La TOP 11 dei giocatori usciti dal settore giovanile del Lecce
31 Marzo 2021
Antonio CONTE

La classe del 1969 salentina ha un ché di particolare, avendo sfornato due prospetti che molto daranno all’economia del calcio italiano. Nelle giovanili del club salentino, infatti, insieme all’ala destra con i ricci, si sta facendo notare un leader in erba sulla linea del centrocampo. Guida la squadra con piglio da calciatore navigato e possiede mezzi tecnici sopra la media, oltre ad una grinta che difficilmente la si trova in altri coetanei. Ed Eugenio Fascetti, che nel frattempo allena i “grandi”, punta gli occhi su di lui, intravedendone le caratteristiche giuste per metterlo al centro del progetto futuro dei salentini. Il tecnico gli concede spazio già durante la prima esperienza assoluta dei giallorossi in Serie A, quando non ha ancora diciassette anni. Disputa due partite e quando sta per esser lanciato in pianta stabile fra i titolari, un bruttissimo infortunio mette a rischio la sua carriera, lasciandolo fuori dai giochi per quasi un anno. Vede i suoi compagni di squadra conquistare la massima serie nel 1988 con Mazzone in panchina e quando il ritorno in A si concretizza ed i postumi dell’infortunio sono smaltiti, Conte gode già dei galloni di titolare quando ha soltanto diciott’anni. Riesce a segnare anche la sua unica rete ufficiale con i leccesi, distinguendosi per la marcatura asfissiante su Maradona e per la rete che mette in difficoltà i partenopei nella sofferta vittoria sui giallorossi per 3-2 al San Paolo. L’Italia pallonara lo guarda crescere domenica dopo domenica e dopo aver messo in spalla ben tre tornei di A da titolare, Trapattoni lo chiama per vestirlo di bianconero. E lì inizia la sua parabola che lo vedrà entrare nel cuore dei tifosi juventini, vincendo ogni trofeo possibile con l’arrivo di Lippi in panchina. Era un predestinato. E ora abbiamo anche le prove.
Graziano PELLÉ

Sebbene la sua carriera da professionista l’abbia portato a scrivere le pagine migliori – nonché controverse – della sua carriera lontano da Lecce, al capoluogo salentino Graziano ha legato i primi successi da calciatore. Infatti, Pellé fa parte di quella nidiata di ragazzi terribili – in cui comparivano anche giocatori del calibro di Rullo, Konan e Vucinic – che, sotto la guida del deus ex machina Pantaleo Corvino, ha scritto capitoli indimenticabili nella storia del club giallorosso, specie per quel che concerne il campionato Primavera. Le date da scolpire a caratteri cubitali nella memoria sono il 2003 ed il 2004, anni nei quali il Lecce conquista due Scudetti consecutivi, avendo la meglio in entrambe le occasioni sui pari età dell’Inter. E a guidare le manovre d’attacco di quella squadra c’era proprio Pellé, un piccolo Van Basten made in Salento. D’altronde il Cigno di Utrecht è sempre stato il suo punto di riferimento e la coordinazione e la tecnica – marchi di fabbrica dell’olandese – sono stati anche i suoi, specie considerando il suo fisico imponente. Tra i professionisti, Graziano esordisce nel 2004 contro il Bologna e con il Lecce mette insieme soltanto altre undici apparizioni. Nella sua carriera che lo ha portato in giro per mezzo mondo, curiosità vuole che proprio in Olanda, patria di van Basten, abbia trovato la sua seconda patria, con la casacca del Feyenoord, però. Tra valanghe di gol, scavini in eurovisione, esperienze in Cina e rovesciate, Pellé continua tuttora, alla soglia dei trentasei anni, a far quello che gli è sempre riuscito meglio: gol.
Valeri BOJINOV

