Viaggio alla scoperta dei calciatori stranieri della Serie A 1988/89
23 Novembre 2021
C’è un’aria di grandi novità all’alba del campionato di Serie A 1988-89. È l’ultimo torneo della massima serie totalmente Made in ’80s e nelle radio, dal mese di febbraio, inizia a farsi sentire sempre più insistente il tormentone di Raf, che si chiede – quasi retoricamente – cosa mai sarebbe mai sopravvissuto di un decennio colorato, indimenticabile, eppur pieno di contraddizioni.
Effettivamente pare respirarsi un’atmosfera densa di sentimenti contrastanti: da una parte la sete di avvenire, di tuffarsi verso gli anni ’90, l’ultimo decennio del millennio e dall’altro la consapevolezza di essere nell’imminenza di lasciarsi alle spalle un’epoca quasi irripetibile, sia in termini di benessere che di progresso culturale, tecnologico e scientifico.
Guardando allo sport che fa impazzire gli italiani, dopo la sbornia del 1982 e le delusioni del 1984 e del 1986, la nuova generazione di Azzurri guidata da Azeglio Vicini fa ben sperare l’intera penisola, nella spasmodica attesa che la separa dagli ormai imminenti Mondiali del 1990 che saranno organizzati in casa. Sino ad ora la Serie A ha rappresentato un vero e proprio Giardino dell’Eden agli occhi degli osservatori stranieri. Il Made in Italy è ormai un brand, non solo per quel che concerne la moda, ma un marchio di fabbrica che contraddistingue come esempio unico al mondo un torneo dalla difficoltà quasi inarrivabile: la vera accademia del calcio.
E la stessa Serie A provvede ad un’operazione di maquillage per prepararsi al meglio verso la kermesse iridata che farà dell’Italia l’ombelico del mondo. La Federazione Italiana Giuoco Calcio approva la riforma che aumenta il numero delle squadre che, a partire da questa edizione, prenderanno parte al campionato: si passa da sedici a diciotto dopo oltre vent’anni di immobilismo. Non solo. Se il mondo guarda all’Italia, anche l’Italia guarda al mondo e gli si apre sempre di più: aumenta, infatti, il numero degli stranieri che ogni squadra può ingaggiare, passando da due a tre.
Si spalancano, dunque, le porte a campioni provenienti da ogni angolo del globo e il contingente straniero tocca la stratosferica quota di cinquanta elementi (cinquantuno, se volessimo considerare anche l’uruguagio Aguirre, acquistato dalla Viola prima dell’inizio del campionato e poi spedito all’Olympiakos in pochissimo tempo).
Eh sì, perché l’ottantasettesima edizione della Serie A parte ad ottobre inoltrato, vista la contemporaneità delle Olimpiadi estive di Seoul. Viene, dunque, disputata la prima fase della Coppa Italia – organizzata in otto gironi da sei squadre che consente ai tecnici di prendere le misure in vista dell’imminente torneo e di tarare preparazione ed allenamenti in vista della stagione più lunga e faticosa degli ultimi tempi.
Sarà una stagione a suo modo indimenticabile, con le italiane che dominano la scena in Europa, sfiorando l’incredibile en plein che sarebbe maturato solo un anno più tardi, portando il Milan ad alzare la Coppa dei Campioni, la Coppa UEFA sulla bacheca del Napoli e la Sampdoria a contendere la Coppa delle Coppe nella finalissima contro il Barcellona. Mentre in patria l’Inter di Trapattoni segna primati mai visti, aggiudicandosi lo Scudetto dei Record dopo anni di cocenti delusioni e consentendo al Trap di dimostrare a tutti di riuscire a conquistare titoli anche lontano da Torino.
È un anno particolare, questo 1988-89. Dopo aver ammainato la bandiera di Gaetano Scirea che si è ritirato definitivamente dal calcio giocato, due “vecchi” bomber come Altobelli e Pruzzo lasciano rispettivamente l’Inter e la Roma dopo anni di militanza per accasarsi alla Juventus – Spillo fallisce il tentativo di ripercorrere la strada di Boninsegna dieci anni prima – e alla Fiorentina. Il Pelé di Crocefieschi è ormai anziano e in campionato non segna mai, se non nel decisivo spareggio di Perugia per assegnare l’ultimo posto in Coppa UEFA: quasi inutile dire che Roberto realizzi la sua unica rete stagionale ai suoi ex compagni di squadra. Il Torino, invece, retrocede incredibilmente in Serie B insieme a Pescara, Pisa e Como dopo aver coltivato ambizioni europee. D’altronde l’avevamo detto. C’era aria di novità. Eccome.
