L’ultimo numero 7 della scuola dei numeri 7
17 Maggio 2020
C’è la sensazione, sempre più chiara e definita con il tempo che passa, che fino in fondo noi Roberto Donadoni non lo abbiamo mai capito. Ci sono elementi oggettivi che portano a questa riflessione. Il primo può riguardare quanta discussione c’è in rete intorno a Donadoni. Su Google, lanciando la ricerca sulla keyword “Roberto Donadoni” appaiono 1.850.000 risultati. Se si lancia la ricerca sul suo collega di centrocampo al Milan, Carlo Ancelotti, i risultati sono 10.100.000. Una bella differenza (anche al netto dei diversi risultati come allenatori).
E poi ci sono le partite, anche in questo caso serenamente visibili ovunque. Grazie alle gare del passato che in tv stanno mandando in onda in questo periodo di assenza del calcio live, ho assistito per intero alle partite Italia-Argentina del 1990 e Italia-Spagna del 1994 ai Mondiali. Nella prima partita Donadoni è il migliore in campo per distacco. È l’unico italiano che in 120 minuti e più è sempre frizzante, lucido, tecnicamente e tatticamente perfetto, continuamente raddoppiato dagli argentini che si rendono conto di come i pericoli possano venire solo da lui. Nell’altra partita giocata negli Stati Uniti durante i Mondiali invece ci si accorge di un’altra cosa. Gioca il primo tempo all’ala e anche in questo caso limita e fa paura ad uno dei migliori esterni sinistri del momento, Sergi. Ad inizio secondo tempo, Albertini deve uscire perché affaticato e lui non ha nessun problema nel trasformarsi in centrocampista centrale e giocare un’altra grande partita da mezzala/regista, al fianco di Dino Baggio.
Ecco, trovatemi adesso un calciatore contemporaneo che riesca ad essere, secondo le dizioni attuali, un esterno alto, in grado di creare superiorità numerica quasi sempre grazie al suo dribbling, ma che allo stesso tempo faccia anche la mezzala d’impostazione alla Iniesta, bravo anche nella rifinitura. Tutte queste insieme Roberto Donadoni riusciva a mostrarle con naturalezza su un campo di calcio e noi non lo ricordiamo così spesso.
Donadoni è stato davvero l’ultima grande ala destra della nostra storia, l’ultimo grande numero 7 in un calcio che ha sfornato gente come Biavati, Domenghini, Claudio Sala, Causio, Conti, solo per citare i migliori. Il numero 7 era il regista offensivo della squadra, spesso il fantasista e il rifinitore principale, ma anche l’uomo che doveva creare disordine nelle difese avversarie, la variabile impazzita che non si doveva mai decrittare davvero.
Donadoni sapeva essere questo ma, grazie anche all’utilizzo che ne fa Arrigo Sacchi, porta il ruolo in un’altra dimensione, in cui l’esterno non è solo l’Y dell’equazione, ma un calciatore decisivo nel muovere l’intero assetto di squadra, utile se non fondamentale anche nella fase di non possesso e determinante in una fascia di campo molto ampia anche in orizzontale, con la possibilità di entrare dentro il campo. Basti vedere alcuni gol di Donadoni per capire. Come il primo all’Ungheria con l’Italia nel 1991 oppure il quinto nella partita storica contro il Real Madrid.
Prima di tutto però Donadoni è stato un colpo di mercato a sorpresa. Inizia con l’Atalanta e la sua parabola era già disegnata, come tutti gli atalantini migliori, ovvero passare per la Juventus. Invece Silvio Berlusconi, che aveva acquistato da pochissimo il Milan, decide di prenderlo e con lui fa un vero e proprio atto di sfida nei confronti di Boniperti e della Vecchia Signora, dichiarando in quel modo di essere adesso lui che può decidere a suon di miliardi – dieci per Roberto – come piegare una traiettoria già segnata. E insieme e grazie a quel Milan, Donadoni vince tutto: sei campionati, anche quello di ritorno dagli Stati Uniti con Zaccheroni nel 1998-99, quattro Supercoppe italiane, tre Champions League, tre Supercoppe UEFA, due Intercontinentali e per dimostrare che non tramontava è stato anche nel Best XI dell’MLS nel 1996.
Il suo unico neo, forse, è stata la timidezza fuori dal campo, il suo restare sempre un passo indietro rispetto ai grandi nomi con cui giocava. Ma se chiedete ad ognuno dei vari Marco van Basten, Roberto Baggio, Dejan Savicevic, Ruud Gullit, Franco Baresi che hanno indossato nel Milan o in Nazionale la maglia insieme a Roberto, saranno loro a dirvi quanto era importante nella squadra e quanto è stato decisivo anche per le loro rispettive carriere. Lo faranno con semplicità, dicendovi che Donadoni è Donadoni, non lo trovi più uno così.
di Jvan Sica
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