Quando era impossibile giocare a calcio senza i baffi: tra tutti questi chi ha il baffo più memorabile?
3 Dicembre 2021
Roberto SORRENTINO
Il papà d’arte – suo figlio Stefano è stato una colonna del Chievo Verona – ha fatto orgoglioso sfoggio dei suoi baffi per tutta la sua carriera da estremo difensore. È stato uno dei protagonisti nella cavalcata del Catania del presidente Massimino che nel 1983 è tornato in Serie A, per poi trasferirsi a Cagliari e quindi al Bologna, salutando il calcio con l’inattesa qualificazione alla Coppa UEFA nel 1989-90 alle spalle di Nello Cusin.
Stefano TACCONI
Croce e delizia di Boniperti, Agnelli e Trapattoni (i quali hanno tentato, molto spesso invano, di limarne il carattere selvaggio e senza peli sulla lingua), Stefano Tacconi è stato uno dei più grandi portieri che abbia giocato nella Serie A degli anni ’80. Dopo l’esplosione con l’Avellino, viene scelto come erede di Zoff e, dopo una stagione di adattamento in continuo duello con Luciano Bodini, conquista la maglia numero 1 per non lasciarla più fino al 1992. È celebre anche il suo dualismo in Nazionale con Walter Zenga che, stavolta, lo vide soccombere in favore dell’Uomo Ragno.
Giuliano TERRANEO
Chi avrebbe rifiutato la proposta del Manchester United per preferire quella del Lecce? Chiedere a Terraneo per informazioni. Lascia increduli la scelta operata dall’ex numero uno di Torino e Milan nell’estate del 1987, quando a chiamarlo fu proprio Alex Ferguson, neo-allenatore dei Red Devils, su indicazione dell’ex compagno di squadra in rossonero, Ray Wilkins. Eppure, dopo essersi miracolosamente salvato dalla Serie C1 con la Lazio nella stagione del -9, Giuliano scelse di dire sì ai Salentini per riportarli ben presto in A e concludere lì una carriera piena zeppa di grandi soddisfazioni.
DIFENSORI
Giuseppe BERGOMI
Forse anche il suo baffo ha contribuito a crearne il mito, insieme al suo sconfinato talento. La leggenda narra che fu Giampiero Marini ad affibbiargli il nomignolo di Zio, quasi incredulo che un ragazzo neanche maggiorenne potesse far sfoggio di simili “arnesi”. La precocità è stata il suo lasciapassare per una carriera indimenticabile, che l’ha visto laurearsi Campione del Mondo a soli diciott’anni e fare la storia della sua Inter nel successivo ventennio, rendendolo un simbolo immortale della Beneamata.
Cesare CATTANEO
Dopo l’esordio-shock contro Pietro Anastasi – che segnò due reti – e la Juventus che strapazzò il Milan, Cesare Cattaneo non impiegò molto tempo per far vedere di che pasta fosse fatto. L’Armaron, infatti, dimostrò come il fisico da corazziere (insieme ad un aspetto tutt’altro che amichevole) fosse il suo vero punto di forza. Dopo aver fatto la storia con l’Avellino, portando gli Irpini alla loro storica promozione in Serie A, si fece apprezzare con l’Udinese, con cui disputò quattro massimi campionati.
Antonio CAVASIN
Dopo aver esordito giovanissimo in Serie A, il trevigiano si fa sempre più spazio fra i cadetti, fin quando non conquista la promozione con il Verona di Bagnoli. Una stagione al Catanzaro e poi nel 1983 l’arrivo al Bari con cui si rende protagonista del doppio salto mortale che riporta i Galletti nella categoria regina dopo un’assenza di quindici anni. Altre due stagioni al Cesena per poi concludere la carriera al Padova.
Paul ELLIOTT
È il 1987 quando il Pisa, neopromosso in Serie A, sceglie di tesserare il difensore centrale che ha fatto molto bene con la maglia dell’Aston Villa, tanto da meritarsi alcune convocazioni con i Three Lions. Il suo fisico è croce e delizia della sua carriera: spesso costretto ai box da continui intoppi muscolari, in due stagioni riesce a mettere insieme la miseria di ventitré presenze e, dopo la retrocessione in Serie B, Elliott attraversa di nuovo la Manica per andare in Scozia e vestire i colori dei Celtic.
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