The Best of Africa, provate a vincere contro questo 11
11 Marzo 2020
George WEAH
Il primo non europeo ad aggiudicarsi il Pallone d’Oro. Calciatore africano del secolo e nella lista dei FIFA World Player stilata da Pelé. Basterebbe questo per giustificare la sua presenza nella Top 11 di tutti i tempi. Ma George ha la “colpa” di aver messo benzina in più negli ingranaggi del mondo del calcio, costringendo i difensori e, di riflesso, tutte le squadre a dover mettere una marcia in più per stargli dietro. King George è il simbolo dell’Africa, davvero più di tutti. L’attuale presidente della Liberia, da sempre in prima linea contro il razzismo, ha posto le basi della sua carriera in Francia, quando il Monaco lo scelse per guidare il suo attacco nel 1988. Nelle quattro stagioni disputate sotto gli occhi del principe Ranieri, il centravanti mette a segno complessivamente 59 reti in 129 presenze, stabilendo il suo record personale di diciotto reti in campionato nel 1991-92. Numeri che convinsero il Paris Saint Germain ad acquistarlo per detronizzare l’Olympique Marsiglia di Tapie, dominatore del campionato francese. Missione compiuta per i parigini e per Weah che riuscirà a vincerlo in ben due occasioni in tre stagioni. Si fa notare nelle coppe europee, andando – purtroppo per lui – a sbattere contro le italiane: prima la Juventus in Coppa UEFA e poi il Milan in Champions League. Ma l’incontro con i rossoneri è il viatico migliore per l’inizio di una storia d’amore che si concretizza nell’estate del 1995, quando Berlusconi lo porta a San Siro per undici miliardi di lire. Impiega “ben” sei minuti per timbrare il suo primo gol italiano in quel di Padova: al termine della stagione trascinerà il Milan di Capello al suo ultimo scudetto. Nasce un amore che durerà ben cinque anni e che sublimerà nella corsa a perdifiato contro il Verona che infiammò i cuori rossoneri dopo un coast-to-coast di ottanta metri. Il suo rendimento, poi, scenderà con l’età e con la crisi tecnica del Milan dei due anni successivi. Ha l’ultimo afflato in occasione dello Scudetto vinto con Zaccheroni nel 1998-99, grazie ad una seconda parte di stagione old style che lo erge a protagonista del successo finale. Saluta l’Italia nel 2000 per vestire le maglie di Chelsea, Manchester City e Olympique Marsiglia prima d’iniziare la carriera politica che lo porterà lì dove siede un vero King.
Samuel ETO’O
Il più grande centravanti della storia del Camerun non può non guidare il tridente d’attacco made in Africa. Ha disseminato lungo il suo percorso durato oltre vent’anni ben 370 perle sparse in 759 partite disputate sui cinque continenti. Con il Barcellona ha composto uno degli attacchi più letali che si ricordino a memoria d’uomo con Ronaldinho e con Henry poi, ma sempre con Messi al suo fianco. Insieme a Mourinho, invece, rimane nella storia dell’Inter per essere uno dei principali artefici del Triplete del 2010 culminato con il successo del Santiago Bernabeu in occasione della finale di Champions League. Ha disputato ben quattro Mondiali, vincendo anche tre Champions League ed un oro olimpico a Sydney 2000. Veloce, robusto, agile e scattante, nel suo infinito bagaglio tecnico si concentrano le caratteristiche principali di un attaccante letale, moderno. Con la Nazionale dei Leoni Indomabili detiene il record assoluto di reti (56) oltre ad avere il privilegio di appartenere al “club dei centenari” con le sue 118 presenze accumulate nell’arco di diciassette anni. Definirlo un simbolo del suo Paese è più che doveroso.
Didier DROGBA
Nel 2006 e nel 2009 gli hanno conferito il premio di Calciatore africano dell’anno. Nel 2007 e nel 2010 è stato capocannoniere della Premier League. Nel 2012 è stato il primo giocatore africano a superare quota 100 reti realizzate nel campionato inglese e, poco dopo, ha trascinato il suo Chelsea alla storica vittoria della Champions League in casa del Bayern Monaco, contro il Bayern Monaco, al termine di una partita in cui si è reso protagonista assoluto, prima minando e poi trascinando i Blues al successo. Nell’ultimo atto della sua esperienza con i londinesi – prima di un fugace ritorno – si sono condensate tutte le emozioni di una storia d’amore tra le più solide che il calcio ricordi. A Stamford Bridge c’è un idolo. E quello è Didier. Il giocatore ivoriano è giunto sulle rive del Tamigi per volere di Mourinho: «Tu sei un buon giocatore, ma se vuoi diventare un campione come Thierry Henry, Ronaldo, Ruud van Nistelrooy devi giocare in Inghilterra, nella mia squadra» gli comunico José senza giri di parole. D’altronde come non dargli ascolto, visto il carisma del portoghese? Le sue quotazioni erano salite dopo il torneo disputato con l’Olympique Marsiglia nel 2003-04 che lo confermano come uno dei top player della Ligue 1 dopo l’exploit con la maglia del Guingamp. Potenza fisica e precisione sono nel suo DNA e l’opportunità che gli fornisce l’allenatore di Setubal è di quelle da non lasciarsi sfuggire. Diventa perno inamovibile in avanti, segnando reti in quantità industriale e riuscendo a vincere la bellezza di quattro titoli. L’addio del portoghese al Chelsea non mina in alcun modo la sua leadership e, anzi, gli allenatori che succedono lo Special One in panchina non fanno altro che affidare il reparto offensivo nelle mani dell’ivoriano che si fa sempre trovar pronto. È un simbolo della tifoseria che lo osanna in ogni occasione e lui ripaga con gol a più non posso. Dicevamo del 2012, la cui stagione calcistica si conclude con il supremo atto d’amore di Drogba per quei colori: prima provoca un calcio di rigore allo scadere che rischia di mandare in fumo i sogni dei Blues, ma Robben sbaglia e Cech para. Poi segna a pochissimi minuti dalla fine la rete del pareggio, per poi infilare il rigore decisivo che consegna la Champions League nelle sue mani. La corsa e il pianto sotto la curva dei suoi tifosi rimarrà un simbolo nella storia del club. Avrà tempo di levarsi soddisfazioni anche con Shanghai Shenhua, Galatasaray e Montreal Impact, prima di ritirarsi due anni fa a quaranta primavere. Un simbolo della nazionale della Costa d’Avorio che accompagna durante le sue tre esperienze mondiali. Segna 65 gol in 105 presenze con la Nazionale degli Elefanti ed è, manco a dirlo, anche lì il simbolo di una nazione intera.
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