Quando la Premier League era un’esperienza da fine carriera
4 Marzo 2020
Come cambia il calcio. Se oggi siamo abituati a vedere i nostri giocatori militare nei campionati esteri, a metà degli anni novanta la storia era ben diversa. In una Seria A che racchiudeva il gotha del calcio coevo nessuno si sarebbe sognato di lasciare quello che era unanimemente considerato il palcoscenico più prestigioso. Poi arrivò Andrea Silenzi ad aprire la via per il calcio inglese e la “perfida Albione”, nonostante la poco fortunata esperienza inglese del bomberone romano, prese a saccheggiare il nostro massimo campionato. Fu l’inizio della fuga verso la Premier League di tanti calciatori italiani, alcuni a fine carriera, altri all’apice della loro parabola calcistica, altri ancora in cerca di un posto da titolare precluso da una concorrenza fortissima nel rispettivo club. In questa nostra speciale lista ripercorriamo brevemente la carriera dei nostri “eroi” che, nel bene e nel male, hanno lasciato un ricordo indelebile calcando i campi di Her Majesty the Queen.
GABRIELE AMBROSETTI (CHELSEA)
Nella sarabanda tricolore che intraprese il viaggio dal campionato italiano di Serie A verso lo Stamford Bridge, insieme ai vari Cudicini, Deschamps e Weah, alla corte di mister Vialli giunse anche l’ala sinistra del Vicenza di Guidolin. Dopo aver fatto vedere i suoi numeri migliori con Brescia prima e con i veneti poi, il player manager scelse l’esterno per aumentare il potenziale offensivo dei Blues. Almeno nei suoi progetti che, purtroppo per lui, rimasero tali. Il management stanziò quasi dieci miliardi di lire per aggiudicarsi le sue prestazioni, ma al termine della stagione 1999-00 si conteranno sedici presenze in Premier, di cui soltanto nove da titolare. Verrà ceduto ad ottobre nel 2000 al Piacenza, in Serie B, in prestito. Dopo l’intera annata del 2002-03 vissuta da spettatore non pagante, senza che il tecnico Ranieri lo impieghi una sola volta, rescisse il contratto per dare l’addio definitivo ai Blues.
MARCO AMBROSIO (CHELSEA)
Che il calcio sia uno sport meraviglioso, dove le storie le fanno gli uomini prima ancora che gli atleti è un fatto risaputo. Mai avrebbe pensato il trentenne Marco Ambrosio, una vita in altalena continua tra la Serie C e la Serie A, di ritrovarsi nel giro di poco tempo dal difendere la porta del Chievo Verona al Sinigaglia di Como a giocarsi la finale di Champions League contro il Monaco fra i pali del Chelsea. Prima dell’era Cech, il treno dei Blues di Ranieri aveva caricato con sé ben altri tre colleghi: con Cudicini, fra gli arruolabili c’erano anche Sullivan e Macho. Il tecnico romano aveva ben presente quali fossero le carte che Ambrosio poteva mettere in tavola e, difatti, la chance arrivò grazie all’infortunio del connazionale ex Castel di Sangro che gli spalancò letteralmente la porta di uno dei club più blasonati d’Inghilterra. Otto presenze in Premier e tre in Champions, tra cui entrambi i quarti di finale contro l’Arsenal e la sfida della semifinale d’andata contro la squadra del Principato. Tutto in poco tempo, ma che bello. Dopo la cessione al Grasshoppers, il ritorno in Italia, dove si levò anche la soddisfazione di parare per la squadra della sua città: il Brescia.
LORENZO AMORUSO (BLACKBURN ROVERS)
Il primo, storico capitano non protestante dei Rangers. In Scozia è un mito che cammina. È il 2003 quando Amoruso sbarca ad Ewood Park per aumentare insieme a Dino Baggio il contingente italiano. All’esordio ufficiale in campionato, il centrale si presenta con una prestazione maiuscola, andando anche a segno nel 5-1 rifilato al Wolverhampton Wanderers. Ne seguirà un altro, nove giorni dopo, durante la rocambolesca sconfitta interna contro il Manchester City. I tifosi riversiders sono certi di aver trovato il leader difensivo di cui avevano bisogno, così come il tecnico Souness. Invece, un primo infortunio lo terrà fuori per ben cinque mesi. Il ginocchio lo condizionerà durante i tre anni in biancoblu, impedendogli di dare il contributo necessario alla causa: infatti, sarà costretto a cedere dopo poco tempo, avendo messo insieme la miseria di undici presenze fino al 2006, quando dirà addio ai Rovers e al calcio che conta.
