La top 11 di Vujadin Boskov. Bella come cervo che esce di foresta
16 Maggio 2020
Hidetoshi NAKATA
«Città come Perugia o Genova che non vincono diventano più povere»
Hidetoshi Nakata, ovvero il giocatore di questa utopistica formazione calcisticamente più vicino al modo di pensare il calcio di Boskov. L’estetica del bel gioco non nasce necessariamente dal numero ad effetto, dal ricamo, ma dalla sintesi tra l’idea di calcio che si vuole esprimere e il modo più immediato per farlo. Le strade di Hide da Yamanashi e Vuja da Begec, si sono incrociate nel 1999. Seppur nati a migliaia di chilometri di distanza, cresciuti in periodi temporali e contesti culturali agli antipodi, i due erano più simili di quanto si potesse immaginare. Entrambi innamorati del mondo in tutti suoi aspetti, facevano il loro mestiere per il solo piacere di farlo. Boskov accetta di prendere le redini del Perugia, in cui milita il nipponico, a febbraio, dopo che il ciclonico Gaucci ha praticamente costretto Castagner alle dimissioni. «Sono trent’anni che alleno, non posso farne a meno». Lo stesso ideale, in chiave antitetica, spingerà nel 2006 Nakata al ritiro dal calcio a soli ventinove anni. «Non mi diverto più» dirà dopo il Mondiale e dopo una poco significativa esperienza al Bolton Wanderers, dove il fiore del suo talento è appassito insieme al suo entusiasmo per il calcio. Non prima, però, di aver salvato dalla B il grifone insieme a Boskov.
Francesco TOTTI
«Se fai tre gol a partita, è ora di cambiare categoria»
È il maestro serbo a far capire a un adolescente Francesco Totti che la divisa della Roma Primavera inizia ad andare stretta al suo talento che necessita di palcoscenici ben più importanti delle partite delle giovanili per poter fiorire in tutta la sua bellezza. Dopo tutto «Per giocare in prima squadra, non conta quanti anni hai, conta talento». In realtà questa, Boskov, non l’ha mai detta, ma rimane il fatto che in un pomeriggio di marzo del 1993, con la Roma avanti 2-0 sul Brescia grazie ai gol di Mihajlovic e Caniggia, Vujadin, su imbeccata proprio di Miha, indica a un sedicenne Totti di scaldarsi a pochi minuti dalla fine. Er Pupone si gira verso bomber Muzzi. Invece tocca proprio a lui. La favola del Re di Roma inizia al Rigamonti e il primo gioiello della corona è incastonato da zio Vujadin.
Roberto MANCINI E Gianluca VIALLI
«Grandi squadre fanno grandi giocatori. Grandi giocatori fanno spettacolo e migliore calcio»
Trentuno reti sui cinquantasette gol segnati dalla Sampdoria nel Campionato 1990-91. Questo lo score dei Gemelli del Gol. Forse per una volta sono i numeri a raccontare più delle parole. I due campioni hanno costituito negli anni di Genova una simbiosi tecnica così completa e assoluta che non ce la sentiamo di parlare dei due distintamente, Boskov non ce lo avrebbe permesso. Vialli e Mancini rappresentano il più grande successo tecnico del tecnico serbo; traguardo tutt’altro che scontato considerato che grandi allenatori della nazionale, come Vicini e Sacchi, non sono stati in grado di rendere il tandem doriano altrettanto proficuo con la maglia della nazionale.
Mancini amava dire «Io tiro, poi la palla sbatte addosso a Gianluca e lui segna», consapevole che, ovviamente, la realtà fosse ben diversa. Vialli era la sintesi finale della giocata creativa del numero dieci e la loro unione tecnica era rafforzata un forte legame di amicizia. Un giorno, a Bogliasco, Vialli “si permise” di chiamare il suo amico per cognome. Il fantasista di Jesi, risentito, non gli rivolse la parola per una settimana. Ora, trenta anni dopo, sono di nuovo insieme in nazionale. Mancini come CT, Vialli nello staff. Torneranno a farci sognare anche in queste nuove vesti e probabilmente Roberto si offenderà ancora se mai Gianluca dovesse tornare a chiamarlo per cognome.
di Andrea Tomassi
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