La Top 11 dei giocatori con una sola presenza in Nazionale
13 Febbraio 2020
Alessandro PARISI
Forse esageriamo, non lo sappiamo. Ma se nel caso del Roberto Carlos dello Stretto ci si avventura in un ardito parallelismo che vuole la sua vita come un calcio di punizione, quasi rischiamo di far centro anche noi. Guardando la storia di Alessandro Parisi, una vita su quel grande rettangolo verde, si vedono come alcuni tiri gli son riusciti bene, altri male, altri del tutto sbilenchi. La sua carriera inizia nella più classica delle periferie, finché non lo nota il Palermo, la squadra della sua città. Tuttavia, per farsi notare deve andar dall’altra parte dello stivale, a Trieste, per mettersi in mostra al calcio che conta. Quando arriva la chiamata del Messina, non ci pensa su due volte: con 14 gol, la quasi totalità su calcio piazzato, Parisi manda in visibilio i tifosi peloritani che riabbracciano la Serie A dopo oltre 35 anni d’attesa. La sua prima stagione con i giallorossi è memorabile e le attenzioni degli osservatori sono tutte per lui: lo acquista il Genoa, ma nel frattempo il Giudice Sportivo manda in C1 il Grifone per la valigetta di Maldonado e Alessandro ritorna sullo Stretto a metà preparazione. Il secondo capitolo messinese non va come il primo, ma Marcello Lippi lo segue e, nell’anno che porta ai Mondiali, lo inserisce nel gruppo dei preconvocati per rimandarlo a casa proprio all’ultima selezione. Il sogno di diventare campione del Mondo s’infrange, così come la sua carriera di lì a poco: viene coinvolto in una vicenda di frode sportiva durante la sua esperienza a Bari, fino a beccarsi tre anni di squalifica. Alla fine, Parisi verrà assolto per “non aver commesso il reato”. Ma ormai, il treno era passato e c’è spazio per un’ultima passerella “d’amore” con la casacca del Messina, ormai sprofondato in Serie D, simbolo di un legame indissolubile che nulla ha potuto logorare. Ha esordito in azzurro nel 2004 nell’amichevole contro la Finlandia davanti al “suo” pubblico di casa, quello del San Filippo di Messina.
Roberto BARONIO
Ogni promessa è debito e per questo è giunto il turno di Roberto Baronio, come anticipato già nella parentesi su Dainelli. Tuttavia, a differenza del collega d’esordio, Baronio è stato per lungo tempo una presenza inamovibile nello scacchiere dell’Under 21, tanto da laurearsi campione d’Europa nel 2000 con Tardelli in panchina. Roberto è uno dei ragazzi-prodigio maturati nel Brescia dei primi anni ’90. L’altro, tanto per intendersi, è un certo Andrea Pirlo. Fanno coppia a centrocampo e condividono l’esordio con la maglia delle Rondinelle in Serie A quando nessuno dei due è ancora maggiorenne. Il loro percorso prende strade diverse di lì a poco: uno andrà verso Milano, Baronio verso Roma. Tuttavia, i loro destini, oltreché con l’azzurro delle nazionali di categoria, s’incrociano nuovamente sulla sponda calabrese dello Stretto quando vestono entrambi la maglia della Reggina che porteranno ad un’incredibile salvezza nell’anno del debutto assoluto degli amaranto in A. Roberto fa base sulla sponda biancoceleste della Capitale e la Lazio lo manda in giro per l’Italia a fare esperienza: oltre alla già citata Reggina, ecco Vicenza, Perugia, Fiorentina e Chievo Verona. È proprio con i clivensi che disputa le sue migliori stagioni, tanto da meritarsi la chiamata di Lippi per la sfida con l’Ecuador. Verrà convocato altre due volte, senza però vedere mai il campo.
Antonino ASTA
Un monumento, un mito. Qualsiasi altra definizione risulterebbe riduttiva per descrivere la statura di Antonino nelle memorie degli appassionati del pallone. Dopo aver arato la fascia destra dei campi di periferia di mezza Italia, il ragazzo di Alcamo cresciuto a Milano arriva sui rettangoli verdi che contano a 25 anni, quando il Monza lo preleva dal Saronno mentre divideva la sua passione con la professione di barista. Da lì, una scalata continua verso teatri sempre più importanti finché non lo nota il Torino che si affida alle sue corse forsennate per servire Ferrante in attacco e riportare nella massima serie i granata. Le sue sgroppate entusiasmanti non lasciano indifferente Trapattoni che lo convoca in occasione dell’amichevole premondiale di Catania contro gli Stati Uniti nel febbraio del 2002 a Catania. 45 minuti in azzurro che sembrano lanciarlo verso il torneo di Corea e Giappone, ma un infortunio ne blocca le speranze. La sua successiva esperienza al Palermo non sarà all’altezza delle grandi aspettative, complice un ritardo di forma ed un nuovo infortunio che lo costringono ad alzare bandiera bianca definitivamente. Un sogno iniziato un po’ tardi, finito, forse, troppo presto.
Giampiero PINZI
Fra le mille metamorfosi che, nel corso degli anni, i dirigenti dell’Udinese hanno apportato alla rosa friulana, per quasi quindici anni l’unico nome a non essere spuntato nel novero dei partenti è stato quello del ragazzo di Centocelle, eccezion fatta per il biennio 2008-10 con il Chievo Verona. Giampiero Pinzi è stato un monumento dei bianconeri in uno dei loro periodi di massimo splendore. Lì, in mezzo al campo, a recuperar palloni ed a suggerire gli avanti, fino a dare il suo contributo per portarli in Champions League. Forse è stato l’antitesi dell’uomo-copertina, tuttavia il suo instancabile lavoro non ha lasciato indifferenti i tecnici delle nazionali azzurre: dopo essersi laureato campione d’Europa nel 2004 ed aver centrato il bronzo Olimpico, nel 2005 ha esordito fra i grandi, subentrando al 74° minuto a Barone nel pareggio a reti bianche di Padova contro l’Islanda. Con l’Udinese è sceso in campo per ben 355 volte in tutte le competizioni, mettendo a segno diciannove reti. Ha detto basta a quasi 38 anni dopo aver riportato proprio il Padova (i casi della vita) in serie cadetta.
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