Il Super Depor e la notte del Riazor
27 Aprile 2020
Oggi voliamo con la mente a La Coruña, nella comunità autonoma della Galizia (Spagna), in una regione in cui prima della scoperta dell’America si credeva finisse il mondo. Non è un caso che un centinaio di km più ad ovest esista un comune denominato Finisterre (dal latino finis terrae, ossia confine della terra).
Qualche dio del calcio, nel 2004, aveva deciso che chiunque ambisse a vincere la 49ª edizione della Champions League sarebbe dovuto passare da qui, indenne. La squadra locale, il Deportivo, era un club che stava vivendo il più rigoroso momento della sua storia: da qualche anno si era affermato come uno dei più temuti di Spagna e quella del 2003-04 era la sua quarta partecipazione di fila in Champions. Il club biancoblu, infatti, era cresciuto molto negli anni precedenti, e grazie al sostegno dell’ambizioso e abile presidente Augusto Joaquìn César Lendoiro era diventato una compagine di massimo rispetto, anche in Europa.
Il 7 aprile del 2004 il percorso in Champions League del Milan, campione in carica, passava proprio dallo stadio Riazor, fortino di un sorprendente Deportivo La Coruña, che agli ottavi si era sbarazzato, più facilmente del previsto, della Juventus della fine del secondo, ed ultimo, ciclo di Marcello Lippi. I rossoneri, lanciati verso lo scudetto, vedevano aprirsi gli spiragli per un nuovo successo nella massima competizione europea per club: dall’urna di Nyon, infatti, Silvio Berlusconi e Adriano Galliani furono soddisfatti di aver pescato quegli spagnoli lì, e di aver evitato quelli ben più temibili, vestiti di bianco e provenienti da Madrid. Il risultato d’andata (4-1) fu la conferma che il passaggio del turno alle semifinali sarebbe stato un gioco da ragazzi per uno squadrone come il Milan, che nonostante il momentaneo vantaggio di Walter Pandiani (che proprio oggi compie 44 anni), riuscì a portare a casa, in rimonta, una netta vittoria che sembrò spalancare le porte ai rossoneri verso le Final Four.
Ma nessuno sapeva quale imprevedibile destino stava attendendo l’universo milanista. Quando la squadra al momento in vantaggio si trova ad affrontare il decisivo match di ritorno in casa dell’avversario, ci sono due errori che non deve commettere: cedere agli assalti dei primi minuti, e perdere la concentrazione e la serenità se la piega del match dovesse improvvisamente pendere dalla parte opposta a quella desiderata, perché la variabile dell’imprevedibilità calcistica deve essere sempre tenuta in considerazione, anche da un collettivo strabordante di classe ed esperienza come quella di Carlo Ancelotti. In ogni caso, le percentuali di una rimonta spagnola erano estremamente basse.
Quando l’arbitro svizzero Urs Meier fischiò il calcio d’inizio, i giocatori del Depor diedero subito un segnale forte ai rossoneri, mostrando un’elevatissima intensità e grande pressing, come a voler intimidire il Diavolo. Ciò, tuttavia, non impedì ai giocatori milanisti di crearsi una prima nitidissima occasione da rete con Jon Dahl Tomasson (che quella sera faceva riposare Inzaghi), che non riuscì a colpire con potenza un pallone giunto in area di rigore in maniera bizzarra, a seguito di un rimpallo. Una manciata di secondi più tardi, ecco che quel che doveva essere evitato si concretizzò: un passaggio del terzino spagnolo Romero attraversò tutto il campo e giunse al limite dell’area di rigore tra i piedi di Walter Pandiani che, marcato forse a qualche metro di troppo di distanza, ebbe il tempo di sistemarsi il pallone e girarlo alla perfezione all’angolino sinistro della porta difesa da Nelson Dida. Erano passati appena quattro minuti e quarantanove secondi dall’inizio dell’incontro, e il Deportivo La Coruña aveva già riacceso le speranze dei suoi trentamila tifosi giunti al Riazor. Era il primo errore da non commettere: crollare al prevedibile assalto avversario dei primi minuti.
Il 4-1 dell’andata lasciava ancora tutti i favori del pronostico al Milan che, tuttavia, nei minuti successivi al gol del vantaggio dei padroni di casa, continuò a subire le offensive degli scatenati padroni di casa che schiacciarono gli ospiti nella loro area di rigore. Dal canto loro, gli uomini di Ancelotti cercavano, pur senza troppa lucidità e tranquillità, di addormentare il gioco con Seedorf, Pirlo e Kàkà, con quest’ultimo che ebbe anche una limpidissima occasione di pareggiare e chiudere definitivamente i conti, se non fosse stato per un temporeggiamento di troppo che gli impedì di trafiggere il portiere avversario, Molina. Il Deportivo tornò a ringhiare come un toro scatenato, con Dida che s’impegnava a ribattere i sempre più incessanti attacchi spagnoli. Il portiere brasiliano, fino alla mezz’ora impeccabile, commise un grave errore su un cross di Luque: uscito a vuoto, permise a Valerón di insaccare di testa il gol del 2-0.
