Manuel Rui Costa, un genio tra Leonardo e Michelangelo
29 Marzo 2021
«La Fiorentina dovrebbe giocare secondo i tratti di Michelangelo o il genio di Leonardo, perché quello è il suo patrimonio e quello deve essere il suo stile». Queste parole sono di Cesar Luis Menotti, e sembrano scritte per quel giocatore che nell’estate nel 1994 sembra diretto al Camp Nou e invece si ritrova all’Artemio Franchi, colpo di mercato tutto targato Vittorio Cecchi Gori (erano i tempi delle ciliegine dell’ex presidente della Fiorentina) che regala a Firenze un degno erede di Roberto Baggio. È una storia da Sliding Doors quella di Manuel Rui Costa, splendido rappresentante di quella categoria che oggi sembra sempre più fuori moda nel nostro calcio, quella dei trequartisti/fantasisti/centrocampisti a tutto campo, se ci viene concessa la ripetizione. Poteva essere alla corte di Johan Cruijff come uno dei maggiori talenti portoghesi dell’epoca. Interferenze del destino, coincidenze o più semplicemente il grande gioco del calciomercato e la prontezza dei dirigenti viola lo hanno vestito in men che non si dica della maglia della Fiorentina, pronto a giocare con Batistuta. Tralasciamo tutto quello che poteva essere e che invece non è stato: perché quella tra Rui e la Viola è stata molto più di una tappa della carriera: è stato amore, puro, corrisposto e mai traballante, terminato solo per un atto di sacrificio del portoghese. Ma andiamo con ordine, atto dovuto per celebrare il compleanno di un predestinato, visto che il nome di Eusebio, monumento del calcio portoghese, è strettamente legato a quello del Maestro: il numero dieci portoghese entra nelle giovanili del Benfica dopo aver incantato la Pantera Nera durante i provini del 13 marzo 1982. Rui aveva nove anni.
Il colpo della neopromossa

La dolorosa retrocessione del 1992-93 è dimenticata in pochi mesi, e la Fiorentina torna in serie A dopo soltanto un anno: il primo posto nella serie cadetta del 1993-94, un atto quasi dovuto vista la qualità della rosa a disposizione di mister Claudio Ranieri, porta i viola di nuovo tra i grandi. È l’estate del 1994 e la Fiorentina si trova a pensare all’imminente campionato con nuove e rinnovate ambizioni. Arriva direttamente dal mondiale americano il centrale brasiliano Marcio Santos (rivelatosi poi una colossale bufala, perlomeno per il nostro campionato) e arriva dal Benfica un centrocampista di ventidue anni, nato a Lisbona il 29 marzo del 1972. Dribbling, corsa, visione di gioco, tiro: di Rui Costa si parla un gran bene, e sembra in effetti strano un colpo di questa portata per una neopromossa, seppur nobile, come la Fiorentina. Ancora più strano se circolano addirittura foto del ragazzo con la maglia del Barcellona, obiettivo nemmeno troppo velato nientemeno che di Johan Cruijff: solo che gli occhi sul portoghese li aveva messi anche Giancarlo Antognoni, segnalando le grandi prestazioni di Rui con la nazionale e con il Benfica, squadra dove è di fatto nato e cresciuto. La crisi della squadra di Lisbona fa il resto: il neopresidente Damasio cambia le carte in tavola con il Barça, non accettando più la cifra concordata (in maniera ufficiosa) di circa nove miliardi di lire, chiedendone undici. Pochi, in effetti, per un giocatore dal sicuro avvenire. Ma sempre undici restano, non uno di più, non uno di meno. Di questa impasse ne approfitta Oreste Cinquini, all’epoca direttore sportivo della Fiorentina, che convince il presidente della bontà di questa operazione e porta a Firenze un nuovo numero dieci degno di portare questo numero sulle spalle, dopo Antognoni (vero artefice del trasferimento) e dopo Baggio, perfetto architetto per costruire le geometrie necessarie per mandare in rete Gabriel Batistuta. Un progetto perfettamente riuscito, fin dalla prima stagione: nel 1994-95 Batistuta è capocannoniere con ventisei reti in campionato, Rui chiude la stagione con nove gol. È l’inizio di un feeling che niente e nessuno riuscirà a scalfire.
Michelangelo e Leonardo

La razionalità legata al genio, il bello legato all’utile, al necessario. A riguardare oggi le giocate di Rui Costa spicca l’essenzialità del suo calcio, indubbiamente di una estetica altissima ma mai fine a sé stessa: non c’è un dribbling che non sia stato fatto per consegnare le chiavi di una opportunità ad un compagno. Lo sa Batistuta, e lo sanno tutti gli attaccanti che hanno beneficiato del genio del portoghese nel corso della sua carriera. Un lancio, un assist, una veronica, una finta: mozzafiato come i tratti delle opere di Michelangelo, visionari ma strettamente legati a cogliere l’attimo come le opere di Leonardo. La genialità condivisa, il talento messo al servizio degli altri, la testa sempre alta, lo sguardo che trovata traiettorie invisibili ad altri occhi.
Gli anni in Viola

