Il giorno in cui i tifosi del Napoli si innamorarono ufficialmente di Careca
5 Ottobre 2020
Non è facile fare da spalla al più grande di tutti. Destinato, quest’ultimo, ad essere giocoforza sempre al centro dell’attenzione, nel bene e nel male, a far parlare di sé sul campo e fuori, ad essere l’inevitabile catalizzatore del mondo dei media. Ma, forse, sarebbe giusto guardare anche le cose da un altro punto di vista: che ne sarebbe stato del CR7 madridista senza il prezioso gioco di squadra di Benzema, di Leo Messi senza il Pistolero Suarez, dell’immensa classe di O Rey Pelè senza Didì, Vavà e tutto il resto del cucuzzaro? O, per introdurre questa bella storia, cosa sarebbe stato dello smisurato talento del Pibe de Oro Maradona senza Careca?
Già, Careca. “O Carè, Carè, Carè, tira la bomba, tira la bomba”: è questo il coro che risuona ancora oggi dalle gradinate del San Paolo in ricordo delle gesta dell’attaccante esploso nel Guaranì, perfetto finalizzatore del gioco del Napoli nel periodo di massimo splendore della sua storia. Nato nel 1960 ad Araquara, si afferma come uno degli attaccanti più prolifici del campionato verde-oro: di lui si accorge Ferlaino, indimenticato presidente partenopeo, che lo vuole come rinforzo per l’undici allenato da Ottavio Bianchi, neo campione d’Italia.
La prima stagione di Careca si chiude con tredici reti, bottino niente male, ed un campionato praticamente vinto che viene gettato alle ortiche dalla rimonta del Milan, in circostanze mai ben chiarite. Serve cambiare, tant’è che se ne va La Banda dei Quattro, quella composta da Garella, Ferrario, Bagni e Giordano, quest’ultimo componente del Ma-Gi-Ca (Maradona, Giordano, Careca), con conseguente promozione di Carnevale a titolare.
Sono queste le premesse della stagione 1988-89 che, per il Napoli, vede un avvio ricco di alti e bassi: un ko a Lecce, alternato al clamoroso 8-2 interno col Pescara. Sono segnali che qualcosa ancora da rodare c’è. Fino a quando non arriva la sfida del Comunale, a Torino, contro la Juventus: la dominatrice della prima parte degli anni Ottanta, una Vecchia Signora che si sta rifacendo il look dopo aver salutato Le Roi Platini e Scirea, contro il nuovo che avanza, il Ciuccio. Per la sesta giornata di una Serie A iniziata in ritardo a causa dei Giochi Olimpici coreani, 20 novembre, Ottavio Bianchi non ha a disposizione Alemão e schiera Fusi, Crippa e De Napoli dietro appunto a Maradona, Carnevale e Careca. Zoff, che allena la Juve, si affida a Spillo Altobelli, alle ultime cartucce della carriera, supportato dai tre stranieri che il regolamento concede: il mini portoghese Rui Barros, Michael Laudrup e la meteora sovietica Zavarov.
All’ombra della Mole i tifosi napoletani si innamorano davvero di Careca, autore di un primo tempo sensazionale. Sugli spalti l’Avvocato Agnelli, con l’ospite d’onore Harry Kissinger, assiste impotente a quarantacinque minuti di dominio ospite: apre Carnevale su punizione di Maradona, poi la scena è tutta brasiliana, con Careca che palleggia in mezzo al campo come un ballerino, si lancia in velocità per raccogliere l’assist di un compagno, prima di fulminare Tacconi dopo che un difensore bianco-nero aveva respinto la sua prima conclusione. La doppietta è nell’aria e arriva poco prima che l’arbitro Lanese mandi le due squadre negli spogliatoi per l’intervallo: percussione di Maradona, palla a Ferrara che apre sulla destra per il suo numero nove, abile ad insaccare con una violenta rasoiata.
Partita finita? Neanche per idea. Al ritorno in campo Zavarov si risveglia dal torpore e manda in porta Galia, poi si mette in proprio e al 55’ batte Giuliani, che ad inizio stagione ha sostituito tra i pali l’epurato Garella, inserendosi su un preciso traversone da sinistra di De Agostini. L’illusione di poter pareggiare dura 180 secondi: De Napoli recupera palla a metà campo e fugge via sulla destra, palla in mezzo per Careca che addomestica la sfera e, con un preciso lob, fa tripletta (la prima nel Belpaese) e si porta a casa il pallone. “Avevo sognato il 3-0 per noi, forse mi ero fermato al primo tempo” scherza Maradona a fine gara, applaudendo la prova dei suoi. Poco importa di ciò che succeda dopo: De Agostini, dal dischetto, firma il 3-4 che sembra riaprire i giochi, Renica fa altrettanto a 5’ dalla fine portando i due punti all’ombra del Vesuvio. Napoli batte Juventus 5-3: era dal 1975 che la sfida non si concludeva con tante reti, ma in quel caso erano state le Zebre a banchettare, passando 6-2 sul campo dei rivali.
Saranno diciannove le reti del centravanti brasiliano quell’anno, che valgono il secondo posto nella classifica marcatori alle spalle di Aldo Serena, capocannoniere e punta di diamante dell’Inter dei record, che festeggia il tredicesimo tricolore della propria storia. Per il Napoli, ancora secondo, ci sarebbe nuovamente da masticare amaro dopo la beffa dell’anno precedente, ma un motivo per sorridere c’è e si chiama Coppa UEFA.
Ancora una volta è la Juventus a fare da spartiacque: nella gara di ritorno, dopo aver perso 2-0 all’andata, Careca si procura un penalty trasformato da Maradona, poi serve al libero Renica (ancora lui!) l’assist del 3-0, ai supplementari, che completa la rimonta e manda i suoi in semifinale. Di fronte il Bayern Monaco, contro cui l’attaccante si scatena: gol all’andata, doppietta al ritorno, viatico ad un’altra sfida con un’avversaria tedesca, stavolta lo Stoccarda. All’epoca anche l’atto decisivo della manifestazione si gioca in duplice gara: al San Paolo il paisà Gaudino gela il pubblico di fede bianco-azzurra, Maradona rimette il discorso in equilibrio su rigore, mentre a tre minuti dalla fine è Careca a regalare vittoria e vantaggio ai compagni. Il titolo si assegna in campo avverso: è il 17 maggio, il Napoli vola sul 3-1 per poi essere ripreso sul pari. Careca segna la terza rete e, finalmente, può festeggiare insieme ai compagni, con cui parteciperà poi alla cavalcata tricolore nell’annata seguente. Ma questa è un’altra storia.
Damiano Reverberi
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