La maledizione del Bayer Leverkusen 2001-2002
24 Aprile 2020
Siamo sicuri che molti di voi avranno esposto in bella vista, nello scaffale della libreria, quel testo sacro per ogni appassionato di calcio che si rispetti ovvero Fever pitch, edito in Italia nel 1997 con il titolo Febbre a 90’. Se invece avete peccato e la biografica liturgia pagana dello scrittore britannico Nick Hornby non figura tra le vostre letture, mi auguro almeno che abbiate visto la coeva trasposizione cinematografica dove un giovane Colin Firth dà vita non solo al protagonista del romanzo Nick – che diventa Paul nella pellicola – fanatico dell’Arsenal, ma anche a tutti noi e a tutte le nostre vicissitudini di tifoso.
Tra le mille perle che questo piccolo capolavoro della letteratura moderna ci regala, una è quella che più rispecchia e riassume in poche parole il mio, il nostro, essere tifoso nei momenti più difficili: “Potrei mettermi a tifare per una squadra che non vince mai, l’Orient – il Leyton Orient, ndr – o una così. Almeno sai che cosa ti aspetta, non stai a farti infinocchiare da situazioni come queste”. È il pensiero che balena nella testa di Nick poco prima che un tale di nome Michael Thomas entri nella storia del calcio e soprattutto dell’antologia del pallone mettendo a segno all’ultima giornata, nei minuti di recupero, il gol che assegna la Premier League ai Gunners. Ed è, con tutta probabilità lo stesso pensiero che, da circa venti anni, rappresenta un incubo ricorrente per i tifosi del Bayer Leverkusen. Per loro sfortuna di momenti come quello di Nick ne hanno vissuti diversi, forse troppi, tra il 2000 e il 2002.
Eppure le emozioni forti non fanno geneticamente parte di un club nato nel lontano 1904 come squadra aziendale dell’omonimo colosso farmaceutico tedesco, che ne foraggia tuttora le casse societarie. Dopo un’esistenza nell’anonimato totale, degna del citato Leyton Orient, le Aspirine danno segnali di vita sul finire del secolo scorso. Nel 1988, dopo una storica rimonta nella doppia finale con l’Espanyol, arriva il primo trofeo in bacheca: la Coppa UEFA. Cinque anni più tardi arriva il secondo titolo, meno prestigioso, ovvero la Coppa nazionale. Peraltro il successo è conquistato in barba a tutta la Germania che, davanti alla TV, sperava di vedere sul gradino più alto del podio la squadra riserve dell’Hertha Berlino, giunta clamorosamente in finale. Ma non tutte le favole hanno il lieto fine e nel Nordreno-Vestfalia lo scopriranno dopo qualche anno.
Il successo maturato contro il sentimento nazionalpopolare non mina la placida etichetta di squadra per famiglie che il Bayer si è “costruito” in quasi un secolo di storia e probabilmente non è un caso se da molti anni la Bayarena, stadio dotato di ogni comfort, sembra essere fatto su misura per ospitare famiglie che sembrano uscite dagli spot delle merendine. Hornby ci ricorda “che sono molti i padri, in giro per il mondo, ad aver sperimentato il rifiuto più crudele, più spietato di tutti: i loro figli sono diventati tifosi della squadra sbagliata”. Di sicuro questi padri non abitano a Leverkusen. Dicevamo, le Aspirine, da family team quale sono, non destano particolari antipatie e sono prive di forti rivalità. Nell’immaginario collettivo teutonico sono una squadra da zona grigia della classifica, che magari ogni tanto ha qualche sussulto, ma che in definitiva non pesta mai i piedi a chi lotta per il Deutsche Meisterschale. Esattamente quello che avviene sul finire degli anni ’90, con due piazzamenti di onore nei campionati 1996-97 e 1998-99, senza che il club sia mai stato effettivamente in lotta per il vertice. Insomma le unghie mangiate, le imprecazioni, il cardiopalmo, il pathos struggente di una partita che può segnare in maniera indelebile non solo quella giornata, ma anche quell’anno o quella fase della tua vita, non fanno parte della storia del supporter del Bayer. Ma la storia sta per cambiare.
Nel 1999-00 l’undici tipo del Bayer è una squadra di livello assoluto. Spiccano i nomi di Beinlich, Ballack, Schneider, Emerson – il Puma, proprio lui – e Zé Roberto per un centrocampo da sogno. In avanti la strana coppia Kirsten-Neuville. Il primo, ex nazionale dell’Est soprannominato il Garante del Gol, è una vecchia volpe dell’area di rigore. Il secondo è una punta guizzante che ha la mamma originaria di Pizzo Calabro, parla perfettamente l’italiano e il francese perché è nato in Svizzera, ma il tedesco lo mastica appena; fatto decisamente curioso se sei stabilmente nel giro dei bianchi di Germania. In difesa il tedesco Nowotny e il croato Robert Kovac comandano il reparto con autorità e solidità. In panchina siede l’istrionico Christoph Daum che, prima di cadere in disgrazia di lì a poco per consumo di cocaina e qualche festino di troppo, di calcio ne aveva da insegnare.