Il 1994-95 è stata la prima stagione delle sette che Rui Costa vive con la maglia della Fiorentina. Sempre un altissimo rendimento, sempre grandi prestazioni, mai un eccesso, se non quello delle sigarette, vizio mai esposto fino al ritiro per non essere di cattivo esempio per i giovani: gli anni del portoghese a Firenze regala 276 presenze tra coppe e campionato e cinquanta gol. Due i gol in Coppa dei Campioni, quella della memorabile Fiorentina di Giovanni Trapattoni nel 1999-00: Rui segna nel preliminare contro il Widzew Łódź e nel 3-3 all’ultima giornata della seconda fase a gironi contro il Bordeaux. Due reti che avrebbero potuto essere tre, quella non convalidata – ancora oggi non si capisce perché – al Mestalla, sull’1-0 per il Valencia, rete che forse avrebbe permesso alla Fiorentina di passare il turno, suggellando un cammino che aveva visto cadere contro la Viola compagini come Arsenal e Manchester United. Anni di dribbling taglienti, di veroniche abbaglianti, di lanci in profondità, di cambi di campo, di gol di potenza e di classe, arrivati dopo discese in mezzo agli avversari, talvolta concluse con parabole ardite: è impossibile anche soltanto pensare di mettere insieme tutto quello che il portoghese ha dipinto in campo nei suoi anni in viola. Geniale in campo, leader nello spogliatoio, doti ancora più evidenti dopo l’addio di Batistuta. Nel 2000-01 Rui diventa il punto di riferimento di uno spogliatoio e di una città orfana del bomber argentino: il portoghese è assoluto protagonista (nonché capitano) nella tanto bella quanto “emotiva” Fiorentina di Terim – nella memoria di tutti il 4-0 contro il Milan, dove Rui supera il concetto di migliore in campo – e negli scampoli di stagione giocati con Roberto Mancini in panchina. La Coppa Italia del 2001, l’ultimo trofeo, ultimo bacio con la Viola dal sapore amaro dell’addio, un sapore così diverso dalla Coppa del 1996 e dalla Supercoppa Italiana dello stesso anno. I disastri societari portano ancora Rui lontano da quella che considera casa: era successo al Benfica, sta per succedere di nuovo a Firenze.
13 luglio 2001: «Hace a un lado a la tristeza y otra más dulce no la podrás encontrar»

Ha i jeans e una maglietta bianca. Intorno ci sono diecimila persone accorse a salutarlo, al ritmo forsennato e malinconico di quella Africa Bamba, tramutata apposta per lui in “Rui baila la portuguesa”. È il 13 luglio del 2001, la Fiorentina è a un passo dal disastro e quello del portoghese è un sacrificio che sembra necessario per l’impossibile salvezza della società. Gli occhi gonfi, un’emozione impossibile da controllare. Non riesce proprio a parlare, travolto dalle immagini e dai ricordi di sette anni passati in una città che l’ha subito reso figlio. Grazie per questi anni, grazie per tutta la mia vita, queste le parole che passano tra le lacrime del calciatore. Piovono fiori e sciarpe viola dagli spalti. Rui li raccoglie e li prende con sé, ultimo regalo di un pezzo di carriera e di vita impossibile da dimenticare. Il lato peggiore? Quel sacrificio – perché le lacrime sono quelle di chi non se ne sarebbe mai andato – è stato del tutto vano. Rui va al Milan per salvare la Fiorentina con i soldi della sua cessione, ma la Viola viene travolta dal fallimento soltanto la stagione successiva, dopo innumerevoli peripezie e l’inevitabile retrocessione in serie B sul campo. Una categoria mai giocata: si ripartirà dalla C2.
Rui – Milan, anni di trionfi

Ottantacinque miliardi delle vecchie lire sono state necessarie per il passaggio di Rui Costa al Milan, dove arriva insieme a Pirlo e Inzaghi e dove riesce a vincere tutto quello che un calciatore sogna di fare: ed ecco dunque la Coppa dei Campioni del 2002-03 (con la vittoria contro l’Inter in semifinale e il trionfo contro la Juventus nella finale di Manchester), la Supercoppa Europea, lo scudetto del 2003-04 e la seguente Supercoppa Italiana. Il portoghese resta in rossonero fino al 2006, mettendo insieme in totale 192 presenze e undici reti. Impossibile anche soltanto contare gli assist decisivi, ma ce ne è uno che è rappresentativo dell’idea di calcio alla base del gioco di Rui. quarantesimo del primo tempo, a San Siro arriva il Real Madrid per la Champions, Rui prende palla a metà campo, e verticalizza in uno spazio che ha visto soltanto lui per Sheva, che parte e batte Casillas. Era il 26 novembre del 2002, e Il Milan si prende i tre punti e inizia di fatto la sua corsa verso Manchester e verso la vittoria finale. Dopo l’esperienza rossonera, il ritorno a casa: due stagioni con il Benfica, poi il ritiro e la nuova vita da dirigente.

Il calcio di Rui Costa è una poesia scritta in punta di penna, è una lettera d’amore raffinata ed elegante, è una cattedrale dalle altezze mozzafiato capace di ospitare migliaia di fedeli, è un Pasteis de Nata da assaporare all’ombra della Torre di Belem, è genio ma mai sregolatezza, perché sempre al servizio di un bene superiore, è la capacità di vedere spazi e traiettorie che altri possono soltanto immaginare. Leonardo e Michelangelo, cuore e cervello, passione e azione È necessario crederci, per vedere quegli spazi. È una malinconia che spezza il cuore ma che impone di andare avanti. Per un obiettivo più alto della mera gloria personale. Per un assist fatto bene. Per una ultima Portuguesa che risuona tra fiori e sciarpe che sembrano cadere dal cielo, ultimi regali di una storia d’amore da consegnare all’eternità. Per un trofeo alzato che realizzi i sogni di quel bambino scelto da Eusebio. Per uno, dieci, cento assist perfetti per il tuo attaccante. Per il ritorno a casa, quella lasciata da ragazzo e ritrovata da campione affermato. Da Maestro, inventore di traiettorie degne dei più grandi di sempre.
Yari Riccardi

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