Ecco, dunque, che vogliamo ripercorrere assieme a voi le mosse di presidenti e direttori sportivi che si trovarono a dover incrementare la propria legione straniera per ovviare al nuovo regolamento, snocciolando – uno per uno – i cinquanta protagonisti provenienti oltreconfine. Il contingente brasiliano è quello più nutrito con quattordici rappresentanti, seguito da quello argentino con sette calciatori e dai cinque svedesi che consentono agli scandinavi di salire sul gradino più basso del podio.
E adesso bando ai sentimentalismi: ecco a voi i nostri cinquanta piccoli grandi eroi. Buona lettura!.
ASCOLI
Borislav CVETKOVIC (Jugoslavia)
Tutti ricordano con affetto le difficoltà con le quali Tonino Carino, indimenticato inviato da Ascoli per Novantesimo Minuto, si avventurava nella pronuncia dei nomi più arzigogolati degli stranieri che, negli anni, sono giunti in Serie A. Si narra altresì che un’altra figura mitologica di quel calcio, Costantino Rozzi, carismatico patron del Picchio dagli inseparabili calzini rossi, dopo l’acquisto di Arslanovic e Cvetkovic si rivolse amichevolmente al giornalista RAI, scherzandolo: «Mo’ voglio proprio vedé come li pronunci». Se con il primo se la cavò etichettandolo con nomignolo di Camomilla – non essendo propriamente un fulmine di guerra – quando Borislav si metteva in moto erano dolori. E non solo per il povero Tonino Carino. Ma anche per gli avversari dei marchigiani. Eh sì, perché Cvetkovic sa davvero metterli in difficoltà. La sua velocità e le sue doti tecniche gli fanno ben presto guadagnare l’appellativo di Anguilla di Karlovac per la sua abilità nell’infilarsi nelle difese avversarie. E per lui parlano le sei reti realizzate in trentadue partite che lo rendono ben presto uno dei beniamini del Cino e Lillo Del Duca, dove rimarrà fino al 1991 quando s’infortuna gravemente ed è costretto a rimanere fermo per un anno, tornando a giocare nelle serie minori con Maceratese e Casertana, prima di tornare in patria nel Borac Čačak ed appendere definitivamente le scarpette al chiodo.
Mustafa ARSLANOVIC (Jugoslavia)
Il difensore centrale di origini bosniache arriva ad Ascoli Piceno insieme all’allora connazionale Cvetkovic nell’estate del 1988 dalla Dinamo Zagabria. Ha nella solidità fisica e nella capacità di “leggere” le situazioni le sue migliori armi a disposizioni ed infatti Arslanovic non si fa trovare impreparato, riuscendo a contrastare spesso e volentieri gli sfavillanti attacchi di quella Serie A. Disputa ventinove incontri, rimanendo in bianconero fino al 1991 quando poi si trasferirà nella Germania appena riunita per vestire i colori del Bonner SC.
Walter Junior CASAGRANDE (Brasile)
Dopo averlo prelevato dal Porto per il campionato 1987-88, il centravanti brasiliano ha dimostrato di avere i numeri per far bene nel campionato italiano, tanto da essere accostato alla Fiorentina nell’ambito del passaggio di Ramon Diaz all’Inter dalla Viola. Casão Meraviglião però resta al Cino e Lillo Del Duca mandando in visibilio il pubblico di fede bianconera. L’attaccante, punto di riferimento della Seleção durante la spedizione di Messico ’86 e venuto su nel Corinthians della Democracia Corinthsiana di Socrates, dopo aver segnato sei reti nella sua prima stagione, viene condizionato dagli infortuni: segna quattro reti in otto presenze, ma ciò non gli impedisce di conquistarsi la riconferma per vederlo altre due stagioni con la maglia del Picchio addosso.
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