Il valoroso vichingo buono di un calcio che non c’è più
20 Agosto 2021
Ci piace immaginarlo nel Valhalla, a brindare con gli dei allo stesso tavolo di altri valorosi, vichingo in mezzo ad altri vichinghi, in quel Paradiso che si è guadagnato con le gesta in campo e con l’esempio fuori.
Valoroso, indomabile, costretto alla resa da un qualcosa che lo ha vinto ma non sconfitto, questo è stato Klas Ingesson nella sua purtroppo brevissima vita, terminata il 29 ottobre del 2014 a soli 46 anni per colpa di un male odioso.
Un male che lo stesso calciatore svedese, nato il 20 agosto del 1968 e volto simbolo del Bari dal 1995 al 1998 e del glorioso Bologna degli anni dal 1998 al 2000, senza dimenticare la parentesi con la maglia del Lecce nel 2001, aveva definito troppo piccolo per il suo corpaccione da centrocampista tutto muscoli e tutto cuore, con piedi decisamente educati a discapito delle apparenze.
“Questo è solo un piccolo cancro”, il titolo di quella autobiografia che il calciatore non è mai riuscito a leggere. Ingesson, decisamente non uno qualunque. Uno che è riuscito a rendere umano anche Zlatan Ibrahimovic, che ha ricordato il calciatore tra le lacrime durante la premiazione del Pallone d’Oro di Svezia del 2014: «Vorrei dedicare questo premio a Klas Ingesson e a Pontus Hans Segerström, morti recentemente. Bisogna godersi la famiglia, perché tutto può cambiare all’improvviso. Io stesso ho dovuto dire addio a mio fratello scomparso mesi fa per una malattia. Possano riposare in pace».
Una pace che Klas ha cercato fino all’ultimo istante di vita. Sulla panchina, da allenatore, ruolo che ricopriva già in mezzo al campo.
FALLO COL CUORE
IFK Göteborg, Malines, PSV Eindhoven, Sheffield Wednesday, le tappe della carriera di Ingesson prima del suo arrivo in Italia, acquistato dal Bari durante il mercato di riparazione della stagione 1995-96. Stagione balorda, le 24 reti di Protti non bastano per tenere in serie A i Galletti di Materazzi prima e di Fascetti poi.
Klas arriva al San Nicola, ad attenderlo c’è anche Kennet Andersson, entrambi eroi della gloriosa spedizione svedese al Mondiale statunitense del 1994. Si ritaglia un ruolo di primo piano fin da subito, sceglie di restare al Bari anche in Serie B, è protagonista della cavalcata che ha portato subito i biancorossi nel campionato di Serie A, con il suggello della festa promozione del 15 giugno 1997, il San Nicola pieno in ogni ordine di posto per la vittoria contro il Castel di Sangro. Il “freddo” Ingesson segna quella giornata tra le più emozionanti della sua vita, i tifosi della Bari lo scelgono come idolo e come riferimento. La stagione successiva raccoglie la fascia di campitano di Thomas Doll.
C’è un aneddoto che racconta lo stesso svedese in una intervista di ormai tanti anni fa. «Il momento migliore fu quando Fascetti mi diede la fascia di capitano. Io gli dissi: mister, ma non parlo l’italiano. Fa niente, mi rispose: fallo col cuore».
Esempio, impegno e punto di riferimento. È decisamente impossibile slegare le gesta del Klas Ingesson calciatore da quelle dell’uomo. Uno con i polmoni inesauribili, con il coraggio che sembra riduttivo legare alle imprese degli eroi della mitologia vichinga, con i piedi tutt’altro che scortesi. Uno che una vecchia volpe come Eugenio Fascetti aveva inquadrato subito, facendolo con gli occhi di chi sa vedere ben oltre.
Tra i suoi compagni al Bari veri e propri pilastri della nostalgia, impossibili da elencare tutti. Scegliamo tra i tanti Masinga, De Rosa e Guerrero. Ingesson ha unito nel ricordo e nel dolore le tifoserie del Bari e del Lecce: nel 2001 ha infatti vestito per diciannove partite la maglia giallorossa, lasciando anche qui, neanche a dirlo, un dolce ricordo del giocatore e della persona. È stata questa l’ultima avventura da giocatore.
LE GRANDI STAGIONI BOLOGNESI
Klaas arriva a Bologna diventando protagonista in una compagine che si appresta a vivere stagioni decisamente memorabili. Lo svedese arriva nell’estate del 1998, i felsinei sono appena “orfani” di Roberto Baggio e si apprestano con Mazzone a vivere l’avventura dell’Intertoto, poi vinto, e della seguente Coppa UEFA, terminata nella sfortunata semifinale contro il Marsiglia.
A Bologna Ingesson diventa fulcro di una squadra scolpita nella memoria di tutti: Paramatti, Signori, Andersson, Nervo, Kolyvanov e tanti altri. Qui lo svedese continua ad essere leader in campo e fuori. Lo sarà per tutte le stagioni con la maglia rossoblù stringendo legami che andranno ben oltre lo spogliatoio.
Il cordoglio della squadra, la presenza ai funerali di Michele Paramatti e di Kenneth Andersson, corona di fiori e maglia numero 8 bagnata di lacrime. Sul sito del Bologna campeggia ancora il comunicato pubblicato alla notizia della scomparsa dello svedese: «Klas Ingesson non ce l’ha fatta. Oggi se n’è andato il nostro guerriero, che all’età di quarantasei anni si è arreso alla malattia. Il Bologna si stringe intorno ai suoi cari e piange la scomparsa di una colonna insostituibile».
Ci sono i saluti degli ex compagni. Quello di Marocchi: «I ricordi di quello che abbiamo fatto assieme in campo per il Bologna ce li hanno già in mente tutti i tifosi, mentre tutti i piccoli e grandi ricordi personali li tengo gelosamente per me. Ci tengo però a condividere con tutti il fatto che averlo conosciuto e averci giocato assieme la ritengo una grande fortuna».
SOLO UNA MALEDIZIONE
Non sappiamo se nella mitologia vichinga siano presenti maledizioni e malefici. Sappiamo solo che alla malattia Klas non si è mai inchinato. Non lo ha fatto quando si è manifestata, non lo ha fatto quando le ossa hanno iniziano a rompersi a causa di un nemico che ha inquinato il sangue prima e il resto del corpo poi. Sappiamo del suo giro di campo sulla sedia a rotella dopo una vittoria in campionato, la prima da allenatore dell’Elfsborg, per salutare un pubblico più felice di vedere lui che della vittoria.
Forte e leale, coraggioso e indomabile, ha reso difficile il compito anche a un male terribile come quello che l’ha colpito, un male che sembrava sconfitto ma che alla fine ha presentato il conto fatale. Nessuno se ne va per sempre se resta nei cuori di chi resta, un Vichingo non muore senza lottare, come ha detto Ingesson in una delle sue ultime apparizioni pubbliche. Ed è proprio per questo che abbiamo immaginato Klas nello splendore del Valhalla, a tagliare legna per restare forte e a bere birra, ridendo con i suoi pari del calcio moderno, tutto fronzoli e niente sostanza, tutto furbizia e niente lealtà, lontano anni luce da quello che questo svedese tutto muscoli e tutto cuore ha portato ed insegnato in Italia e non solo qualche anno fa.
Auguri, Klas. Ovunque tu sia.
Yari Riccardi

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