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La Serie A 1984-85 è la Lega più competitiva della storia?

25 Settembre 2021

UDINESE

EDINHO Nazareth Filho

Il difensore brasiliano rappresenta la prima nota felice nella campagna di “rafforzamento” che i friulani hanno intrapreso dal giorno della riapertura delle frontiere. Dopo gli “equivoci” rappresentati da Neumann, Orlando Pereira e Surjak, la dirigenza ha il pregio di mettere gli occhi sul libero che guida la difesa della Fluminense ormai da dieci anni. Il brasiliano rappresenta un prototipo del difensore moderno, dato che è in possesso di un piede così sensibile da andare spesso al gol e di consentire alla squadra di impostare il gioco sin dalla difesa. E la presenza nella Seleção da oltre sei anni – con due Mondiali ed un futuro terzo in curriculum – ne conferma la bontà dell’acquisto. I friulani, così, trovano il loro leader difensivo con il vizio del gol: in cinque anni sono ben ventidue i gol messi a referto e l’addio al bianconero si concretizza solo nel 1987 quando l’Udinese retrocede in Serie B, penalizzata pesantemente all’indomani dello scandalo calcioscommesse che ha squassato le serie professionistiche a metà degli anni ’80. 

Arthur Antunes Coimbra ZICO

Quando il presidente dell’Udinese annunciò ai tifosi friulani di aver definito l’acquisto di Zico, in molti realizzarono di avere vinto una doppia battaglia: una per aver lottato contro un provvedimento dell’allora presidente della FIGC, Angelo Sordillo, particolarmente discusso – eufemismo – ed un’altra per aver realizzato il sogno di vedere il più forte giocatore del mondo vestire la maglia bianconera con il numero dieci sulle spalle. O Zico, o Austria era lo slogan che accompagnò quella calda estate del 1983 di fronte al rischio di veder annullato l’accordo con il Flamengo – così come accadde a Roma per Cerezo – ma il tempestivo intervento del presidente Pertini scongiurò il rischio e puntò sul Friuli i riflettori di tutto il mondo pallonaro. E Zico non tradì le attese, presentandosi con una doppietta nello 0-5 rifilato al Genoa. Ingaggiò un duello rusticano a distanza con Platini per aggiudicarsi la classifica marcatori e mentre Le Roi veniva temuto, le tifoserie avversarie invocavano il suo nome, pur di vederlo calciare una punizione. E giù applausi, nonostante avesse segnato alla squadra del cuore. Ad Avellino. Come a Catania. Come nel resto d’Italia. Dopo l’exploit della prima stagione concluso con diciannove reti in ventiquattro partite, la seconda stagione va decisamente peggio: senza Causio e Virdis, con Luis Vinicio in panchina al posto di Ferrari, ‘O Galinho disputò un campionato a mezzo servizio, guastato da infortuni e dalla squalifica per insulti ad un arbitro. Ma ci vuole ben altro per offuscarne il ricordo. E soprattutto il talento. 

VERONA

Hans-Peter BRIEGEL

Un colosso al centro del campo. Granitico. Uno scoglio contro le quali s’infrangono le onde avversarie ma che, difficilmente, lo spostano di qualche centimetro. È questo Hans-Peter Briegel, emblema del calcio teutonico e muscolare. Dopo una vita al Kaiserslautern e al centro dello scacchiere della Germania Ovest che tenta invano di strappare la Coppa del Mondo dalle mani degli Azzurri al Santiago Bernabeu nella finalissima del 1982, accetta l’offerta di quella che, erroneamente, viene definita provinciale. Alla prova dei fatti, invece, il Verona si rivela essere una macchina perfetta in cui Briegel rappresenta il principale ingranaggio intorno al quale ruota tutto il meccanismo degli scaligeri. Nell’anno del tricolore segna addirittura nove reti, quasi rubando la scena a Maradona nel giorno dell’esordio assoluto in Serie A dell’argentino: al Marc’Antonio Bentegodi finisce 3-1 e Briegel bagna il debutto con un gol. Il carrarmato tedesco dà solidità ai reparti e dà sicurezza alla squadra che al termine dell’anno festeggia lo Scudetto. Dopo un’ulteriore annata all’ombra dell’Arena che non va secondo i piani (fuori dalla Coppa dei Campioni per mano della Juventus e un campionato deludente), Briegel accetta le lusinghe della Sampdoria, squadra con cui finisce la carriera nel 1988, componendo insieme a Cerezo una delle linee mediane meglio assortite del panorama nazionale, seppur spesso e volentieri si destreggi con successo nel ruolo di terzino. Se questa non è completezza…

Preben LARSEN-ELKJAER

Il Verona che si presenta ai nastri di partenza del campionato 1984-85 è una consolidata realtà del calcio italiano. Da quando è tornato sul massimo palcoscenico italiano nel 1982, la squadra costruita da Bagnoli ha subito ogni anno piccole rivoluzioni, ma preservando lo spirito smaliziato che gli ha consentito di occupare stabilmente i piani alti della classifica. In avanti, nel giro di due anni sono andati via prima Penzo e poi Iorio, ma sono rimasti Galderisi e soprattutto Fanna, che si sta rivelando come una delle migliori ali del torneo. Per questo, la dirigenza scaligera decide di puntare forte sul danese Larsen-Elkjaer che sta facendo sfracelli nel campionato belga con la maglia del Lokeren. È un’intuizione felicissima che dona ai gialloblù il necessario peso in avanti, assicurando profondità e concretezza alle manovre d’attacco. Diventa immediatamente un idolo della curva veronese dopo il gol del 2-0 alla Juventus segnato nonostante non indossasse più uno scarpino dopo un contrasto. Nacque così la favola di Cenerentolo che si concluse con la conquista di un incredibile Scudetto. Lasciò il Marc’Antonio Bentegodi nel 1988, dopo quattro stagioni all’insegna della regolarità e di un vicendevole amore tuttora corrisposto.

di Nando Di Giovanni