Privacy Policy Quali sono i 20 giocatori più forti nati nel 1968? - Pagina 3 di 5

Quali sono i 20 giocatori più forti nati nel 1968?

7 Settembre 2021

12. Stefan EFFENBERG

STEFAN EFFENBERG | Bayern, Football, Footy

Dopo l’addio di Baggio, la Fiorentina era alla disperata ricerca della sua identità smarrita. Non era servito neanche l’arrivo di Sebastião Lazaroni in panchina e, dunque, il presidente Cecchi Gori si scorciò le maniche per costruire una squadra all’altezza delle aspettative della tifoseria viola che consentisse a Gabriel Batistuta, nuovo idolo della Fiesole, di poter andare al gol con maggior continuità. In panchina giunse un maestro come Luigi Radice, mentre in campo non si badò a spese, portando allo stadio Artemio Franchi profili di primissima qualità come Ciccio Baiano dal Foggia di Zeman, Brian Laudrup e Stefan Effenberg, prelevati in blocco dal Bayern Monaco. Nonostante la prima parte di campionato fosse promettente, lo screzio fra allenatore e presidente portò ad un’inattesa rivoluzione in panchina con l’allontanamento – tuttora inspiegabile – di Radice che minò alle basi le certezze di un gruppo che, al termine del campionato, si ritrovò incredibilmente retrocesso in Serie B. Con la promessa di riportare immediatamente la Fiorentina in A, anche Stefan Effenberg fece il suo patto di lealtà con i tifosi e la dirigenza. E se durante la stagione precedente mostrò più le sue incertezze che i suoi pregi, fra i cadetti Effenberg si dimostrò uno dei veri valori aggiunti della squadra, tanto da guadagnarsi anche la convocazione con la Germania per i Mondiali di USA ’94. Dopo l’avventura in Italia, Stefan fece ritorno in patria, prima al Borussia Mönchengladbach, poi al Bayern Monaco dove arrivò ad alzare al cielo anche la Champions League e la Coppa Intercontinentale nel 2001.

11. Alexandr MOSTOVOIJ

The prince of Vigo: Aleksandr Mostovoi and the glorious Celta years

Dalle parti di Vigo lo conoscono principalmente con il suo soprannome: El Zar. Inevitabile appellativo da affibbiare a colui che, con la sua classe e il suo talento, è riuscito a portare in alto il nome del club della sua città, fino a farla sedere accanto alle grandi dell’Europa che conta davvero. Il suo numero 10 ha incantato e ammutolito, stupito e tormentato. Grazie al suo estro, il Celta Vigo ha vissuto uno dei periodi più fulgidi della sua storia recente. Talenti come il suo, poi, era raro trovarli. Sebbene sia cresciuto sferzato dal freddo della madre Russia, il giovane Alexandr ha sempre sentito più affini i giocolieri brasiliani e i poeti argentini che gli hanno insegnato a trattare la palla con la cura ed il rispetto che le si deve. Bizzoso, irascibile e talvolta indolente. Come si può non immaginarlo così un campione fuori dagli schemi? Ma se all’Estadio Balaidos hanno visto comporre trame mai lette, il merito è sicuramente tutto suo. Lui che ha trovato finalmente un posto dove stare, dopo anni da “zingaro” in giro per l’Europa fra il Portogallo e la Francia a metter su il suo spettacolo da saltimbanco. Dopo la crescita inquadrata dai rigidi spartiti dello Spartak Moska, è arrivata la chiamata del Benfica, per poi tentare l’avventura francese fra Caen e Strasburgo. Dove ha raccolto proseliti tali da portarlo sulle rive dell’Oceano, in Galizia, per regalare ai tifosi del Celta oltre duecento versioni di uno spettacolo mai uguale al precedente.

