La FLOP 11 della Juventus dal 1986 al 2006
5 Marzo 2021
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e sul gioco del pallone. Questa frase è contenuta nella Costituzione, quell’amata Costituzione che i padri fondatori del nostro paese hanno buttato giù seguendo “Tutto il calcio minuto per minuto”.
Correva l’anno 1947, la Torino che vinceva aveva le casacche granata e la controparte bianconera ostentava una certa sicurezza non ancora approdata alla bulimia degli Scudetti vinti a raffica. L’Italia divisa su tutto lo è sempre stata: destra-sinistra, Coppi-Bartali, Juventus-Anti Juventus. Nel nostro DNA c’è la tendenza a dividere e dividerci. Il calcio, seppur sacro e operaio, è sport divisivo. Divisivo e unificatore allo stesso momento. Possiamo gioire per le strade per un Mondiale strappato alla concorrenza d’oltralpe e allo stesso modo guardarci in cagnesco per un rigore non concesso dall’arbitro durante un derby. La Juventus è la somma imperfetta di tutti i nostri sentimenti calcistici, la leva emotiva che riesce a darci gioie ed emozioni.
Grandi campioni e dimenticabili carneadi hanno indossato quella gloriosa maglia a strisce: qualcuno è rimasto nella memoria collettiva, altri son tornati al proprio destino senza batter ciglio. D’altronde, ciò che la Juve tocca diventa storia.
Edwin VAN DER SAR

In Olanda ne hanno avuti pochi come lui, di portieri intendiamo. Oggi lo spilungone biondo è un tranquillo cinquantenne, quasi due metri di storia in giacca e cravatta, dirigente di quella corazzata home-made chiamata Ajax, capace di sfornare talenti a ripetizione senza dar fondo ai risparmi. Olandese di Voorhout, Edwin si è distinto per talento e professionalità, uno dei migliori portieri della sua generazione. Per questo fa specie vederlo nella categoria “flop” della corazzata bianconera di Torino. Tutti i grandi hanno un tallone d’Achille. Quello di Edwin è rappresentato da quei due anni passati a Torino. Di certo, non è l’ultimo arrivato. Il signor Van der Sar è lo stesso numero uno che ha strappato una Coppa dei Campioni al Milan nel 1995 proprio con i Lancieri di Amsterdam, è il portiere titolare di una Nazionale tra le più forti del pianeta, è l’uomo capace di issarsi al secondo posto nella graduatoria degli olandesi con più presenze con la maglia degli Oranje. Eppure, la fatal Torino rimane una macchia nella carriera di questo totem del calcio arancione. La storia juventina di Van der Sar termina dopo appena due stagioni condite da 66 presenze e una quantità non poco rilevante di palloni raccattati in fondo alla rete, una valanga se consideriamo la storica tendenza juventina ad avere difese ferree e coriacee. La squadra che ha dato alla Nazionale personaggi del calibro di Zoff e Tacconi accoglie nel 1999 il primo portiere straniero a difendere con i guantoni di cartone la porta della squadra più titolata d’Italia. Le disgrazie costringono la Juventus nuovamente sul mercato, la scelta si rivelerà ottimale, un giovane Gianluigi Buffon diventerà portiere titolare dalla stagione 2001-02. E il nostro caro Edwin? Dimenticata la parentesi juventina, si scollerà di dosso l’etichetta di bidone attraversata la Manica. Due stagioni a Londra con il Fulham e poi sei lunghi anni a Manchester, sponda Old Trafford, quattro Premier in bacheca e una Champions League.
Zoran MIRKOVIC

I calciatori di Belgrado si dividono in due categorie: quelli che hanno giocato per la Stella Rossa e quelli che hanno difeso i colori del Partizan. Mirkovic appartiene a quest’ultima categoria. Zoran è stato un baluardo della nostra Serie A nella seconda metà degli anni ’90, epoca in cui il calcio jugoslavo si era disintegrato, portando via con sé le speranze di una Nazionale che forse sarebbe stata capace di dare il filo da torcere a mezzo mondo. Mirkovic, dopo aver militato nel Rad e nel Partizan, si è trovato catapultato nella nostra Serie A nel 1996. Il primo approccio avviene a Bergamo, l’Atalanta non è ancora quella delle “favole”, ma la Dea è sempre la Dea, una nobile delle provinciali italiane con cui potersi affermare in quello che era ancora il campionato più bello e competitivo del pianeta. Nei successivi due anni all’Atleti Azzurri d’Italia il calciatore serbo scese in campo 51 volte, alternandosi tra centrocampo e difesa, un jolly che convinse l’allora mister della Juventus, Marcello Lippi, a volerlo portare in bianconero. La carriera juventina di Mirkovic non decollò mai: come accaduto a tanti connazionali, anche Zoran ingannò sé stesso e il proprio talento con l’altrettanta proverbiale discontinuità che ha sempre contraddistinto i calciatori dei Balcani. Con la Juventus ventisette partite, un gol e una Coppa Intertoto in bacheca. Troppo poco per un ragazzo che ha vestito la gloriosa maglia del Partizan di Belgrado e ha vissuto gli infuocati derby al Partizan Stadion o al Marakana.
Robert KOVAC

È nato nel 1974 in Germania, nella Berlino Ovest, oasi “occidentale” nella Germania Est. Il difensore croato muove i primi passi nel mondo del calcio in alcuni club tedeschi prestigiosi come il Norimberga, il Bayer Leverkusen e il Bayern Monaco prima di approdare nel 2005 alla Juventus. In Germania, Kovac è uno dei difensori più quotati in Bundesliga, gioca nella sua Nazionale a scacchi biancorossi sin dal 1999 e arriva in Italia con i gradi del campione, in una stagione storica per il calcio italiano e drammatica per i tifosi juventini. La stagione 2005-06 si conclude in maniera inattesa: la Juventus, pur conquistando lo Scudetto sul campo, viene retrocessa in Serie B e costretta a ripartire, suo malgrado, con la zavorra di una congrua penalizzazione. Vedere la Juventus confrontarsi con squadre come Rimini o Mantova sui campi cadetti non ha prezzo. Kovac vive male l’esperienza italiana. In Serie A non ha brillato particolarmente anche se a referto è riuscito a siglare un gol, di testa, contro il Lecce. Rimane nonostante la retrocessione, mentre molti big fanno le valigie. Robert accetta la sfida e si garantisce con un autogol una pagina indelebile della storia bianconera: la prima sconfitta della Juventus in Serie B, sul campo del Mantova. Dopo trentacinque gare e un gol, l’avventura italiana termina mestamente. Lo attendono al Borussia Dortmund, con gli eterni rivali del Bayern gioca un paio di stagioni prima di chiudere un’onesta carriera con la Dinamo Zagabria.

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