Oggi sono 304, nel 1994/95 gli stranieri in Serie A erano 60 e guardate che nomi
1 Giugno 2020
GENOA
John VAN ‘T SCHIP
Quando si dice di un giocatore “sotto traccia”, van ‘t Schip interpreta il ruolo alla perfezione. Un eroe silenzioso che, seppur senza esaltare le folle, ha saputo conferire la sua cifra ad un Genoa costretto a fare i conti con la realtà dopo la “sbornia” della Coppa UEFA del 1991-92. Giunge, infatti, dopo gli Europei in Svezia alla corte del Grifone che ha appena salutato Bagnoli. In Liguria viene impiegato regolarmente, nonostante la sarabanda di allenatori che si alternano alla guida dei liguri – ben otto i cambi di panchina in tre anni – e che, al termine del torneo 1994-95 non riusciranno ad impedire la retrocessione in Serie B dopo lo spareggio di Firenze contro il Padova. D’altronde, non si gioca per caso al fianco di Cruijff a diciotto anni d’età.
Kazuyoshi MIURA
Nell’estate in cui il calcio rompe definitivamente i propri confini, riscoprendosi come sport di respiro globale, mentre Lalas si propone come ambasciatore della svolta ad Occidente, Kazu gli fa da contraltare, compiendo per la prima volta il viaggio che porta un giocatore nipponico nel massimo campionato italiano. Dalla sua ha un palmares da imperatore d’Oriente, ma giunto alla prova del nove con i ritmi europei, la sua figura assume un che di farsesco. Il povero Miura, infatti, non appare all’altezza degli standard richiesti e, infatti, finisce con l’attirare su di sé le inevitabili critiche. A nulla vale il suo unico gol italiano, segnato nel derby contro la Sampdoria che poi i blucerchiati si aggiudicano con il risultato di 3-2. Dopo ventuno presenze ed un incrocio pericoloso con le “attenzioni” di Baresi, Miura realizza che la sua comfort-zone coincide con i confini del Giappone.
Tomas SKUHRAVY
Le movenze non sono più quelle del 1990, quando arrivò al Luigi Ferraris all’indomani dei Mondiali del 1990, tuttavia Skuhravy sapeva ancora metterla dentro come aveva sempre fatto negli ultimi cinque anni. Infatti, nonostante la retrocessione in Serie B, il bomber ceco vive la sua seconda miglior stagione in termini di rendimento, con uno score complessivo di dodici reti in campionato, alle quali si aggiunge la rete nello spareggio con il Padova. Prodezze inutili, però, per evitare la discesa fra i cadetti. Il suo rapporto con il Genoa, ormai, è ai titoli di coda e, infatti, si materializza con la fine del 1995, quando Tomas viene ceduto ai portoghesi dello Sporting Lisbona. Lascia dopo 164 partite in campionato e cinquantanove capriole, il suo marchio di fabbrica dopo ogni rete.
INTER
Wim JONK
È l’eroe della Coppa UEFA conquistata l’anno prima. Tuttavia, il centrocampista olandese non lascia particolari tracce nelle memorie della pur esigente tifoseria nerazzurra. Complici due annate storte da parte di tutta la squadra, infatti, la stella di Jonk non brilla come si potrebbe legittimamente aspettare. Wim, però, suda e corre dentro al campo, senza parole fuori posto e con il piglio algido e risoluto, com’è nel suo carattere. Lascia, però, in eredità ai tifosi dell’Inter il suo ultimo gol italiano, realizzato durante il derby di Milano nell’aprile del 1995. Grazie al suo cospicuo contributo, la Beneamata torna a vincere una stracittadina in campionato dopo un’astinenza che durava da ormai cinque stagioni.
Dennis BERGKAMP
Se Dottor Jekyll e Mister Hyde avesse una sua trasposizione calcistica, questa potrebbe essere tranquillamente impersonata dal Non-Flying Dutchman. Il Dennis Bergkamp ammirato sul rettangolo di gioco con le casacche dell’Ajax e dell’Olanda, infatti, è un giocatore tecnico, raffinatissimo e completo. Quando, invece, veste il nerazzurro dell’Inter appare semplicemente la parodia di se stesso. Dopo la stagione 1993-94, durante la quale si riscopre “bello di notte” e trascina la Beneamata alla vittoria in UEFA, il rendimento dell’annata in esame è semplicemente imbarazzante. E difatti, in molti salutano la sua cessione all’Arsenal come una vera e propria liberazione. I quotidiani titolano “Affarone Inter”. Adesso bisogna acquistare un biglietto per ammirare la sua maglia esposta nel museo dei Gunners.
Darko PANCEV
Proseguendo nel parallelo delle metafore applicate agli stranieri reclutati dall’Inter in quegli anni, se l’adagio vuole che talvolta “Chi entra papa, esce cardinale”, l’ex bomber della Stella Rossa entrò da Cobra e uscì da Ramarro. Compromesso definitivamente il rapporto con i tifosi, Darko Pancev si ritrova “schiavo” del suo contratto a vivere un’intera stagione tra panchina e tribuna. Le cose, però, nel frattempo sono cambiate ed alla guida dell’Inter c’è Ottavio Bianchi, chiamato dal presidente Pellegrini con l’imperativo di riportare l’ordine dopo il naufragio della gestione-Bagnoli. Forte di questa nuova atmosfera e tornato in Italia dopo il “prestito-punitivo” al Lipsia, il 1994-95 di Darko Pancev sembra avviarsi per il verso giusto con due reti rifilate a Bari e Fiorentina nelle prime tre partite giocate. Un infortunio, tuttavia, lo estromette definitivamente dai giochi fino a portarlo fuori dai radar del tecnico che, a fine stagione, avalla la sua cessione al Fortuna Düsseldorf.
Ruben SOSA
Per fortuna ci pensa il buon Ruben a tenere alta la bandiera della legione straniera in casa interista. L’uruguaiano, come ormai di consueto, si contraddistingue per generosità e continuità di rendimento che, nonostante una carta d’identità ormai non più verde, non gl’impediscono di dare il suo cospicuo contributo alla causa interista nella corsa alla qualificazione in Coppa UEFA. Solo gli infortuni lo ostacolano nella corsa alla qualificazione, estromettendolo per ben quattordici partite dalle convocazioni. Al termine della stagione vanta uno score di otto gol in venti match che costituiranno la cartolina d’arrivederci prima di salire sull’aereo che lo porterà a Dortmund per vestire la maglia del Borussia.
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