10. Oliver BIERHOFF

Bierhoff-Inter, un amore mai sbocciato: dal prestito all'Ascoli allo  Scudetto con il Milan | Goal.com

Forse Oliver è il più italiano fra i tedeschi che si possa trovare. Oppure, ormai, un italiano fra i tedeschi. La sua storia, infatti, è indissolubilmente legata al Belpaese, la terra che gli ha dato l’opportunità di crescere e di maturare, fino ad imporsi come uno degli attaccanti più forti della sua generazione: sia in patria che in Europa. Il ragazzo di Karlsruhe, infatti, sbarca in Italia nel 1991 per volere del presidente Pellegrini, proprietario dell’Inter, che vuole assicurarsi il prospetto di un ragazzo promettente che possa, un giorno, raccogliere l’eredità di Klinsmann, ormai in procinto di salutare i nerazzurri dopo tre anni. Per favorire il suo inserimento nel campionato italiano, l’ex capocannoniere del campionato austriaco viene mandato in provincia, in quel di Ascoli, dove può crescere imparando da un grande come Bruno Giordano, sotto lo sguardo protettivo del presidente Rozzi. Seppur i marchigiani concludano miseramente il torneo all’ultimo posto, il giovane Oliver ha messo in mostra potenzialità che convincono la dirigenza a scommettere su di lui e ad acquistarne il cartellino. In Serie B, Bierhoff aumenta esponenzialmente il suo rapporto con il gol, tanto da laurearsi capocannoniere fra i cadetti nel 1992-93, finché nel 1995 non arriva la chiamata dell’Udinese di Zaccheroni. Con l’allenatore romagnolo scocca la scintilla e grazie alle sue reti, il tecnico di Meldola riesce a confezionare la sua macchina perfetta che consente all’Udinese di diventare una seria pretendente alle coppe europee, fino allo Scudetto. Nel frattempo, Oliver si fa spazio anche in Nazionale, auto-eleggendosi eroe nazionale dopo la doppietta nella finale dell’Europeo del 1996 contro la Repubblica Ceca che assicura il titolo al Nationalmannschaft. Nell’anno in tutti i riflettori sono puntati su Ronaldo, riesce a realizzare due reti in più del Fenomeno, toccando l’incredibile quota di ventisette reti. Ormai si è affermato su larga scala e gli manca soltanto lo Scudetto. Il presidente Berlusconi asporta ed applica la colonna vertebrale che ha portato l’Udinese fino al terzo posto al suo Milan 1998-99: Zaccheroni in panchina, Helveg sulla fascia a sfornar cross per la testa di Bierhoff che la manda in rete. L’esperimento riesce perfettamente e i Rossoneri ritrovano il tricolore dopo due stagioni a dir poco tribolate, mentre Oliver tocca il picco della sua carriera, prima di una lenta ed inesorabile discesa nelle prestazioni che lo portano a concludere la sua carriera nel Chievo Verona, salutando il calcio dei grandi con un’indimenticabile tripletta alla Juventus.

9. Giuseppe SIGNORI

Beppe Signori, 5 gol per descrivere il Re della Lazio (VIDEO)

Se nell’estate del 1989 il giovane Signori non avesse incrociato il suo cammino con quello di Zeman, sicuramente non avremmo modo di parlare di uno dei centravanti più prolifici che l’Italia abbia conosciuto durante gli anni ’90. Eh sì, perché fino al suo arrivo a Foggia, di Giuseppe Signori si faceva un buon parlare, seppur relegato al ruolo di esterno con licenza di attaccare. Un ruolo che mal si confaceva con il suo DNA e che il boemo, forte della sua esperienza, ha saputo cogliere per creare una delle sue macchine perfette. Insieme agli altri due satanelli – Baiano e Rambaudi – Signori comporrà uno dei tridenti più eclettici e letali della sua generazione, dando vita alla Zemanlandia che ha fatto la storia del calcio nostrano. Dopo l’esperienza al Pino Zaccheria, per Signori giunge la grande chiamata dalla Lazio e in riva al Tevere esplode definitivamente, aggiudicandosi per ben tre volte (di cui due consecutivamente) il titolo di capocannoniere della Serie A. Seppur in Nazionale non abbia avuto le stesse opportunità avute con le squadre di club, la sua parabola sembra interrompersi nel 1998 dopo un passaggio a vuoto con la maglia della Sampdoria. Viene accolto a braccia aperte da Mazzone e da Bologna, desideroso di vestire con la maglia numero 10 orfana di Roberto Baggio un nuovo campione alla ricerca del riscatto. Ed è così che Signori vive una seconda giovinezza all’ombra della Torre degli Asinelli, trascinando i rossoblù fino ad un’incredibile semifinale di Coppa UEFA. Nei sei anni allo stadio Renato Dall’Ara, Beppe segna complessivamente 84 gol di cui 68 in campionato. Prestazioni tali da issarlo al nono posto assoluto nella classifica marcatori di tutti i tempi della Serie A.