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La Serie A 1984-85 è la Lega più competitiva della storia?

25 Settembre 2021

CREMONESE

Wladyslaw ZMUDA

Il polacco è l’unico a non esser stato effigiato sull’album delle figurine Panini di quell’anno. Eppure stiamo parlando di uno dei calciatori più importanti nella storia della Polonia. Infatti, Wldayslaw può contare su 91 presenze con la casacca della sua Nazionale, oltre ad un pedigree di ben quattro Mondiali disputati. Tuttavia, l’arrivo di Zmuda in Italia nel 1982 per vestire i colori del Verona è coinciso con la più grave disavventura della sua carriera: infatti, un intervento chirurgico errato al ginocchio infortunato ne allunga a dismisura i tempi di recupero ed in due anni all’ombra dell’Arena riesce ad accumulare la miseria di sole sette presenze. Nel 1984, dopo un’estemporanea avventura con i New York Cosmos, è la Cremonese a sceglierlo per fare affidamento sulla sua esperienza e cercare di centrare l’obiettivo della salvezza. Nonostante la buona volontà di Mondonico in panchina, i grigiorossi falliscono il bersaglio grande e tornano immediatamente fra i cadetti. Ciononostante, Zmuda si trova a suo agio allo stadio Giovanni Zini e vi rimane fino al 1987, anno del suo ritiro dalle scene. 

JUARY Jorge dos Santos Filho

La rete che si gonfia. La corsa con il pugno alzato verso la bandierina ed il giro danzante intorno ad essa. Semmai chiedeste a un bimbo un’immagine evocativa degli anni ’80, in molti vi risponderebbero ricordando l’esultanza di Juary, giunto in Italia in occasione della riapertura delle frontiere nel 1980. Il giovane folletto carioca diventa immediatamente il simbolo dell’Avellino e dell’Irpinia che vuole rialzarsi dopo il tremendo terremoto del novembre di quell’anno. E le sue prestazioni crescono man mano, sempre di più, fino all’interessamento dell’Inter, che lo acquista nel 1982. In realtà, l’obiettivo è quello di scambiarlo con il centravanti austriaco del Cesena, Walter Schachner. Tuttavia, lo scambio sfuma e Juary rimane in nerazzurro. Un’annata pessima per i meneghini, mai in gioco per lo Scudetto e con un’atmosfera elettrica all’interno dello spogliatoio. Ne fa le spese anche Juary che timbra soltanto due volte il cartellino ed al termine dell’annata viene ceduto all’Ascoli. Nonostante aumenti il trend realizzativo, però, sembra che il talento del ragazzo di São João de Meriti stia pian piano sfumando e la cessione alla Cremonese gli fa guadagnare prematuramente l’etichetta di “bollito”. In grigiorosso va in rete soltanto una volta, contro il Como. Forse pesa troppo l’eredità che gli lascia Vialli e, dopo la retrocessione in Serie B viene ceduto al Porto. Tuttavia, Juary ritrova stimoli ed una più congeniale collocazione in campo con la maglia dei Dragões, tanto da metter la sua firma indelebile nella storia del club, segnando una delle due reti che consentono ai lusitani di rimontare il Bayern Monaco ed aggiudicarsi la Coppa dei Campioni del 1987. La danza intorno alla bandierina più bella del mondo. 

FIORENTINA

SOCRATES Brasileiro de Oliveira

Circoscrivere in poche righe quel che ha significato Socrates nell’economia del calcio brasiliano e mondiale non è certo impresa semplice. Per questo, toccherà limitarsi a raccontare della poco edificante esperienza del Tacco di Dio con la maglia viola della Fiorentina. Quando la famiglia Pontello mette sul piatto della bilancia oltre cinque miliardi di lire per assicurarsi Il Dottore, la sensazione è che finalmente la Viola potrà ambire ad obiettivi sempre più ambiziosi. La presenza del brasiliano al centro del campo fa sognare i tifosi che, però, dovranno scontrarsi con l’amara realtà dei fatti. Seppur si presenti al gran pubblico con uno splendido lob nel 5-0 all’Atalanta, la sua lentezza lo fa inevitabilmente piombare al centro delle critiche. La Fiorentina non va, né in Italia, né in Europa e nemmeno l’avvicendamento in panchina tra De Sisti e Valcareggi cambia le carte in tavola. Le sue ultime fiammate si registrano durante la fase invernale, segnando tre reti in rapida successione, ma la disastrosa annata lo convince ad interrompere il suo rapporto con Firenze in anticipo di due anni, tornando dall’altra parte dell’Oceano a predicar calcio.

Daniel Alberto PASSARELLA

In due parole: l’uomo dei record. È l’unico non brasiliano e non italiano ad aver vinto due Coppe del Mondo. È stato a lungo il difensore ad aver realizzato più reti in campionato – undici nella stagione 1985-86 – poi superato da Materazzi. In tutto ciò, una carriera costellata di successi dall’altra parte dell’Oceano, sia nelle vesti di giocatore che in quelle di allenatore. El Caudillo è stato per lungo tempo la colonna difensiva della Fiorentina e dell’Inter, dotato di innata leadership e mezzi tecnici. Neanche fosse forgiato nel granito. Dopo il naufragio dell’Albiceleste del Mundial 1982, viene ingaggiato proprio dalla Viola per insidiare la Juventus e la Roma nella lotta allo Scudetto. Sebbene giunga in Europa all’alba dei trent’anni, il tempo per lui non sembra passare e le sue performance crescono man mano che prosegue la sua maturazione. Al termine della quinta stagione allo stadio Artemio Franchi, lo chiama Giovanni Trapattoni per dare solidità al reparto difensivo dell’Inter, ma non riesce a centrare il grande obiettivo neanche in nerazzurro. Tuttavia, bisogna stare sempre sugli attenti davanti al Comandante.