Privacy Policy Quanto sarebbe bello far incontrare Giovanni e Denilson?

Quanto sarebbe bello far incontrare Giovanni e Denilson?

23 Agosto 2021

“Denilson!” e via, con una serie di doppi passi fino al lancio (sbagliato). Poi la corsa per recuperare la palla oltre la recinzione e a un gruppo di ladri che gli fregano l’auto. Siamo nell’inverno 1998 e nelle sale cinematografiche spopola “Così è la vita”, fortunato film di Aldo, Giovanni e Giacomo che ottiene un enorme riscontro al botteghino.

Giovanni Storti cita uno dei calciatori brasiliani in ascesa, nonostante il mondiale in estate i verde-oro lo abbiano perso in finale con la Francia, in particolare il suo dribbling ubriacante, con paragoni illustri che si sprecano in patria, su tutti Rivelino. Peccato che, se il finale del film è a lieto fine (Giovanni e Giacomo raggiungono Aldo e Marina Massironi in Paradiso, non senza essersi tolti qualche sassolino dalla scarpa con un mondo che non li aveva benvoluti), Denilson rimane famoso alle nostre latitudini più che altro per questo sketch, non riuscendo mai ad esprimere il suo immenso talento.

Ma andiamo con ordine. Nato a Diadema, Denilson viene scoperto da un “guru” come Telé Santana ed esplode giovanissimo nel San Paolo. Un mancino micidiale, un destro utilizzato forse per fare le scale e una quantità di colpi impressionanti: nel 1996, poco più che diciannovenne, esordisce con la Seleção con cui vince l’anno dopo Copa America (segnando sia in semifinale che in finale) e Confederations Cup. Si rivela al pubblico europeo nel Tournoi de France, giocando nel 3-3 di Lione contro gli Azzurri di Cesare Maldini, per poi prepararsi alla kermesse iridata in programma in terra transalpina nell’estate 1998. Quella del film, per l’appunto.

Ma anche quella del famoso spot dove la nazionale all’aeroporto col proprio volo in ritardo e, insieme al Fenomeno, a Roberto Carlos, a Romario e compagnia viaggiante, spicca l’abilità col pallone tra i piedi di Denilson, protagonista nella semifinale con l’Olanda sulla corsia mancina insieme a Roberto Carlos, prima della finale persa con i padroni di casa dopo il misterioso malore di Ronaldo. 

Lo ingaggia il Betis Siviglia, desideroso di dare l’assalto alle grandi della Liga: 63 miliardi di lire, con una clausola rescissoria di 750, cifre irreali per l’epoca, senza dimenticare uno stipendio da nababbo, che ne fanno il più pagato del pianeta. Certo il club non è di prim’ordine, ma anche Romario e Ronaldo hanno iniziato in sordina: volete mettere la bella Andalusia con Eindhoven? Sembrano esserci tutti gli ingredienti per una inarrestabile ascesa ma… non è così. I motivi? Denilson non si adatta al calcio europeo, dove la prima dote necessaria è la concretezza. Il dribbling fine a stesso non interessa a nessuno.

E a farne le spese non è solo il calciatore, che inizia a soffrire di saudade e segna col contagocce (cinque reti nei primi due anni), ma anche il Betis non se la passa meglio e retrocede. Il giocatore torna in patria, in prestito al Flamengo, ma quando torna gioca cinque stagioni senza acuti (otto reti, ma col titolo mondiale in bacheca, seppur non da protagonista), prima di far tappa a Bordeaux (dove, seppur a sprazzi, sembra in ripresa, e iniziare a peregrinare per tornei meno impegnativi, da Dubai agli Stati Uniti passando nuovamente per casa propria e per luoghi come Vietnam e Grecia, dove mai si sarebbe potuto prevedere di vederlo ad inizio carriera. Appese le scarpe al chiodo, un lavoro per la televisione brasiliana e il poker: un po’ poco per uno che doveva dribblare tutti e, invece, è finito ben presto nel dimenticatoio.

di Damiano Reverberi

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