ALBERTO AQUILANI (LIVERPOOL)
Forse un giorno lo narrerà ai nipoti: racconterà di quel giorno in cui debuttò con la maglia da titolare in uno degli stadi più magici del mondo, Anfield Road, con la casacca del Liverpool e della standing ovation che gli tributò il pubblico non appena fu richiamato in panchina. Dirà loro che, di certo, non se lo sarebbe aspettato. Ma che, purtroppo per lui, sarebbe rimasta l’ultima. L’arrivo di Aquilani fu fortemente voluto dal tecnico spagnolo, Rafa Benitez, che vedeva in lui la giusta pedina da poter affiancare a Gerrard in mediana. D’altronde si era fatto strada nel ruolo d’interno con la maglia della sua Roma, tanto da convincere l’iberico a scucire ben venti milioni di euro per assicurarselo. A conti fatti, fu pagato più di un milione di euro per ogni partita disputata in Premier League. Dopo neanche un anno, infatti, fu ceduto in prestito alla Juventus per poi dare l’addio definitivo ai Reds quando firmò per il Milan.
DINO BAGGIO (BLACKBURN ROVERS)
Evidentemente Graeme Souness aveva lasciato il cuore nel Belpaese. Non si spiega altrimenti il continuo ricorso all’acquisto di giocatori dal nostro campionato. Anche Dino Baggio finì nella lista della spesa del tecnico scozzese che se ne assicurò il prestito dalla Lazio. Il centrocampista era ormai avviato verso la fase discendente della sua parabola, ma ciò non gli impedì di lasciare il segno durante la sua esperienza di sei mesi in Inghilterra. Nove partite disputate ed un gol, messo a segno nella sfida contro il Leeds United, seppur non sia mai partito con i gradi di titolare. L’impiego limitato gli suggerì di ringraziar tutti e di far le valigie, insieme al compagno di squadra Grabbi, per tentare di salvare l’Ancona. Missione ovviamente fallita, per le ben note vicende (anche) extracalcistiche.
FRANCESCO BAIANO (DERBY COUNTY)
Era l’estate del 1997 quando la quasi totalità delle squadre di Premier League furono colpite da una elevatissima dose di italianofilia. Fu sufficiente una corposa dose di sterline per ovviare alle smanie albioniche: nella corsa al paisà, il Derby County di Jim Smith puntò sull’attaccante della Fiorentina e su Stefano Eranio, centrocampista del Milan. Che quella sarebbe stata un’annata particolare per i Rams, soprattutto per i suoi due rappresentanti del Belpaese, lo si evinse proprio nel giorno dell’esordio di Ciccio nel nuovissimo impianto di Pride Park. Fu proprio lui, infatti, a procurarsi il penalty poi realizzato dal suo connazionale che sancì il primo successo fra le nuove amiche e pose le basi per la nascita di un rapporto d’amore che si protrarrà per due anni e mezzo. La prima stagione si conclude in maniera meravigliosa: il Derby County conclude il campionato al nono posto, mentre Baiano concluderà la stagione con ben dodici realizzazioni. Sarà il suo unico anno memorabile, nonostante la squadra riesca nella stagione successiva addirittura a migliorare il piazzamento finale. Un infortunio lo tormenta per buona parte del 1998 e dopo cinque mesi trascorsi a corrente alternata, ritorna in campo per il finale di campionato, mettendo a segno tre reti in cinque partite. Tuttavia, le gerarchie son cambiate e i titolari in pectore sono Burton e Wanchope. È il preludio all’addio di Ciccio che saluta il nuovo millennio e l’Inghilterra trasferendosi in Serie B, alla Ternana. Concluderà con un bilancio complessivo di sedici gol in cinquanta partite che, comunque, gli consentiranno di essere ricordato come uno dei migliori acquisti stranieri nella storia dei Rams.
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