Dove eravamo rimasti? Verrebbe da dir così guardando alla storia sportiva di Valeri, forse uno dei più grandi talenti perduti lungo l’accidentata strada che porta al successo. Certo, la salita è dura, ma quando si arriva in cima, la vista è spettacolare. E non bisogna dar calci ai sassi lungo il sentiero. Altrimenti si rischia di perder tempo. O peggio, di cadere. In molti ci avevamo creduto, dopo aver quasi strabuzzato gli occhi il giorno del suo esordio in Serie A. Il tecnico del Lecce, Alberto Cavasin, è ad un bivio: la precaria situazione in classifica lo ha portato a vacillare tremendamente in panchina e, il 27 gennaio 2002, al Via del Mare, c’è in programma lo scontro salvezza tra Lecce e Brescia. Se non dovesse maturare un successo, l’allenatore può dare il suo addio alla panchina giallorossa. Dopo il botta e risposta tra Toni e Chevanton nel primo tempo, l’ariete di Pavullo nel Frignano riporta in vantaggio i lombardi. C’è bisogno di una mano in attacco per tentare il disperato pareggio. Ed è così che il tecnico chiama a sé il quindicenne Bojinov per dar man forte in avanti: Balleri va fuori e viene sostituito dal bulgaro che, così, diventa lo straniero più giovane ad aver esordito nel massimo campionato. La sua spinta non è sufficiente per tentare il pari e, anzi, arriva l’1-3 che sarà fatale a Cavasin. Ma l’Italia inizia a prender confidenza con Valeri che, dopo un campionato di B a farsi le ossa, torna subito in Serie A ed esplode letteralmente con Zeman: fa undici gol in venti giornate, le squadre di mezzo campionato lo vogliono. Sceglie la Fiorentina, l’ambiente ideale per crescere. Almeno nelle sue aspettative. E in quelle dei tifosi viola che, purtroppo, lo vedono incappare in problemi fisici e caratteriali che, in poco tempo, lo relegano ai margini del progetto. Seguirà il prestito alla Juventus e l’avventura al Manchester City. A parte qualche fiammata con la maglia del Parma, Bojinov si perderà in un grande equivoco che, tuttora, lo porta a condurre una vita da globetrotter, senza aver più dimostrato quanto fossero giuste le intuizioni di Corvino.
Franco CAUSIO

Signori e signori, giù il cappello. E non solo perché stia passando un nobile del calcio, ma perché siamo al cospetto del Barone. Fantasia, piede e dribbling. Caratteristiche che l’hanno reso una delle ali destre più forti che l’Italia pallonara abbia mai visto scorrazzare sui campi. È stato il padrone indiscusso della sua fascia, praticamente insostituibile sia con la maglia della Juventus – con la quale ha vinto Scudetti in quantità industriale e una Coppa UEFA – che con quella della Nazionale, riuscendo a laurearsi Campione del Mondo nel 1982, quando mezzo mondo credeva avesse imboccato il viale del tramonto qualche anno prima. E invece, con Causio, bisogna andarci piano. Un suggerimento che i difensori che l’hanno fronteggiato negli anni hanno imparato a loro spese. Sebbene abbia affidato ai colori bianconeri le sue fortune sportive – Juventus e Udinese le sue parentesi più felici – Franco non può non essere legato al binomio giallorosso, emblema della sua terra. Nasce poco dopo la guerra, nel 1949, nel capoluogo salentino e lì il giovane Causio si mette in mostra. È il più bravo dei suoi coetanei ed i dirigenti del club leccese lo adocchiano, fino a portarlo all’esordio in prima squadra in Serie C durante la stagione 1964-65. Dopo un’annata nella Sambenedettese, è addirittura la Juventus a muoversi per lui. Ha diciassette anni e, dopo alcuni prestiti alla Reggina e al Palermo, nel 1970 diventa titolare inamovibile. E così sarà per altre undici stagioni. Nel 1981 Trapattoni avalla la sua cessione all’Udinese, credendolo ormai “bollito” per far spazio a Fanna e Marocchino. In Friuli, invece, vive una seconda giovinezza, guadagnandosi addirittura la chiamata di Bearzot per il Mundial del 1982. Disputa un minuto nella finalissima contro la Germania Ovest, tributo ad una carriera indimenticabile. Che dura fino al 1988 per vestire le maglie di Inter e Triestina. Nel mezzo, Causio accompagna il suo Lecce nell’annata del suo esordio assoluto in Serie A e, seppur vada tre volte in rete, non riesce nel miracolo della salvezza. Poco male. Difendere i colori della propria città nel massimo campionato italiano, a volte, vale più dei titoli sportivi.
Nando Di Giovanni

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