Privacy Policy Quali sono i 20 giocatori più forti nati nel 1968? - Pagina 5 di 5

Quali sono i 20 giocatori più forti nati nel 1968?

7 Settembre 2021

4. Zvonimir BOBAN

Zvonimir-Boban - DAILY MILAN

Se nella sua esperienza al Milan non avesse incrociato così tanti campioni come gli è accaduto, forse dovremmo parlare della carriera del più grande regista/fantasista che abbia indossato la maglia rossonera negli ultimi trent’anni. E invece Zvonimir ha dovuto faticare non poco per guadagnarsi l’etichetta di inamovibile all’interno di un club che poteva sfoggiare i diamanti più preziosi in circolazione durante gli anni ’90. Tuttavia, Boban ha dimostrato al mondo intero di che pasta fosse fatto, quale sia l’indole e la peculiarità tutta slava di conciliare talento, tattica, tecnica ed atletismo in un mix difficilmente replicabile. Di lui si accorsero i dirigenti rossoneri nell’estate del 1991 quando, neanche ventiduenne, vestiva la fascia di capitano della Dinamo Zagabria. Un indicatore inequivocabile circa le sue doti carismatiche di leadership. Dopo il suo acquisto e l’anno di adattamento ai regimi imposti dal campionato di Serie A in quel di Bari – accanto a Platt ed al connazionale Jarni – nel 1992 veste i colori rossoneri. Mister Capello lo alterna all’ex connazionale Dejan Savicevic, sicuramente più talentuoso ma più discontinuo. È un gioco di equilibri, condizionato dalle regole che limitano l’impiego di calciatori stranieri, ma man mano che si allargano le maglie e le norme sono più permissive, Boban si conquista il suo posto da titolare e non lo lascia più. Qualche infortunio di troppo ne limita l’impiego, ma quando è sul prato di San Siro, i tifosi del Diavolo si leccano letteralmente i baffi. Sul tricolore del 1999 c’è ben impresso il suo marchio di fabbrica, dimostrandosi vero uomo in più nello scacchiere di Zaccheroni. Come se ci fosse bisogno di ribadirlo.

3. Marcel DESAILLY

Marcel Desailly, la roccia che riuscì ad abbattere gli Dei - Sportreview

L’incontro con Capello, poco dopo il suo arrivo al Milan, può sintetizzare al meglio la concezione della parola “sinergia”. Eh sì, perché l’allenatore friulano, grazie ad una sua intuizione, ha dato al ragazzo ghanese di nazionalità francese un’opportunità unica: diventare il mediano più forte del mondo. Una chance che il giovane Marcel non si è fatto scappare. Seppur in patria si sia già ritagliato grande visibilità e considerazione nel ruolo di difensore centrale, alzando al cielo anche la Coppa dei Campioni con la maglia dell’Olympique Marsiglia, l’arrivo a Milano coincide con una crescita tattica e tecnica che ha rari eguali. Marcel giunge in Italia nell’autunno del 1993, mentre il caso Tapie sta montando oltralpe: la sua squadra deve smobilitare e molti dei freschi campioni d’Europa sbarca in Italia nell’annata che accompagna i tifosi verso i Mondiali di USA ’94. Durante la prima ondata arrivano in Serie A il mediano Franck Sauzée all’Atalanta, mentre Igor Dobrovolskij fa ritorno al Genoa; nella sessione autunnale, invece, si presentano nel Belpaese l’attaccante Alen Boksic, acquistato dalla Lazio, il fantasista Paulo Futre, che dice sì alla Reggiana, mentre il Milan sceglie di puntare sul marcantonio franco-ghanese. È un difensore centrale, ma com’è possibile toccare un’opera d’arte che regge alla perfezione come quella composta da Tassotti, Baresi, Costacurta e Maldini? Proprio per questo, Capello ha l’intuizione di avanzare Desailly sulla mediana, per sfruttarne i tempi in fase difensiva e la gran fisicità per formare un primo argine a difesa della retroguardia e ripartire sfruttando la strabordante potenza fisica. L’esperimento riesce oltre ogni più rosea aspettativa e Marcel diventa una delle più grandi sorprese del torneo, riuscendo anche a segnare una rete nel 4-0 con cui il Milan annichilisce il Barcellona di Cruijff nella finalissima di Atene. Rimane al Milan fino al 1998 e dopo essersi laureato Campione del Mondo con la sua Francia, strizza l’occhio al Chelsea con cui rimane per sei anni, aggiudicandosi una Supercoppa UEFA contro il Real Madrid, oltre all’Europeo del 2000 con la casacca dei Bleus. Non dei Blues. Attenzione!

