Il record che non gli ruberà mai nessuno: il gol più veloce da subentrato in Champions
10 Luglio 2020
Incompiutezza. È il termine che maggiormente inquieta le menti di ogni aspirante campione sportivo. Quante volte abbiamo sentito racconti di giocatori promettenti tra le file dei settori giovanili delle squadre per cui sono tesserati; quante attese, quante speranze. Infine, quante promesse non mantenute. A volte è il carattere a pregiudicare il corretto svolgimento della carriera di un ragazzo, nel momento in cui per fare il salto di qualità non serve più dribblare come alla PlayStation o avere un tocco magico, quanto piuttosto una testa ben piantata sulle spalle e una maturità che possa permettere di fare le scelte giuste, accostando concentrazione e serietà sul lavoro insieme alle proprie ambizioni, che non devono mai mancare. A volte, invece, ci pensa la malasorte a compromettere il corretto svolgersi della carriera di un calciatore, con gli infortuni: in quel caso, non c’è testa sulle spalle che tenga.
In ogni epoca calcistica abbiamo avuto modo di rimpiangere innumerevoli talenti che il destino ha accostato alla sfortuna. Oggi, vogliamo ricordare quello del tedesco Lars Ricken, proprio nel giorno del suo quarantaquattresimo compleanno.
Perché Lars Ricken è stato uno dei più interessanti prospetti del calcio europeo, agli inizi degli anni Novanta. Lo sanno bene gli juventini, con cui il tedesco ebbe un rapporto particolare. Ogni volta che vedeva le strisce bianconere, Ricken tirava fuori il meglio di sé. A cominciare dalla stagione 1995-96, quando il Borussia Dortmund, squadra della città in cui Ricken è nato e per la quale ha dedicato l’integralità della sua carriera, trovò proprio la Juventus nel girone C della Champions League. E se nella gara di andata (la prima del girone) Ricken ebbe modo di vedere, dalla panchina, la prima splendida pinturicchiata di Alex Del Piero, nel match di ritorno il giovane ragazzo si rese protagonista di un grandissimo gol allo stadio Delle Alpi, con un sinistro al volo che tolse le ragnatele della porta difesa da Angelo Peruzzi.
Tuttavia, fu un anno e mezzo più tardi che Ricken consolidò il legame particolare con la Vecchia Signora. Il palcoscenico dell’episodio più importante della carriera del promettente giocatore era l’Olympiastadion di Monaco di Baviera, dove il suo Borussia affrontava la Juventus nella partita valevole per la finale di UEFA Champions League (la seconda delle tre finali consecutive disputate dalla squadra bianconera). Appena ventunenne, Ricken partì dalla panchina. Il ragazzo, nato il 10 luglio 1976, era un promettente centrocampista offensivo dotato di una spiccata intelligenza calcistica e di un piede destro tanto potente quanto preciso. Nonostante la giovanissima età, Ricken aveva disputato tutte e quattro le partite di Champions precedenti da titolare, tra quarti di finale e semifinale, segnando anche un importantissimo gol nel quarto di finale di andata contro i francesi dell’Auxerre, tanto per confermare quanto talento madre natura gli avesse donato. La sera della finale, tuttavia, il suo allenatore, Ottmar Hitzfeld, lo fece partire dalla panchina, preferendogli altri centrocampisti più esperti e più fisici di lui. Contro quella Juve, che era una squadra fortissima, composta da campioni come Zidane, Del Piero, Deschamps e Christian Vieri, serviva più fisico e cattiveria e meno tecnica e creatività. Fu così che lo scalpitante Ricken osservò i primi settanta minuti dalla panchina.
Mentre assisteva al doppio vantaggio dei suoi e al gol di Del Piero, che accorciò le distanze con uno straordinario colpo di tacco, il giovane ragazzo, che come già detto dimostrava, oltre alle abilità tecniche, un’intelligenza sopraffina, notò quello che nessuno forse aveva potuto osservare in quella partita ricca di emozioni. Rilascerà queste dichiarazioni a fine partita: “Ero in panchina e osservavo attentamente lo svolgersi del match. Ciò che nessuno aveva notato, a differenza mia, era che il portiere della Juventus, Angelo Peruzzi, stava sempre molto lontano dalla porta. I bianconeri attaccavano spesso, e lui trascorreva parecchio tempo sulla lunetta della loro area di rigore. Mi ripetevo, dentro di me, che se fossi entrato avrei dovuto provare a calciare dovunque mi trovassi. E avevo ragione…”. Infatti, entrato al 72’ al posto di uno stanco Chapuisat, non appena vide il pallone finire tra i piedi di Andreas Möller, Lars Ricken partì in velocità alle spalle di Angelo Di Livio, per alimentare e velocizzare un contropiede pericoloso. Möller servì il compagno con estrema precisione, e dopo appena sedici secondi dal suo ingresso in campo, Ricken abbinò la concretezza alla sua intelligenza, facendo partire un pallonetto da quarantacinque metri, con la palla che si infilò in rete. Angelo Peruzzi era effettivamente troppo fuori dalla sua porta, e fu trafitto per il definitivo 3-1, per l’immensa gioia dei suoi tifosi. Un gol dopo sedici secondi dal suo subentro in campo: si trattò di un record assoluto in Champions League. Un record che aspetta ancora di essere battuto.
Purtroppo per il ragazzo di Dortmund, quella che avrebbe dovuto rappresentare solo l’ingresso definitivo tra i migliori talenti al mondo in circolazione fu semplicemente l’apice della sua carriera. Infatti, una serie di innumerevoli problemi fisici ne impedirono il normale proseguo e la continua ascesa. Ricken alzò bandiera bianca a soli trentadue anni, costretto al ritiro dal calcio professionistico. Dall’anno seguente, il Borussia, a cui aveva dato tutto, gli offrì l’opportunità di dirigere il settore giovanile. Un incarico che Ricken svolge tuttora, e che gli ha dato modo di mettere in mostra nuovi talenti dalla classe mondiale come Mario Götze e Marco Reus, cresciuti e maturati grazie anche ai suoi preziosi consigli.
Quel gol a Monaco di Baviera Ricken non lo scorderà mai. “La gente, quando mi vede, mi parla subito di quel gol in finale di Champions. In molti mi raccontano il momento esatto in cui erano mentre feci quel pallonetto. Un ragazzo un giorno mi raccontò che vedendomi calciare da quella distanza mi urlò tutte le offese contro, prima di ritrovarsi, due secondi più tardi, immerso nella folla dei tifosi esultanti come pazzi. Addirittura, una coppia di marito e moglie mi hanno raccontato che si sono conosciuti perché, presi dall’euforia, si erano abbracciati al momento del mio gol, seppur non si conoscessero affatto. Queste cose mi riempiono di gioia”.
È un peccato che la carriera di Lars Ricken possa considerarsi incompiuta, e che venga ricordata solo per quel gol (nonostante ne abbia segnati altri 82, in 458 partite), perché a quel ragazzo non mancava nulla per poter raccogliere molti più successi: aveva tecnica, intelligenza tattica e soprattutto una testa sulle spalle che lo distingueva da molti altri suoi colleghi per un professionismo e una dedizione per il calcio assoluta. È un vero peccato. Anche se, a guardare il bicchiere mezzo pieno, se segni un gol così bello per la tua squadra del cuore e per la gente della tua città, in una finale di Champions, significa che sarebbe potuta andare molto, ma molto peggio.
Cosimo Bartoloni
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