Privacy Policy Quando era impossibile giocare a calcio senza i baffi: tra tutti questi chi ha il baffo più memorabile? - Pagina 5 di 10

Quando era impossibile giocare a calcio senza i baffi: tra tutti questi chi ha il baffo più memorabile?

3 Dicembre 2021

ALEMÃO Ricardo Rogerio de Brito

Il mediano brasiliano sbarca a Napoli nel 1988, prelevato dall’Atletico Madrid, completando il terzetto sudamericano in dote ai Partenopei insieme a Careca e Maradona. Dopo un primo anno di adattamento, il brasiliano con il sangue teutonico diventa sempre più un leader della squadra e rimane al San Paolo fino al 1992, quando poi viene ceduto all’Atalanta. Curiosamente, va a difendere i colori della squadra sul cui campo la famosa monetina lo colpì, assegnando una vittoria al tavolino al Napoli, decisiva nella lotta per lo Scudetto 1989-90 con il Milan.

Romeo BENETTI

Il soprannome di Maultier – dal nome dei cingolati in dote all’esercito tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale – dà più che bene l’idea di quel che Benetti era in campo. È stato un regista arretrato – per molti uno dei migliori italiani di sempre – con una particolare predilezione per lo scontro fisico che non gli lesinò critiche durante la sua carriera. Dopo l’esordio nella massima categoria con il Palermo, Romeo vestì anche le maglie di Juventus, Milan e Roma, diventando un pilone inamovibile della Nazionale durante gli anni ’70.

Klaus BERGGREEN

Il suo arrivo al Pisa compensa quello dell’uruguaiano Jorge Caraballo. L’ala danese si rivela una delle più belle sorprese del campionato 1982-83, frutto dell’intuizione del presidente Romeo Anconetani che andò a pescarlo in patria nel Lyngby e lo portò all’Arena Garibaldi per soli 240 milioni di lire. Ben presto, Klaus entra nel cuore dei tifosi nerazzurri che lo idolatrano per la sua dedizione alla causa. Dopo quattro stagioni in Toscana, passa alla Roma e poi al Torino, prima di tornare in patria lì dov’era iniziato tutto.

Francesco CASAGRANDE

Le più comuni confutazioni sul concetto di moto perpetuo hanno vacillato, eccome, dinanzi alla corsa inesauribile di Francesco Casagrande. Fregandosene bellamente della termodinamica, il centrocampista veneto ha arato come se nulla fosse i campi di mezza Italia per oltre vent’anni, distinguendosi particolarmente nella massima serie a cavallo fra gli anni ’70 e ’80 con le maglie di Cagliari, Fiorentina, Sampdoria e Como.

Franco CAUSIO

Il baffo nero quasi come un vezzo irrinunciabile. Così come la sua classe cristallina che, spesso e volentieri, ha sciorinato con irridente orgoglio davanti a marcatori inermi. Il Barone ha mosso i primi passi nella sua Lecce con la maglia numero 7 che non lo abbandona mai. Giunge alla corte della Vecchia Signora, vincendo la bellezza di sei Scudetti. Poi, dopo la cessione all’Udinese vive una nuova giovinezza: si conquista un posto in Nazionale e insieme a Zico fa sognare i tifosi friulani. Passa anche all’Inter prima di disputare il primo storico campionato in Serie A del Lecce vestito di giallorosso.

Antonio Carlos CEREZO

Tiramolla arrivò in Italia nel 1983 per vestire la maglia della Roma neo-scudettata. Il centrocampista è considerato uno dei più forti della sua generazione e nella Seleção compone insieme a Socrates e Falcão un terzetto da sogno. Il destino li fa incontrare in Italia quando Toninho è già un simbolo della Roma e due terzi del centrocampo della Verdeoro risiede all’ombra del Colosseo. Dopo tre stagioni in riva al Tevere, Cerezo viene ceduto alla Sampdoria. In molti ritengono sia in fase calante e invece vive la più lunga stagione di successi nella storia del club blucerchiato, sublimando nella vittoria del tricolore nel 1991.

Ludo COECK

Lo sfortunato centrocampista belga giunse in Italia nel 1983 alla corte dell’Inter per far coppia con Hansi Müller. In patria era considerato uno dei più talentuosi interpreti del suo ruolo in circolazione e infatti Nerazzurri lo acquistarono dall’Anderlecht per sopperire al mancato arrivo di Falcão, strappandolo al Milan. Tuttavia, una sfortunatissima sequela di infortuni ne limitò il suo impiego e l’anno successivo, visto il riacutizzarsi di noie pregresse, il suo passaggio all’Ascoli si risolse dopo pochissimo tempo. Morì l’anno successivo a causa di un incidente stradale.