Privacy Policy Non dare il Pallone d'Oro al Del Piero anni '90 è stato un delitto calcistico

Non dare il Pallone d’Oro al Del Piero anni ’90 è stato un delitto calcistico

9 Novembre 2021

Difficile trovare un giocatore bianconero più impattante e decisivo di lui nel corso degli anni ’90. Chiaro che la fede calcistica può far piacere o amare un calciatore piuttosto che un altro, considerando il florilegio di campioni che, in quegli anni, popolavano ogni domenica i campi del Belpaese. Ma se dicessimo che Alessandro Del Piero, oggi quarantasettenne e al quale porgiamo gli auguri più sinceri, è stato il miglior calciatore italiano della sua generazione, difficilmente potremmo essere tacciati di miopia.

Raccontarne la sua ascesa sembra quasi superfluo per quanto è stata grande e trasversale. Alex ha fatto innamorare milioni di bambini che si apprestavano a conoscere il gioco più bello del mondo, ha riunito sotto la stessa “casa” di pensiero anche tifoserie contrapposte. Temporalmente dopo Roberto Baggio, e in compagnia di Francesco Totti, Del Piero è stato il numero 10 nostrano più forte.

Per chi non avesse avuto il piacere di conoscerne lo smisurato talento, ecco che proviamo, senza la pretesa di esserne voce della verità suprema, a raccontare chi è stato in quegli anni e cosa ha significato per diverse generazioni Alessandro Del Piero. Già con l’etichetta da predestinato, la Juventus lo acquista dal Padova nell’estate 1993 e firma la sua prima rete in Serie A alla quinta giornata di campionato, il 19 settembre, contro la Reggiana. È la prima delle sue 346 di una carriera che conosce pochissimi eguali. Tanto che nemmeno ventenne, il 20 marzo 1994 rifila una tripletta al Parma. La stoffa del fuoriclasse la scorge anche chi non ne mastica.

Timbra la prima volta in Europa il 13 settembre contro il CSKA Sofia. Mister Trapattoni lo impiega con parsimonia, ne segue la crescita e lo consiglia al meglio. Il talento del giovane Del Piero cresce all’ombra di campioni affermati: il Divin Codino, fresco Pallone d’Oro, Gianluca Vialli, campione di mille battaglie, Andreas Möller, talento teutonico dal carattere indomito.

L’avvento in bianconero di Marcello Lippi in vista dell’edizione 1994-95 della Serie A gli consente di esplodere definitivamente. Il tecnico di Viareggio fa orecchie da mercante alle voci di tanti osservatori che nella giovane età del ragazzo di San Vendemiano vedono più un freno che un’opportunità per l’ascesa della Juventus. Le sue doti gli consentono di consacrarsi definitivamente agli occhi dei tifosi bianconeri: la perla balistica contro la Fiorentina suggella la sua classe e lo eleva a miglior talento del calcio italiano.

Di fatto, in quella Juventus, il passaggio di consegne tra Roby Baggio e Alex Del Piero si concretizza come corso naturale degli eventi. L’età non è un ostacolo. Ma un’opportunità. Anche grazie alle sue giocate, lo Scudetto torna sul petto degli juventini dopo un’attesa di quasi dieci anni. Michel Platini, finalmente, ha trovato il suo degno erede. In Italia come in Europa. Se non meglio. È la stagione 1995-96 e Del Piero si carica sulle spalle le sorti dei bianconeri, orfani di Baggio, ma non di calciatori di talento. La sua dichiarazione d’intenti viene firmata il 13 settembre 1995 con una pennellata arcuata, regale, meravigliosa, davanti al pubblico del Westfalenstadion e a milioni di appassionati davanti alle televisioni collegate per celebrare il ritorno nella Vecchia Signora nella competizione regina d’Europa.  

Del Piero prende palla sul vertice sinistro dell’area di rigore dopo un lancio meraviglioso di Paulo Sousa. Avanza puntando la porta difesa da Klos, mentre Kohler – suo ex compagno di squadra – prova a contenerlo. Finta il tiro, rientra sul piede destro e lascia partire un meraviglioso tiro a giro sul secondo palo che va ad insaccarsi sotto l’incrocio dei pali: non è un semplice gol, piuttosto l’emblema di un nuovo modo di calciare e anche di essere. Un compendio di classe che dà vita al suo marchio di fabbrica: la rete alla Del Piero. Ne confezionerà altre quattro durante il percorso a ostacoli che la Juventus supera sino alla finale dello stadio Olimpico, terminata alzando la Coppa dalle Grandi Orecchie sotto il cielo di Roma. E la magia prosegue qualche mese dopo quando, in quel di Tokio, la sua rete a dieci minuti dalla fine nella finale di Coppa Intercontinentale contro il River Plate fece esultare all’unisono più di mezza Italia. Chi sul posto di lavoro, chi a scuola. Ma con il cuore dall’altra parte del mondo.

Alessandro ci ha indirettamente aiutati a dar vita ad un banale quesito. Che crediamo sia la domanda che si siano fatti in tantissimi. Com’è stato possibile che in quegli anni, in cui il suo apporto alla causa bianconera è stato decisivo in Italia così come in Europa, non gli sia stato consegnato il Pallone d’Oro?  Un interrogativo che, ad oggi, non trova alcuna convincente risposta. Non è solo l’affetto che ci lega a lui, ma l’incredibile realtà dei fatti che nel 1996 ha “movimentato” la redazione di France Football: conferire il premio a Matthias Sammer, campione d’Europa con la Germania. Mentre Alex che ha trascinato la sua Juventus al successo in Champions League e in Coppa Intercontinentale – senza dimenticare la Supercoppa UEFA – non compare neanche sul gradino più basso del podio.

Citiamo necessariamente Calimero, affermando: «È un’ingiustizia». Sarebbe stato bello assistere alla stesura dei voti da parte dei giurati per conoscere il motivo effettivo di questa decisione. Non si può voler tutto dalla vita, ma almeno questo Pallone d’Oro, per noi, te lo saresti meritato, Alex.

di Andrea Melli

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