un semidio. Antonio Cassano ha appena diciassette anni e nasce sotto gli occhi esterrefatti di milioni di telespettatori la storia di un talento che rimpiangeremo a lungo per non aver fatto vedere davvero tutto ciò di cui era capace. Giocatori così non ne nasceranno più, forse. E noi non possiamo far altro che ringraziare la buona sorte per averci dato la fortuna di esser suoi contemporanei.
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