Il Bayer dà spettacolo per tutto l’anno e a novanta minuti dal termine della Bundesliga ci sono tre punti di vantaggio da gestire sul Bayern Monaco. L’ultimo avversario è il già salvo Unterhaching, una squadra di onesti sconosciuti alla prima esperienza nel massimo campionato. Le premesse ci sono tutte, il traguardo sembra prossimo ad essere raggiunto con il vessillo in mano. Sembra. Mentre il Bayern fa il suo dovere e supera agevolmente il Werder Brema, la fenomenologia del braccino del tennista si arricchisce di un altro caso proprio nella piccola Unterhaching. Prima va in confusione Ballack che, a dispetto dell’ottimo giocatore che è e del campione che sarà, si rende protagonista di una goffa autorete. Poi tocca al carneade Oberleitner siglare di testa il 2-0 e completare la disfatta rossonera: titolo ai bavaresi per migliore differenza reti, una beffa nella beffa. “L’intrattenimento come dolore era un’idea che mi giungeva del tutto nuova” ci insegna un Nick ancora ragazzo e a Leverkusen iniziano a rendersene conto. E se la stagione successiva corre via senza trepidazioni, il 2001-02 è l’anno in cui al già poco invidiabile soprannome di Aspirine la squadra si guadagna anche quello di Neverkusen, insomma quelli che non vincono mai.
Nell’estate del 2001 è arrivato il nuovo tecnico Klaus Toppmöller, ma se la squadra macina gioco e gol il merito è più degli interpreti in campo che di chi li guida in panchina. Accanto a Nowotny ora c’è ‘o Cavalo Lucio, mentre l’argentino Placente è padrone della fascia sinistra. Oggi, tra l’altro, Diego compie anche gli anni.
Il centrocampo ha perso Emerson e Beinlich, ma l’estro del folletto turco Bastürk e la definitiva esplosione di Ramelow e Ballack attestano il reparto tra i migliori di Europa. In attacco oltre ai già citati Kirsten e Neuville troviamo anche il bomber bulgaro Berbatov. Ah, in porta c’è Hans-Jörg Butt, il Chilavert di Germania, noto per la sua abilità sui calci di rigore e che tra i pali se la cava piuttosto bene. Insomma il Bayer è, stranamente, uno squadrone. In Bundesliga è primo al giro di boa, poi subisce il sorpasso dei giallo neri di Dortmund capeggiati dal “nostro”Marcio Amoroso, ma a dieci giornate dal termine arriva il controsorpasso nello scontro diretto grazie alle marcature di Ballack, Ramelow, Neuville e Berbatov. Un 4-0 che ha il sapore della sentenza anticipata, anche perché a quattro giornate dalla fine ci sono ben quattro punti di vantaggio sul Borussia. Peccato che arrivi un solo misero punto dalla trentunesima alla trentatreesima giornata: 1-1 ad Amburgo, sconfitta interna con il Werder Brema e poi l’ultima caduta, decisiva, a Norimberga. Un ruolino da retrocessione che costa la perdita della vetta della classifica. Il 4 maggio a nulla vale il successo interno con l’Hertha, la festa è tutta del Dortmund che vince maturando il distacco di una sola lunghezza. Meglio non sapere che, in caso di arrivo a pari punti, stavolta la differenza reti avrebbe sorriso al Bayer. Il mal di testa da fallimento inizia ad essere diffuso a Leverkusen e non ci sono aspirine che possano limitarne gli effetti che, come stiamo per vedere, saranno devastanti.
L’11 maggio, una settimana dopo, all’Olympiastadion di Berlino il Bayer si gioca la Coppa di Germania contro i Minatori dello Schalke 04. La rete iniziale di Berbatov illude; finisce 4-2 per quelli di Gelsenchirken che nel secondo tempo mettono in ridicolo una difesa che sembra essersi dimenticata i fondamentali del calcio. Se vincere aiuta a vincere, probabilmente vale anche il contrario. Quattro giorni dopo, in quel di Glasgow, va in scena la finale di Champions League, dove il Bayer è approdato, nello stupore generale ma con pieno merito, partendo dai preliminari. Di fronte c’è il Real Madrid, un club che invece ha una discreta abitudine a trasformare le finali in trofei da esporre in bacheca. Los Galacticos schierano la solita parata di stelle, da Roberto Carlos a Figo, da Makelele a Morientes, da Zidane a Raul. Nei primi quattordici minuti Lucio risponde al capitano madrileno, ma è il berbero di Francia a raddoppiare per gli spagnoli al quarantacinquesimo con un sinistro al volo dal limite dell’area semplicemente perfetto: roba da spot pubblicitario o da mettere nella sigla di apertura della Champions, cosa che puntualmente avverrà negli anni a venire. Il Bayer ci prova nella ripresa, vuole quel trofeo che effettivamente meriterebbe dopo aver eliminato corazzate come Arsenal e Juventus ai gironi e poi Liverpool e Manchester United rispettivamente ai quarti e in semifinale. La giustizia però non è di questo mondo e la pensa così anche il giovane subentrante Iker Casillas che salva più volte il risultato nella fase finale della gara e fa sì che anche questo titolo, il più nobile di tutti, non prenda la via di Leverkusen. Anzi di Neverkusen.
Non sappiamo come ci si possa sentire dopo questa serie inenarrabili di sventure, come possa venire alterato l’equilibrio chimico della mente dopo un Triplete al contrario, dopo una stagione che ti rivela il modo più infame per raggiungere quota zero tituli. Probabilmente “dopo un po’ ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l’Arsenal fa schifo o viceversa”. Ecco probabilmente così, come diceva Nick. Perché Nick la sapeva lunga: era meglio l’anonimato, era meglio il Leverkusen mediocre di una volta, era meglio tifare Leyton Orient.
di Andrea Tomassi
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