Le trenta cose più iconiche che ci legano ad Italia ’90
2 Agosto 2021
20. L’INUTILE POKER DELL’URSS
Due punti inutili, perché il patatrac è già stato combinato. Già, perché l’ultima versione calcistica dell’Unione Sovietica, che ad Euro 1992 sarà chiamata CSI, inizia con due sconfitte: a Bari sono i rumeni a beffare l’undici di Lobanovskyi, capace di sprecare occasioni a raffica, prima di venir punito da una doppietta della meteora viola Lacatus, che peraltro trasforma anche un rigore concesso per fallo fuori area di Khidjatullin. Il Colonnello, a quel punto, liquida il portiere Dasaev e schiera Uvarov, ma gli dei (e gli arbitri) non sono con lui: nella sfida con l’Argentina è la seconda mano de Dios, meno famosa della prima, di Maradona a negare un gol ai sovietici, che poi perdono 2-0. La resurrezione tardiva arriva il 18 giugno, con un poker al Camerun dove segnano anche due vecchie conoscenze del calcio italico, Zavarov e Dobrovolski. Troppo tardi.
19. IL TRIS DI SKHURAVY
“Si chiama Tomas Skuhravy, con le sue reti si vola, facci la capriola, facci la capriola”. Parole e musica dei tifosi genoani per il centravanti portato sotto la Lanterna dopo Italia 90 a difendere i colori rossoblù. Già, perché al mondiale questo gigante nato a qualche decina di km da Praga fa volare fino ai quarti di finale la Cecoslovacchia, segnando due volte nel girone nel pokerissimo agli Stati Uniti. È con la Costa Rica, negli ottavi, che si consacra, con una tripletta che strappa gli applausi del pubblico barese e fa salire agli onori della cronaca la squadra dell’Est, non certo accreditata alla vigilia. La corsa termina poi nei quarti contro i futuri campioni della Germania, ma per Skuhravy, vicecapocannoniere della competizione, si spalancano le porte per l’Italia, dove tra qualche birra di troppo e qualche problema legato alle automobili, formerà una coppia gol da sogno con Pato Aguilera.
18. IL “MARADONA DELL’EST” STENDE LA SPAGNA
Non soffiano ancora venti di guerra civile, come accadrà un paio d’anni dopo, ma la Jugoslavia è sull’orlo del precipizio: a maggio ci sono stati violenti scontri in Dinamo Zagabria-Stella Rossa Belgrado, la partita del famoso calcio di Zvonimir Boban ad un poliziotto, mentre pochi giorni prima del mondiale la nazionale, sempre a Zagabria, è stata sonoramente fischiata in amichevole dal popolo croato, che chiede l’indipendenza. Ivica Osim, il commissario tecnico slavo, ha dunque il suo bel daffare fuori dal campo, ma porta i suoi agli ottavi: di fronte c’è la Spagna, favorita nel pronostico, che però non ha fatto i conti con il Maradona dell’Est, Dragan Stojkovic. Lo chiamano Piksi e quel giorno, a Verona, illumina la scena: dapprima manda al bar un difensore iberico fintando un tiro al volo e battendo Zubizarreta per il provvisorio 1-0, poi decide la sfida nel recupero con una splendida punizione a giro. La Jugo cadrà nel turno successivo, ai rigori, con l’Argentina.
17. LA BORRACCIA CHE STENDE I BRASILIANI
Torino, stadio Delle Alpi. Si gioca l’ottavo di finale tra un’Argentina che, come detto, non ha convinto ed un Brasile molto contestato in patria, perché non brillante come al solito nel gioco, ma comunque capace di vincere tutte le gare del girone. I Verdeoro cominciano al meglio il match, sfiorano il vantaggio con Careca e colpiscono un legno con Dunga, poi entra in gioco una borraccia.
Una borraccia? Già, lo racconta anni dopo Branco, terzino dal sinistro micidiale visto anche al Genoa, che bevette nei pressi della panchina argentina e, di colpo, non fu più lui. Dentro, infatti, c’era un potente sedativo, capace di stendere un toro. Olarticoechea venne fermato da Maradona che gli disse, appena in tempo: “Non bere dalla borraccia!”. Solo leggenda o complotto degli anti-maradoniani? Sarà un caso, ma l’Argentina passa nel finale: il Pibe imbecca Caniggia, che si presenta solo davanti a Taffarel e manda ai quarti i suoi. Il Brasile avrebbe anche un’ultima occasione, divorata da Müller, e va a casa.
16. LA RIVINCITA
Tutto come quattro anni prima. Tranne il finale. Roma ospita la finale propendendo per i tedeschi e fischiando sonoramente l’inno argentino, mandando su tutte le furie Maradona. La gara ha poco da dire: la Germania cerca di fare la partita, l’Argentina soffre la fisicità avversaria e fa di tutto per portare la contesa oltre il 90’, ben sapendo che tra i pali c’è Goycoechea. Al 20’ della ripresa Monzon diventa il primo espulso in una finale mondiale, stendendo senza complimenti Klinsmann; l’arbitro Codesal, uruguagio naturalizzato messicano, concede il quinto rigore nelle tre gare arbitrate in Italia nel finale, punendo un contatto in area tra Sensini e Völler. Dal dischetto, dopo le interminabili proteste, va Brehme, visto che Matthäus si tira indietro: la palla si insacca nell’angolino, nonostante il tuffo del portiere avversario, e la coppa prende l’autostrada del Brennero per tornare in Germania dopo sedici anni.
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