Il 4-1 dell’andata iniziava a vacillare seriamente, e la paura iniziò a sopraffare i giocatori rossoneri che misero in atto il secondo errore che non avrebbero dovuto commettere: perdere la tranquillità e la concentrazione. Il Milan era definitivamente sparito, ormai nella morsa del Depor che neanche dieci minuti dopo segnò il terzo gol, prova lampante che le gambe meneghine avevano iniziato a tremare, come quelle di principianti qualunque: Alessandro Nesta, e Cafù, due tra i più forti difensori in circolazione al momento, si fecero beffare da Fernando Luque, attaccante spagnolo che nella sua carriera ha segnato un’ottantina di gol in quattrocento presenze. Insomma, non stiamo certo parlando di un’irrefrenabile macchina da gol. Tuttavia, l’attaccante si involò beffando la difesa milanista e infilando il pallone sotto la traversa della porta di un Dida caduto, anch’egli, sotto l’incanto del Riazor: 3-0. Con questo risultato i rossoneri sarebbero stati eliminati dalla Champions League.
La partita era ancora lunga, ma con un Deportivo La Coruña scatenato e un Milan che sembrava una matricola stretta nella morsa del gigante, lo scenario di un clamoroso Riazorazo, passateci il termine, stava prendendo forma. All’intervallo, la situazione era questa: Depor 3-0 Milan. Al rientro in campo, capitan Maldini provò a spronare i suoi uomini, mettendosi al centro di un cerchio, tirando fuori parole che sperava potessero scuotere gli animi assenti dei compagni. Servì a poco. Il Milan provò a rimettere le cose a posto, ma in maniera troppo timida e sicuramente non con quell’incisività tipica di quello squadrone che solo un anno prima era salito sul tetto d’Europa.
Ancelotti si giocò la carta Pippo Inzaghi, uno che se butti la palla in area, con altissime probabilità, la sa mettere in fondo al sacco. Ma quella sera, gli dèi del calcio avevano deciso di sacrificare i rossoneri. Il quarto gol del Depor fu l’ennesima prova che quella sera non ne sarebbe andata dritta neanche una: sul lancio di uno scatenato Víctor, uno tra i migliori in campo, la palla finì tra i piedi di Francisco Javier González Pérez, detto Fran, vera e propria bandiera del Depor (dove militava, pensate, dal 1987). Liberatosi facilmente della marcatura di un Gattuso che di ringhioso, quella sera, aveva ben poco, l’esterno spagnolo fece partire un tiro potente, ma forse non precisissimo.
Dida, peraltro, sembrava controllare la traiettoria, ma Cafu deviò la conclusione, spiazzando il suo portiere e regalando ai padroni di casa la gioia del quarto gol al Milan campione d’Europa, tra gli occhi increduli dei giocatori di Carlo Ancelotti. Manuel Rui Costa, anch’egli subentrato ad un irriconoscibile Andrea Pirlo, ebbe sui piedi la palla del 4-1 che avrebbe voluto e potuto dire tabula rasa, con i tempi supplementari a far da giudice per decretare il passaggio del turno, e con il fattore dell’esperienza – a favore dello squadrone milanista – che avrebbe potuto giocare un ruolo determinante per salvare un mercoledì da afflizioni, più che “da leoni”. Anche in quel caso, la fortuna sedette dalla parte opposta dei rossoneri, con Molina in formato SuperMan, che tolse dall’incrocio dei pali il pallone scagliato dal numero dieci portoghese.
Nei quattro minuti di recupero, tranne i ventidue in campo, tutto il Riazor era immobile e incredulo di fronte a ciò che di lì a pochi secondi sarebbe diventato realtà: il Deportivo La Coruña aveva ribaltato il 4-1 di San Siro, eliminando il Milan Campione d’Europa, ottenendo uno storico accesso alle semifinali di Champions League.
Il Riazor era in festa, mentre ai tifosi milanisti giunti in Spagna non rimase altro che sorbirsi un infinito e estenuante viaggio di rientro per Milano. Se provate a citar loro anche solo “Pandiani”, o “Molina” vedrete che, anche a distanza di molti anni, rabbrividiranno subito al pensiero di quella terribile esperienza vissuta là dove quell’anno non finiva solo la terra, ma anche i loro sogni di gloria.
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