La FLOP 11 della Juventus dal 1986 al 2006
5 Marzo 2021
Davide BAIOCCO

Davide è partito dalla periferia del calcio italiano prima di approdare alla Juventus. Sette partite in paradiso per timbrare nuovamente il cartellino in fabbrica. Attorno al 2000, tra Millenium Bug e Giubileo, il Perugia di Serse Cosmi cercava tra folklore ed entusiasmo di assicurarsi un posto stabile in Serie A, nella banda di Gaucci si poteva ambire ad un posto nel cuore degli appassionati e qualche volta ci si poteva anche immaginare con casacche più importanti e prestigiose. Baiocco, nella squadra allenata da Cosmi, era un centrocampista tatticamente intelligente e dotato di ottima visione di gioco. Una squadra costruita con calciatori delle serie inferiori in grado di competere con le sette sorelle. Un calciatore come lui, giovane e di prospettiva, poteva essere considerato un player papabile al “top”. Le favole, si sa, rimangono tali il più delle volte e il passaggio a Nord-Ovest trovato da Baiocco non si è concretizzato come tutti avrebbero auspicato: sette partite e un biglietto sola andata per Piacenza. Dopo aver vestito i panni da Icaro, Davide si propone nuovamente all’università del pallone, giocando stabilmente a Reggio Calabria, Catania e Brescia. Per sua fortuna, la delusione bianconera viene mitigata dai tre titoli consecutivi vinti tra Serie D ed Eccellenza tra il 2014 e il 2017, indossando le maglie di Akragas, Siracusa e Palazzolo. Perché vincere con la Juventus è da campioni, vincere in Serie D è da eroi.
Jocelyn BLANCHARD

La Juventus ha coltivato un rapporto speciale con la Francia, sin dai tempi di Michel Platini. Le grandi intuizioni somigliano a treni che passano una volta sola nella vita e quelli che arrivano d’Oltralpe non possono essere sempre carichi di gettoni d’oro. Il dopo-Platini ha visto un altro grande connazionale sbarcare nel nostro campionato: nel 1996 Zinedine Zidane, proveniente dal Bordeaux, si è rivelato come uno dei colpi di mercato più importanti del decennio. L’entusiasmo generale per una Juventus in salsa Bleu spinge la dirigenza a uno degli acquisti più controversi della storia recente del sodalizio piemontese: Jocelyn Blanchard. Il ragazzo dell’Alta Francia arriva a Torino sull’onda lunga della stagione 1997-98, conclusa in Ligue 1 con il sorprendente Metz. Il club della Lorena ha conquistato un inatteso quanto beffardo secondo posto in coabitazione con il Lens e ciò porta sulla scena internazionale calciatori che faranno la storia del calcio come Robert Pires, ottimi mestieranti come Rigobert Song e Danny Boffin e clamorose meteore come il ragazzo cresciuto tra Calais e Dunkerque. L’Italia di Blanchard ha un costo elevato: la Juventus, infatti, sborsa sette miliardi per assicurarsi il centrocampista, ma i mediocri risultati del francese non convincono la Vecchia Signora e, dopo una sola stagione condita da appena dodici presenze, Blanchard viene rispedito oltralpe, per la precisione al Lens, già giustiziere di Blanchard dodici mesi prima. Con i Sang et Or Jocelyn gioca quattro stagioni e si avvia verso la fase discendente della carriera. Appende le scarpe al chiodo alla soglia dei quaranta dopo sei anni nell’Austria Vienna e un paio di stagioni a Klagenfurt nella squadra locale. Un flop coi fiocchi, condito da ostriche e champagne.
Juan Eduardo ESNAIDER

Lo ricordate? Il fortissimo centravanti argentino degli anni ’90 ha fatto gol con tutte le squadre con cui ha giocato, tranne che con la Juventus! Ad inizio anni ’90 Esnaider era tra i più quotati centravanti del campionato spagnolo, avendo giocato con il Real Madrid, l’Atletico, il Real Saragozza e l’Espanyol. Il suo rendimento è sempre alto e ciò convince i dirigenti a portarlo a Torino nel mercato invernale 1999 per sostituire Alessandro Del Piero, gravemente infortunato. La Juventus sborsa la bellezza di dodici miliardi per il cigno argentino trasformatosi in anatroccolo nella fredda Torino bianconera. Spesso rissoso e bizzoso, il suo carattere sanguigno e sopra le righe, a conti fatti, ha costituito la principale zavorra che gli ha impedito d’imporsi su scala mondiale. Nella sciagurata stagione 1998-99, durante la quale il rendimento di Del Piero si limita a due reti in otto apparizioni, Esnaider non riesce a scagliare neanche un pallone alle spalle dei portieri avversari nelle diciassette occasioni in cui prima Lippi e poi Ancelotti lo chiamano in causa. Delusi dalla media gol praticamente nulla, i dirigenti juventini non si fanno particolari scrupoli nel rispedire Esnaider in Spagna, al Real Saragozza. In Aragona riesce a sparare le ultime cartucce degne di nota, prima di impegnarsi in un lungo vagabondaggio sportivo senza soddisfazioni tra Porto, Murcia e Ajaccio prima di chiudere la carriera con il Newell’s Old Boys in Argentina. Esnaider, forse, è stato il Re di tutte le delusioni sulla sponda bianconera del Po: un flop costoso e ingombrante, inadeguato per sostituire Del Piero e probabilmente inadatto al nostro campionato.
Ian RUSH

Ian Rush nasce nel nord-est del Galles ad inizio degli anni ’60. Terra di minatori, il Galles vive con ansia e sconforto lo sciopero del 1984-85, quello che segnerà il lento declino economico della regione. Ian Rush è già un calciatore affermato: gli esordi risalgono a fine anni ’70 nel Chester, primo baluardo inglese appena fuori dal Galles, con il club che milita in Third Division. Nel 1980 il grande salto segue la linea ferroviaria che collega Chester con Liverpool. Con i Reds l’attaccante gallese riuscirà nell’impresa di segnare gol a raffica in First Division. Con il club del Merseyside infila i portieri avversari per 139 volte in 224 presenze. Il feeling con il Liverpool, però, si interrompe nel 1987. Platini si è appena ritirato e la Juventus ha l’obbligo di dover sostituire nei cuori dei suoi tifosi l’ingombrante figura di Le Roi. La sua parentesi italiana è sponsorizzata dal più grande giocatore gallese di tutti i tempi, anch’egli ex juventino, ovvero John Charles, possente centravanti degli anni ‘50 e ‘60. L’accoglienza riservata a Rush fu pari a quella concessa al suo illustre predecessore cinque anni prima. D’altronde, i pronostici della vigilia vogliono Ian Rush futura stella del firmamento bianconero, in un momento storico di forte ridimensionamento e alla ricerca di una nuova identità. Tuttavia, Rush non si adatta al calcio italiano: non impara la lingua, è spesso infortunato, arriva tardi agli allenamenti e fatica ad ambientarsi in un contesto nel quale appare sin da subito un pesce fuor d’acqua. I quasi sette miliardi spesi dalla dirigenza per l’asso gallese si rivelano un vero e proprio fallimento, visto che l’investimento ha portato in dote sette gol in campionato. Boniperti, anticipando di almeno trent’anni l’e-commerce, rispedisce al mittente il lungagnone gallese, perdendoci solo 400.000 sterline. Magra consolazione.
Cristian Brighenti

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