2. Fernando HIERRO

Hierro: "Real favorito, ma l'Atalanta è in grado di giocarsela contro  chiunque" - Calcio Atalanta

Nasce centrocampista, cresce come trequartista e fa la storia come difensore. Se c’è un calciatore che abbia brillato ed eccelso come lui nell’interpretazione di ogni ruolo, presentatecelo. Vorremo davvero conoscerlo. Nell’attesa, ci limitiamo ad incensare l’incredibile talento di uno dei simboli del calcio spagnolo, prima dello sbarco degli “alieni” nel XXI secolo. Sebbene anche lui ci abbia messo lo zampino nel terzo millennio, indubbiamente nella figura di Hierro si stagliano i più bei ricordi dei tifosi delle Merengues che l’hanno visto alzare al cielo con la fascia da capitano ben tre Champions League, oltre a cinque campionati spagnoli. In eterna lotta con gli amici-nemici del Barça, Fernando ha spesso primeggiato: sia segnando gol pesanti, sia fermando gli attacchi degli avversari man mano che le primavere sulla carta d’identità aumentavano. La sua completezza, insieme a doti fisiche fuori dal comune, gli hanno consentito di avere una carriera duratura e ricca di soddisfazioni. Dopo il quindicennio da idolo assoluto del Santiago Bernabeu ed un anno di decompressione in Qatar all’Al-Rayyan, Hierro trova il tempo di diventare leader del Reebok Stadium, casa del Bolton Wanderers, disputando un’eccellente stagione al fianco di Ivan Campo, suo vecchio amico ai tempi del Real Madrid. Inossidabile. Sebbene hierro, in spagnolo, voglia dire ferro. Gli scherzi della vita.

1. Paolo MALDINI

Milan, tutti i trofei vinti in carriera da Paolo Maldini: le FOTO più belle  | Sky Sport

Giù il cappello davanti a un monumento per tributare il rispetto che si deve al più grande difensore che l’Italia abbia conosciuto. Non contano i colori, né la fede: si tratta di essere semplicemente obiettivi. Scuola d’eccezione quella che ha avuto Paolo: il suo papà, Cesare, è stato il capitano del Milan capace di sfilare la Coppa dei Campioni da sotto il naso di Eusebio e del suo Benfica davanti ai centomila di Wembley. È un predestinato ed il giovane Paolo non fa nulla per nascondere le sue doti lungo il suo percorso di crescita che lo vede vestito con i colori rossoneri sin dalla più tenera età. Nelle categorie giovanili brucia le tappe velocemente, fino a sedersi accanto al Nils Liedholm in un freddo pomeriggio friulano del gennaio 1985. Il titolare è Sergio Battistini ed incorre in un infortunio. C’è bisogno della sostituzione. Paolo non sa che sta per esordire fra i grandi. Il Barone, invece, sa che quel ragazzino farà parlare di sé. Inizia così un’epopea che è durata ben venticinque campionati di Serie A, poggiando il primo di 902 mattoni con i quali Paolo realizzerà un muro impossibile da abbattere. È stato uno dei grandissimi protagonisti del Milan che ha dominato il mondo e sulla sua bacheca faticano a trovare spazio i sette Scudetti e le cinque Coppe dei Campioni alzate al cielo. Forse gli è mancato soltanto un trofeo con la Nazionale. Ma non si può aver tutto dalla vita. E forse questo gli dà ancor di più un’essenza umana, seppur in campo sia stato alla stregua di una divinità.

Fuori concorso: Cleto POLONIA

Calcio anni '90: il "Piacenza degli italiani"

Se siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni, ci perdonerà William Shakespeare, ma la prova provata ce l’abbiamo volgendo lo sguardo ad un semplice album di figurine. Forse il drammaturgo di Stratford-upon-Avon verrebbe quaggiù a darci un coppino dietro alla nuca per un simile azzardo, ma se siamo tutti qui, alla fine, è solo grazie a lui: Cleto Polonia. Per chi ha visto in lui la possibilità di coronare i propri sogni, ovviando alla mancanza di talento – quello manualistico, per carità – con il sudore e il lavoro, per chi ha sempre creduto nel riscatto e nel successo della lower-class, il nostro Cleto assurge al ruolo di uomo-simbolo, senza dubbio alcuno. Colui che sosteneva ed auspicava di far scaturire dai suoi piedi cross al bacio per gli attaccanti ed invece è stato in grado di toccare il cuore nostalgico dell’adolescente appassionato – ora sempre appassionato, ma meno adolescente – deve raccogliere quanto gli si deve: il nostro eterno ed incondizionato amore. In fondo, Cleto Polonia è l’alfa e l’omega del nostro mondo. E proprio per questo, a ben pensarci, forse anche noi siamo un po’ figli del ’68.

di Nando Di Giovanni