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Tutti gli stranieri nella Serie A 1995-96

1 Aprile 2021

FIORENTINA

Stefan SCHWARZ

La Fiorentina ha l’obbligo di dimenticare gli infelici innesti oltreconfine del passato. Dopo Effenberg, Latorre e Marcio Santos, l’inversione di tendenza c’è stata grazie all’arrivo di Rui Costa ed è per questo che la Viola punta tutto sui muscoli e il carisma dello svedese Schwarz. Con la sua Nazionale è stato uno dei protagonisti dell’incredibile terzo posto ad USA ’94 e dopo una buona annata all’Arsenal, i toscani mettono sul piatto ben sette miliardi per assicurarsi il versatile centrocampista scandinavo. In poco tempo si fa apprezzare come leader della squadra e corona la sua prima stagione all’Artemio Franchi con il successo in Coppa Italia.

Gabriel Omar BATISTUTA

È il Re di Firenze e nessuna osa discuterlo. Nella stagione appena archiviata Batigol si è laureato capocannoniere con ventisei marcature, interrompendo l’egemonia di Signori, mentre nella stagione in corso si ferma a quota diciannove, ma trascina la Fiore in Coppa Italia con un bottino di otto reti in altrettante partite che varranno la coccarda tricolore sul petto. È il primo, vero trofeo che il bomber di Reconquista alza sotto il cielo italiano, dopo un’attesa di ben cinque anni. La sua epopea con la casacca dei toscani è ben lungi dal concludersi e, anzi, si avvia verso percorsi difficilmente dimenticabili.

Manuel RUI COSTA

Gli son bastati pochi tocchi di palla per far innamorare il pubblico fiorentino. E altrettanto poco è stato sufficiente per sancire una storia d’amore che dura – e durerà – negli anni. In vista della stagione 1995-96, Rui Costa è chiamato ad emulare – se non migliorare – l’ottima annata appena archiviata. Anche se arrivano le maglie personalizzate, il numero dieci resta sempre suo e il portoghese illumina con sapienza e maestria il gioco della Viola che si piazza sul gradino più basso del podio, seppur in coabitazione con la Lazio, e trionfa in Coppa Italia.

INTER

Javier Adelmar ZANETTI

Chissà se qualcuno presente sugli spalti di San Siro quel 27 agosto 1995 avrebbe mai immaginato di rivedere quel ragazzo con il capello azzimato ed il numero quattro sulle spalle per altre 857 volte, con la stessa maglia, con la stessa eleganza. Difficile pronosticarlo, infatti quando si presenta alla Pinetina tutti gli occhi dei fotografi sono per il suo connazionale Rambert che è arrivato in Italia con lo stigma di nuovo craque. E mentre l’altro faticava a trovare un suo senso negli schemi, per Zanetti non ci è voluto granché per conquistare la fiducia dei tre tecnici – prima Bianchi, poi Suarez, poi Hodgson – che si sono succeduti sulla panchina dell’Inter in una delle più balorde annate interiste degli anni ’90. Meno male, per gli interisti, che c’era Javier.

ROBERTO CARLOS da Silva

Forse la sua cessione al Real Madrid rappresenta una delle manovre di mercato più tafazziane che si ricordino nella storia della Serie A. Infatti, quando il laterale sinistro con una mina al posto del piede sinistro sbarca a San Siro, i tifosi sono certi di aver trovato il degnissimo erede di Brehme dopo anni di esperimenti ed altrettanti fallimenti. Acquistato dal Palmeiras, Roberto Carlos si presenta con il missile terra-terra che piega la resistenza del Vicenza in occasione dell’esordio in campionato e segna altre tre volte in quattro giornate, supplendo alla scarsa vena realizzativa degli avanti nerazzurri. L’arrivo di Hodgson, però, è il detonatore che fa esplodere – in positivo – la sua carriera. Relegato al ruolo di vice-Pistone nelle idee del tecnico inglese, il Real Madrid di Capello lo acquista per un pugno di noccioline, assicurandosi il miglior terzino sinistro al mondo per un buon decennio.

Paul INCE

Il centrocampista inglese è la rappresentazione calcistica del concetto di guerriero. Paul Ince rappresenta l’acquisto di punta del primo calciomercato interista “made in Moratti”. Ci vogliono quasi quattordici miliardi di lire per strappare dalle mani del Manchester United uno degli uomini-simbolo della squadra guidata da Sir Alex Ferguson e il presidente nerazzurro non batte ciglio. C’è bisogno di un gladiatore in mezzo al campo e l’identikit corrisponde a quello di Ince. L’inserimento non è semplice e, dopo qualche fatica, l’arrivo di Hodgson sulla panchina gli consente di crescere esponenzialmente in termini di rendimento ed efficacia. La sua prima stagione si chiude con un bottino di tre gol in trenta match.

Sebastian Pascual RAMBERT

L’avventura del Avioncito in casa nerazzurra dura il tempo di una trasvolata da Malpensa ad Appiano Gentile e viceversa. Il suo arrivo viene annunciato come uno dei colpi in prospettiva che potranno assicurare all’Inter del futuro quell’incisività necessaria in attacco per tornare a dire la sua fra le grandi. Per lui parlano le entusiastiche recensioni in patria e la stima del commissario tecnico dell’Argentina, Daniel Passarella, che lo convoca in pianta stabile per l’Albiceleste nonostante abbia appena ventun anni. E, invece, l’ex centravanti dell’Independiente è pressoché nullo. Racimola qualche minuto nello sfortunato match di Coppa UEFA contro il Lugano, ma nulla di più. A novembre viene già messo su un altro aviòn, direzione Saragozza, dove vive la parte finale della stagione, prima di tornare in patria.

CAIO Ribeiro Decoussau

Errare è umano, ma perseverare è diabolico. Evidentemente questo proverbio non attecchisce granché nei corridoi di piazza Duse, sede societaria dell’epoca. I dirigenti non hanno ancora finito di smaltire il boccone indigesto Rambert che si decide di puntare dritto sul Brasile, alla ricerca di nuovi campioni in erba. La scelta cade sul fresco Pallone d’Oro del Mondiale Under 20 1995. Bastano sette miliardi per assicurarselo e Moratti non batte ciglio, staccando un assegno che fa la gioia del San Paolo. Al contrario di Rambert, il Douthorinho scende in campo per sei volte ma, in ossequio al suo soprannome, eccelle nell’anestetizzare gli entusiasmi di tecnico e tifosi, accumulando la miseria di 141 minuti in campo, di cui 59 contro la Juventus. Match perso per 1-2, per inciso.